Inaspettatamente, l’opportunistico commento di Grillo “Questo è un VAFFANCULO generale. Trump ha fatto un VDay pazzesco” è stato subito assunto come acuta analisi politica anche da democratici ed estremi sinistri che, seppure con motivazioni diverse, hanno cercato di “normalizzare” l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, ritenendola come l’espressione di un diffuso quanto fisiologico voto di protesta, magari potenzialmente antagonista verso i poteri forti o, secondo Michael Moore, una sorta di “scherzo ad un sistema politico malato”.
Anche riguardo alla Lega Nord, un trentennio fa, alla sua iniziale affermazione si lessero cose analoghe, magari con la pretesa di essere analisi radicali: per Bossi - veniva scritto – hanno votato settori popolari e persino operai che in realtà intendevano protestare contro la corruzione politica e il centralismo governativo; eppure, fin dal suo sorgere, il leghismo era ideologicamente nato come espressione del razzismo antimeridionale, riprendendo i pregiudizi e i luoghi comuni di quello che negli anni Sessanta aveva visto nelle grandi città industriali del Nord la discriminazione e il disprezzo degli immigrati meridionali, proprio a partire dalle fabbriche e dai colleghi di lavoro che trattavano i “terroni” come degli arretrati senza coscienza politico-sindacale.
Così, molta sinistra italiana negli anni Novanta si illuse di recuperare consensi, facendo proprie le tematiche dei flussi migratori, della sicurezza, del degrado dei quartieri, etc. rafforzando al contrario proprio il leghismo e una certa attitudine forcaiola “dal basso”. Per questo, la Lega Nord, si è dimostrata e consolidata come uno dei principali vettori e istigatori della guerra tra poveri e del razzismo di Stato, inventando e additando sempre nuovi nemici esterni, anzi extra-comunitari: gli albanesi, i rumeni, gli slavi, i marocchini, gli africani, i cinesi, gli zingari… tutti etichettati come clandestini, ma anche gli italianisssimi senza-casa, mendicanti, omosessuali, lesbiche, trans, tossicodipendenti, giovani dei centri sociali, volontari umanitari, etc. reclamando come soluzione pulizia etnica, manganelli, ruspe, sgomberi, espulsioni, galere, telecamere, manicomi e persino castrazione.
Sicuramente, negli Stati Uniti, il miliardario Trump ha usufruito anche del sostegno elettorale dell’estrema destra, dal Ku Klux Klan al Partito nazista americano di Rocky Suhayda, caratterizzando in senso ariano, anche sul piano dell’immagine, tutta la campagna elettorale e il suo staff politico-familiare, includendovi persino figure notoriamente legate al suprematismo bianco come Steve Bannon, ma la sua carta vincente è stata probabilmente la capacità di far riemergere e legittimare la tradizione razzista americana e, d’altronde, la stessa nascita degli Stati Uniti rimane storicamente legata dapprima al genocidio delle popolazioni native indiane e poi allo sfruttamento della schiavitù negra.
Basti ricordare come nel mitico West, persino i fuorilegge potevano sostanzialmente uccidere impunemente negri, pellerossa e messicani.
In altre parole, Trump e i settori economici a lui legati hanno saputo giocare la carta del mai debellato razzismo popolare e che continua a ispirare ampi settori statali, a partire dagli apparati di polizia, notoriamente sotto accusa per gli assassini nelle strade di innumerevoli persone di colore.
E, vedendo gli Stati in cui Trump è risultato vincitore, non si può non ricordare l’emblematico antecedente della Black Legion negli anni Trenta, organizzazione segreta razzista e anticomunista. Fondata tra il 1924 e il 1925 a Bellaire, nell’Ohio, su iniziativa di militanti e caporioni come William Shepard provenienti dal KKK, raccolse inizialmente i lavoratori bianchi immigrati dal Sud, affermandosi durante gli anni Trenta nei maggiori centri dell’industria dell’auto: dal nord Ohio al Michigan, dall’Indiana all’Illinois. A Detroit giunse a contare 6.400 menbri, a Pontiac 3.200, a Flint 2000, a Toledo 3000. Nel 1936 i suoi aderenti era già circa 40.000, ma negli anni successivi sarebbero ulteriormente aumentati, tra i 60 e 100 mila.
A differenza del Klan, la Black Legion caratterizzò la sua propaganda ed azione violenta non solo contro “negri e stranieri” ma anche nei confronti di anarchici, comunisti, ebrei e cattolici, così come emerge pure dal giuramento di affiliazione. In collegamento con le polizie private e statali, svolse ruoli di crumiraggio e spionaggio per le principali industrie dell’auto come la Ford Motor Company e la Hudson Motor Car Company, rendendosi responsabile di assassini di sindacalisti quali George Marchuk, John Bielak e Charles A. Poole.
Proprio al rapimento e all’uccisione di quest’ultimo a Detroit nel ‘35 è ispirato il film “Black Legion” del 1937, diretto da Archie Mayo e interpretato dal giovane Humphrey Bogart. La trama, basata su atti processuali e documenti originali - come il giuramento di iniziazione - risulta particolarmente interessante in quanto riesce a mettere a fuoco le dinamiche e la logica del razzismo pure all’interno della working class, facente leva proprio sulla contrapposizione fra salariati di diversa nazionalità invece che sulla solidale lotta di classe antipadronale, come accadde pure agli immigrati italiani considerati come esseri inferiori e delinquenti nati.
Proprio dentro questo meccanismo discriminante, va infatti cercato il consenso anche proletario e popolare per Trump che non ha perso occasione, durante i suoi comizi, di dichiararsi difensore del lavoro americano, contro i lavoratori immigrati - in primo luogo ispanici, cinesi e arabi - evocando un presente-futuro di guerra civile in cui i “patrioti” stellestrisce devono difendersi con le armi dagli invasori.
Nella vecchia pellicola in bianco e nero, Frank Taylor è un operaio del Midwest che viene scavalcato per la promozione a caposquadra da un collega di origine straniera, Joe Dombrowski. Risentito per quello che ritiene un sopruso, decide di unirsi alla Legione Nera dietro suggerimento dell’amico Cliff Summers. Incappucciati e vestiti di nero, Frank e i seguaci della Legione organizzano una spedizione punitiva incendiando l’allevamento di polli di Dombrowski e caricandolo a forza col padre su un treno merci diretto fuori città. Frank ottiene quindi la promozione ma ben presto le sue attività di reclutamento per la Legione Nera ostacolano il suo lavoro e viene retrocesso a favore di un altro collega di origine irlandese, Mike Grogan. La setta organizza un nuovo raid ai danni di quest’ultimo e gradualmente Taylor diventa un razzista brutale, giungendo ad uccidere l’amico Ed Jackson e ad allontanare la moglie Ruth. La sua uscita dalla formazione settaria non sarà quindi semplice, anche dopo aver ritrovato la propria umanità e consapevolezza.
Un lieto fine che oggi non è scontato, mentre resta aperta la questione del razzismo - e della sua variante sessista - penetrato anche negli ambienti sociali che più pagano il dominio del capitale, mentre certe interpretazioni “comuniste” non riescono a vedere che il primo muro da abbattere è quello eretto dagli sfruttati contro la loro classe.
Osservatorio anti-discriminazioni