I cosiddetti “smart phone” sono sicuramente tra le merci più vendute degli ultimi anni e, visto che sono un riconosciuto “status symbol”, anche le più rubate. Già nel 2012 la polizia di San Francisco sosteneva che quasi la metà dei furti avvenuti in città riguardava un cellulare [1] e oggi nel Regno Unito vengono rubati circa 2 mila telefonini al giorno [2]. Sono dati che non stupiscono, in quanto non è certo un mistero che intorno alla comunicazione elettronica ruota una intera economia, il che vuol dire linee di produzione, sfruttamento del lavoro e una quantità di denaro difficilmente misurabile. Le immancabili statistiche sostengono che tale quantità equivale a quella del prodotto interno di una intera nazione (come la Spagna) e che supera, se confrontata ad alcuni singoli settori (come l’agricoltura), quella dell’intero pianeta. E’ quella che viene chiamata “economia digitale” ma che, a dispetto del nome, è molto più concreta di un SMS o di una pagina web. Come accade per tutte le economie anche questa viene attaccata da fuorilegge che partecipano a modo loro alla redistribuzione di una piccola parte della ricchezza creata dal lavoro umano. In questa economia, al contrario di quanto avviene in quelle tradizionali, non sempre il furto corrisponde a privare qualcuno di qualcosa. Scaricare musica senza pagare, svuotare con operazioni on-line il conto bancario o usare una carta di credito altrui, sono solo alcuni dei reati ormai comuni attraverso i quali anche chi è a totalmente digiuno di informatica può farsi un’idea di quanto telematica e denaro siano collegati sempre maggiormente alla vita delle persone.
Un legame che rende le persone sempre più schiave della tecnologia sia direttamente, quando viene usata anche quando non è indispensabile, sia indirettamente quando le persone vengono strette da nuove catene proprio perché usano una determinata tecnologia. Una sorta di “servitù volontaria” nuova versione.
Per provare a rimediare ai troppo frequenti furti dei telefonini, alcuni dei produttori più importanti hanno dotato da tempo le loro macchine di programmi in grado di rintracciare, tramite l’uso del GPS e di Internet, i cellulari che hanno cambiato padrone. Ma anche questa misura non ha scoraggiato i furti e quindi il passo successivo è stato l’implementazione di “interruttori centrali”, vale a dire la possibilità di “spegnere” un telefonino a distanza, impedendone in tal modo l’uso. Come per tutti i programmi, anche questo deve essere attivato per funzionare e quindi – da solo – non sarebbe in grado di incidere in modo significativo sul numero dei furti. Alcuni tra i produttori che hanno installato questo tipo di interruttori sostengono comunque che questo ha fatto drasticamente diminuire il numero dei furti dei loro modelli [3].
Ma a fare un bel salto in avanti hanno pensato alcuni politici americani che hanno avuto la brillante idea di proporre leggi che impongano ai produttori di mettere in vendita i loro telefonini con questi interruttori, magari già attivati. Attualmente sono due gli stati degli USA che hanno in vigore una norma del genere, ma anche in altre nazioni si stanno orientando verso questa soluzione [4], nonostante le critiche che questi sistemi raccolgono [5].
Obbligare, per legge, all’uso di un sistema centrale per la gestione di uno strumento personale come un telefono portatile costituisce un ulteriore passo verso un controllo sempre più capillare dei singoli individui. E più i cellulari saranno tecnologicamente avanzati maggiore sarà la perdita di libertà di coloro che li utilizzano: da strumento di comunicazione interpersonale a strumento di controllo comportamentale.
Pepsy
Link
[1] http://www.huffingtonpost.com/2012/10/20/stolen-iphones_n_1992843.html
[3] http://uk.reuters.com/article/2015/02/11/uk-usa-smartphone-killswitch-idUKKBN0LF09320150211
[4] http://technology.inquirer.net/40751/doj-urges-telcos-to-adopt-kill-switch-technology