“Lo sciopero generale di oggi viene annunciato come il primo sciopero contro il governo Lega/M5S. L’Usb aveva proposto di spostarlo a novembre, quando inizierà la discussione in aula della Legge di Bilancio, in modo da renderlo più robusto e soprattutto just in time rispetto al dibattito ne paese. Ma questi altri sindacati (animati spesso da una insana competizione di principio proprio verso Usb) hanno preferito mantenere la data del 26 ottobre.”
Stefano Porcari
Uno sciopero, più politico che generale in Contropiano* – Giornale Comunista on line del 26 ottobre
«Ho, come un anatomista, osservato molti uomini d’ingegno brillante e di reputazione incontestabile, idolo e segnacolo dei partiti; li ho visti tutti, tutti, qualunque ne fosse il principio, umiliarsi e mentire per giungere al potere»
Ernest Cœurderoy
È mia opinione che, posto che sia opportuno fare un bilancio di un’azione come – nel nostro caso – uno sciopero, sia necessario avere chiaro cosa l’azione stessa ha determinato nelle relazioni fra il soggetto che ha agito e coloro con cui si confronta e quali siano state le ricadute dell’azione stessa. Come credo sia noto, la piattaforma di sciopero concordata fra i sindacati che hanno promosso lo sciopero stesso, CUB SGB SI Cobas SLAI Cobas USI, non era, di per sé, innovativa e riprendeva i temi che caratterizzano il sindacalismo di base o, almeno, quelli che caratterizzano la sua componente più radicale da anni. Era, quindi, assolutamente evidente in primo luogo ai promotori che si trattava essenzialmente di una forma di agire comunicativo volto a conquistare a una posizione più avanzata settori della working class diversi e più ampi rispetto a quelli tradizionalmente raggiunti e a collocare le mille vertenze particolari che il sindacalismo di base in una prospettiva più ampia superando gli inevitabili caratteri di aziendalismo, corporativismo, chiusura che l’azione sindacale tende a produrre o, quantomeno, a subire. Si trattava, però, di farlo in una situazione parzialmente nuova, con un governo che si pretende “governo del cambiamento” e che prospetta una serie di provvedimenti sicuramente interessanti per settori di lavoratori e che ha una componente xenofoba, se non esplicitamente razzista, i cui discorsi trovano consensi fra i lavoratori stessi. Non a caso mai come in questa occasione da molti anni la proposta di sciopero ha suscitato critiche, a volte razionali ma spesso astiose e violente, da parte di sostenitori del governo e tanto più astiose e violente quanto più chi le sollevava è favorevole alle posizioni della destra xenofoba. Già il fatto che una mobilitazione del sindacalismo di base credi ostilità decisamente più che in passato ci fa comprendere come il governo carioca abbia riattivato in parte della popolazione un’adesione attiva alla politica istituzionale che sembrava spenta ma anche che i temi sollevati dallo sciopero, in primo luogo l’opposizione netta ad ogni forma di xenofobia siano temi importanti e sentiti. A questo proposito vale forse la pena di raccontare un fatto che, nei suoi limiti, dice qualcosa del clima sociale in cui viviamo. In un reparto di un’importante cooperativa torinese collocata storicamente a “sinistra” il caporeparto ha avuto, pochi giorni prima dello sciopero la simpatica idea di rivolgersi a dei lavoratori chiedendo, con fare fra l’ironico e il provocatorio, se avevano intenzione di scioperare a “favore dei negri”. Per sua sfortuna in quell’azienda è presente un discretto numero di iscritti e militanti della CUB, il suo comportamento è stato denunciato pubblicamente e la stessa direzione della cooperativa si è vista costretta e prendere le distanze e a sottoporre il meschino ad una lavata di capo non saprei dire quanto dolorosa ma certo inusuale. È facile però immaginare in quante occasioni comportamenti del genere non sono stati contrastati nello stesso modo. Tornando alla domanda posta all’inizio, anche solo tenendosi a questo tema, lo sciopero ha dato visibilità a un’opposizione sociale fortemente presente sui luoghi di lavoro e, nel contempo, con tutte le difficoltà del caso, capace di tenere duro su temi difficili da affrontare in ambienti ben diversi da quelli più “civilizzati” che fanno riferimento alla sinistra politico istituzionale. Non a caso, il corteo che ha attraversato la città di Torino è stato preceduto da due striscioni “PRIMA GLI SFRUTTATI” e “NON ABBIAMO GOVERNI AMICI” che non lasciano spazio a dubbi interpretativi. Se il primo è una risposta al “PRIMA GLI ITALIANI” leghista, il secondo riprende la tradizionale parola d’ordine NO TAV in un momento in cui il M5S, fra una piroetta e l’altra, sta dando un’ennesima, e forse per noi stucchevole, riprova, della correttezza di quanto scriveva, oltre un secolo addietro, Luigi Galleani su Cronaca Sovversiva col titolo “Mandateli lassù!”. Un altro elemento della volontà di ribadire ma anche di argomentare ed aggiornare la tradizionale rivendicazione dell’autonomia del sindacalismo di base, o meglio della sua componente più radicale, dal governo, dai padroni, dai partiti. La volontà, non pretendo vi sia la forza necessaria per tradurre la rivendicazione in iniziativa ma certo la chiarezza delle prospettive è importante, di opporsi alla deriva dominante si è verificata, per fare solo un altro esempio, a Taranto dove la mobilitazione si è caratterizzata sull’opposizione all’accordo sull’ILVA fatto da CGIL CISL UIL USB e che, come peraltro sta iniziando ad ammettere la stessa FIOM, non da nessuna garanzia per quel che riguarda la vita e la salute dei lavoratori e dei cittadini. Come abbiamo già avuto modo di rilevare, l’accordo ha una rilevanza politica straordinaria proprio perché, per un verso, rida spazio alla concertazione fra padroni, governo e sindacati che i governi PD, in particolare quello Renzi, avevano messo in crisi da destra e, per l’altro, riduce senza ambiguità la funzione del sindacato a quella di trattare sulle relazioni interne alla fabbrica abbandonando alla politica e all’impresa il governo di questioni quali l’ambiente e la salute. Porlo in discussione, di conseguenza, ha un valore politico e sindacale straordinario perché rovescia il punto di vista dominante opponendo all’interesse di impresa quello, contemporaneamente, dei lavoratori e quello della popolazione non posti in opposizione l’uno all’altro. Ciò che mi proponevo di dimostrare è il fatto che lo sciopero del 26 è stato politico nel senso alto del termine, quantomeno, e non sarebbe poco, perché ha messo al centro il tema dell’indipendenza e una serie di rivendicazioni in positivo – salario, riduzione dell’orario di lavoro, pensioni, welfare – e in negativo – no alle spese militari, alle grandi opere nocive, alla limitazione dei diritti sociali e sindacali ecc. . Ha quindi operato sul rapporto fra sindacato di base e classe combattendo, come spero di aver dimostrato, le derive corporative che rischiano di ridurre il sindacalismo di base a versione nanesca e caricaturale del sindacalismo istituzionale come è avvenuto a USB. Non è quindi casuale l’attacco di Contropiano che abbiamo pubblicato e che semplicemente si basa su di una menzogna visto che il problema non era di date ma di contenuti della mobilitazione, contenuti diversi fra chi accetta accordi pessimi in cambio di denaro e potere e chi si oppone a questa logica. D’altro canto la stessa USB, dopo aver organizzato una manifestazione nazionalsindacalista il 20 ottobre come controfuoco rispetto allo sciopero del 26, è arrivata al punto di indire assemblee sindacali territoriali nella scuola proprio il 26 per sabotare lo sciopero, una porcata che è anche un segnale di rabbia e di debolezza. Proviamo adesso a ragionare in positivo. Lo sciopero, ma era previsto, ha avuto un’adesione a macchia di leopardo, vi sono state alcune manifestazioni partecipate ed altre meno ma è bene ricordare che ve ne sono state a Catania, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Taranto, Torino senza contare diversi presidi a livello locale. Complessivamente un risultato da non disprezzare, anzi. Si tratta ora di operare in più direzioni: – come abbiamo verificato in diverse località, certo a Torino ma non solo, si è rinsaldato il rapporto con settori di movimento come comitati NO TAV, NO Olimpiadi ecc… è quella che chiamiamo in sintesi “politica di movimento” che andrebbe rafforzata e sviluppata con maggior puntualità e omogeneità nelle varie zone del paese; – quello dell’unità del sindacalismo di base è un discorso non nuovo e, per dirla con più franchezza che discrezione, a volte stucchevole visti i continui arretramenti che sono seguiti ai tentativi di unificazione. Pure va ripreso con forza sforzandosi di praticare l’unità possibile e sperimentare nuov
i terreni su cui farla crescere. Indubbiamente se, ad esempio, pensiamo alla scelta dei compagni del SI Cobas di puntare su di una manifestazione propria sabato 27 a Roma, ci rendiamo conto che è un percorso non semplice ma va ripensato in forme adeguate ai tempi; – una discussione larga sulle forme di azione è urgente. Vi sono settori della working class che non possono organizzarsi secondo schemi a cui siamo abituati ma che non devono, per questo motivo, essere abbandonati a quella solitudine sociale che sovente favorisce la penetrazione di ideologie reazionarie fra i lavoratori. Come porsi in relazione con loro rispettandone tempi e modalità di azione è una domanda che richiede sperimentazioni e risposte magari parziali ma non meno necessarie; – vi sono alcuni grandi temi quali l’opposizione alle politiche di guerra, la difesa delle libertà, la questione del welfare su cui si dovrebbe riuscire a organizzare campagne generali, produzione di filmati, manifesti, volantini e loro massiccia diffusione, costruzioni di iniziative comuni. Sono temi che vanno oltre la sfera sindacale ma che senza la presenza come soggetto autorevole di un fronte che unifichi le iniziative di un sindacalismo radicale e radicato sui luoghi di lavoro rischiano di essere monopolio di aree, con tutto il rispetto, marginali. Sono questi alcuni dei punti che ritengo vadano posti alla discussione delle prossime settimane senza, va da sé, escluderne altri.
Cosimo Scarinzi
Qui la cronaca del corteo di Milano
Qui la cronaca del corteo di Torino