Le famiglie del futuro (non) sono qui. Genitorialità e repressione

LA SITUAZIONE DI PARTENZA

Nel gennaio 2023 il Ministero dell’Interno diramò una circolare ai prefetti che ebbe l’effetto di intimare agli ufficiali di stato civile di non trascrivere nuovi atti di nascita formati all’estero con due genitori dello stesso sesso e alle procure di impugnare gli atti esistenti (non dimentichiamo che i procuratori hanno ancora mano in queste materie, e anche nei procedimenti di divorzio). Prima di questa circolare molte anagrafi trascrivevano regolarmente atti di nascita formati all’estero con due madri, perché anche se la PMA per due donne non è lecita in Italia, l’orientamento era che un atto lecito all’estero poteva comunque avere effetti in Italia. La circolare summenzionata mirava a fermare questa pratica basandosi sulla famigerata sentenza della Cassazione n. 38162/2022, che tra l’altro affermava che la pratica della gestazione per altr* (GPA) “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Nei fatti però questa circolare colpì anche * nat* con tecniche di procreazione medicalmente assistita diverse dalla GPA.

Questa circolare ha creato un’ondata di caos perché colpiva non solo le famiglie appena formate, ma anche famiglie che si trovavano ad avere uno status consolidato da anni, che si videro modificare d’ufficio atti di nascita regolarmente registrati: per l’impugnazione da parte delle procure non è previsto un termine, quindi questa può accadere anche anni dopo la formazione dell’atto, ponendo le famiglie in uno stato perenne di precarietà burocratica. Inoltre, il comportamento degli uffici era molto eterogeneo da città a città.

Questo ha portato a situazioni differenziate tra sorelle / fratelli ed ha gettato incertezza sulle molte questioni familiari dipendenti da tali situazioni. Anche se questa circolare fa parte della crociata a tutela delle famiglie “tradizionali” è evidente che non può aver avuto alcun effetto di miglioramento delle loro condizioni di vita, ma è stata un modo molto comodo per portare un attacco diretto e ad ampio raggio a molte famiglie “arcobaleno”, generando un effetto simbolico mediatico utile per il governo.

Di fronte alla rimozione de* genitor* “intenzional*” (ovvero l* partner del* genitor* biologic*) dall’atto di nascita de* figl*, alcune famiglie hanno deciso di opporsi per via legale (unico piano di lotta possibile in questo caso, anche se all’epoca ci furono anche delle mobilitazioni di piazza), riuscendo ad arrivare alla Corte Costituzionale.

 

IL GIUDIZIO DELLA CORTE

Le norme impugnate sono gli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, legge già oggetto di un referendum caratterizzato da un’intensa campagna di propaganda clericale), l’art. 250 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma della Costituzione, e ad alcune norme di trattati internazionali, “nella misura in cui impediscono, al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa praticata da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale che, insieme alla madre biologica (per tale dovendosi intendere la donna che ha partorito), abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa e, comunque, laddove impongono la cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale.” (sent. cit.) Chiaramente si parla solo di PMA praticata legalmente in stati esteri che la prevedono per coppie omosessuali, mentre resta intatto il divieto vigente in Italia.

La Corte ha giudicato che la situazione attuale è discriminatoria nei confronti de*nat* in relazioni omosessuali, “come lo furono in passato i figli adulterini e i figli incestuosi”, perché e l* priva del diritto ad avere due genitr* che si assumano la responsabilità di provvedere al loro mantenimento fin dalla nascita e su un piano di parità. La Corte ha anche evidenziato il quadro di incertezza e discriminazione tra nat* all’estero e nat* sul territorio italiano, visto che i secondi risultano figli della sola partoriente. Nel giungere alla sua decisione la Corte ha ricondotto il caso a una questione di responsabilità: gli obblighi collegati alla volontà delle genitrici di concepire, espressa attraverso il “consenso” prestato al ricorso alle tecniche di PMA da parte della madre intenzionale discendono “Dal comune impegno volontariamente assunto” (sent. cit.). D’altronde l’orientamento sessuale non pregiudica di per sé l’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale, e comunque le coppie omogenitoriali sono soggette come tutte le altre coppie ai controlli che possono anche portare alla revoca di tale responsabilità in caso di maltrattamenti.

Resta da vedere come questa sentenza influirà sulle coppie di uomini che hanno ricorso alla GPA, dichiarata recentemente “reato universale”, anche se – con una lettura estensiva – i principi applicati in questa sentenza potrebbero abbracciare anche tali casi.

Il principale contro-argomento dell’Avvocatura dello Stato interveniente è stato che comunque la madre intenzionale può ricorrere all’adozione, e quindi * figl* non resterebbero senza tutela; la corte ha respinto questo argomento perché l’adozione non è una tutela “nativa”, ovvero immediata ed automatica, ma va richiesta dall’aspirante adottante ed è costosa, lunga e dall’esito non assicurato.

Interessante notare come altri giuristi conservatori intervenuti sulla questione battano molto sull’ostinazione degli adulti nel realizzare il proprio desiderio egoistico di diventare genitori anche a costo di compromettere irrimediabilmente l’interesse del nato a crescere con due figure complementari, considerata un’attitudine inquietante che porta gli adulti addirittura a commettere un illecito come il ricorso alla PMA all’estero.  Tale “attitudine strumentale nei confronti dei nati” renderebbe il genitore intenzionale funzionalmente inidoneo ad assumersi la responsabilità genitoriale, idoneità eventualmente da accertarsi tramite l’esigente procedimento di adozione.

 

COMMENTO

La sentenza, immediatamente applicabile anche ad altri casi dello stesso tipo, sostanzialmente riconosce il superiore interesse de* nat* in coppie omosessuali a vedere riconosciuto il loro status fin dalla nascita, il che corrisponde ad un complesso di responsabilità che la madre intenzionale si assume per il solo fatto di aver prestato il proprio consenso alla procedura. E questo è un aspetto che resta spesso in secondo piano nel dibattito: sembra che ci si stia battendo contro il diniego di un diritto soggettivo come se fosse un privilegio, ma il riconoscimento de* figli* è anche e soprattutto una responsabilità che in questo caso lo stato nega perché considera le persone LGBT come “difettose”, e quindi incapaci di compiere atti validi o comunque come un pericolo per * bambin*. Le famiglie LGBT non sono vere famiglie perché le persone LGBT non sono vere persone, ma anomalie da contenere. E questo anche al costo di rendere orfan* quell* bambin* che cadono tra le crepe del sistema, che non possono essere adottat*, o che hanno riconoscimenti precari: una bella ipocrisia per una maggioranza fanaticamente familista che usa regolarmente * bambin* per scopi di propaganda politica.

Questa sentenza è una buona notizia perché interrompe la violenza burocratica e il caos intenzionalmente creato sulla materia, e soprattutto se potrà essere usata per ottenere sempre di più e scardinare altri pezzi di ordinamento patriarcale. (Anche se è da notare che con lo stesso deposito di questa sentenza ne è stata emessa un’altra, la n.69, che conferma le norme che non consentono alla donna single l’accesso alla procreazione medicalmente assistita.)

Tuttavia una riserva più profonda resta: questo genere di riconoscimenti forzano le famiglie dentro i canoni di una società basata sull’ordinamento attuale, avallando degli istituti che in realtà sarebbero da abbattere. Se è vero che le soggettività minoritarie hanno bisogno di riconoscimento da parte della società per poterla percorrere apertamente, è anche vero che finché continueremo a fondare le nostre richieste su strumenti inadeguati si continueranno a creare cortocircuiti, paradossalmente rafforzando istituti patriarcali e la dipendenza dallo stato, così com’è stato per le unioni civili. Famiglia, parentela, filiazione, nascono dal desiderio e dall’incontro del soggetto con l’altro, ma cercano riscontro nella sfera sociale. Finché questo riscontro sarà mediato e sancito dalle istituzioni non si potrà parlare di vera liberazione, e questo vale per tutte le soggettività: tutt* i soggetti del potere saranno sempre sudditi messi gli uni contro gli altri per dividere e controllare. Le persone LGBT e le loro famiglie sono solo uno dei capri espiatori che servono per distrarre dal fatto che i governi solo garanti del capitale e che preparano la guerra interna ed esterna sacrificando tutt* a questo programma. Prova ne sia che neppure le famiglie “tradizionali” se la passano bene: fare figl*, educarl* e mantenerl* è sempre più economicamente inaccessibile.

Di fronte a questo stato di cose, è difficile immaginare come saranno le vite – e le famiglie – de* nat* nel 2025…

Julissa

Related posts