Riassumere la storia del nodo italiano di Indymedia [vedi Umanità Nova, n.36 del 08/12/2019], in occasione del ventesimo anniversario dalla “fondazione”, è complicato. Sia perché le tracce che ne restano testimoniano solo in minima parte il suo percorso, sia perché ancora oggi citare “italy.indimedia.org” in alcuni ambiti sollecita i ricordi di chi ha partecipato e mette in luce le lacune di chi ha vissuto quella storia solo marginalmente. È complicato, però, soprattutto perché Indymedia in Italia non ha vissuto solo una vita ma molte. Nel testo che segue verrà usato (((I))) per fare riferimento al sito indymedia.org ed al network globale e (((i))) per il sito e il nodo locale italy.indymedia.org. Una versione leggermente diversa e più lunga di questo articolo si può trovare su https://pepsy.noblogs.org/ dove vengono pubblicati integralmente molti dei documenti qui solo citati e anche altri.
1. Italy prima di Italy
La prima traccia pubblica di Indymedia (((I))) in Italia è una e-mail datata 5 giugno 2000: “Il net_institute sta curando la realizzazione della sezione italiana di Indymedia (http://www.indymedia.org/)…”. Nel testo veniva annunciata una riunione organizzativa a Bologna ed una successiva a Roma, all’interno dell’Hackmeeting. Una settimana dopo compare on-line il sito italy.indymedia.org (((i))) annunciato ancora via e-mail: “Oggi, 12 Giugno 2000, alle ore 11.00 e’ stato attivato il canale web di Indymedia Italia”. I due messaggi hanno un contenuto molto simile e presentano (((i))) in una veste un po’ diversa da quello che poi diventerà in seguito, un progetto che si manterrà però sempre all’interno delle linee guida originali. Allo stesso modo venne diffusa a fine giugno la prima newsletter. La lettura dei tre documenti è un ottimo modo per capire come si muovevano all’inizio gli attivisti interessati a “fare indymedia”. Uno di loro ha riassunto così le fasi iniziali:
“I primi mesi di vita di Indymedia in Italia, da Giugno 2000 fino a Gennaio del 2001, sono segnati dalla nascita ufficiale, a Bologna, e dal primo piccolo mediacenter – TPO e libreria Grafton 9 – in occasione delle proteste contro il vertice OCSE. (…) Dal Gennaio 2001, con la copertura di Davos, fino al Giugno dello stesso anno (cioè prima di Genova) abbiamo un periodo che possiamo chiamare di consolidamento. L’episodio principale sono le manifestazioni – e la repressione – di Napoli, a metà Marzo. Il sito di Indymedia Italia è il punto di riferimento principale per l’upload di notizie e foto.” (…) La partecipazione al progetto Indymedia aumenta progressivamente, a livello nazionale, in primavera, in parallelo con i grandi preparativi dei movimenti verso le giornate di Luglio.”
Una versione meno formale di quegli avvenimenti è raccontata da un altro che li conosce bene: “Indymedia italia nasce così, come giochino da dare in pasto ai media al fine di dare visibilità alle mobilitazioni. (…) Dopo giugno 2000, il giochino indy rimane un po’ in sordina, mentre cresce lo sforzo fatto da alcuni ignoti che documentano in presa diretta le mobilitazioni (…) Indy ancora non se la cagano in molti (…) Ma durante l’estate succede una cosa curiosa: un gruppetto di persone provenienti da vari hacklab e da alcune esperienza telematiche (…) si ritrovano in quel del nuovo Bulk (…). L’argomento è indy e il suo uso potenziale. (…) Così chi era al Bulk quel giorno decise di entrare nella lista di gestione di indymedia e di iniziare a usarla per quello per cui serviva di più: creare un nuovo media dal basso di informazione, un canale potente, libero, aperto.”[1]
Alla fine del 2000 gli iscritti alla lista di gestione di (((i))) erano appena 35 e il progetto vivacchiava, snobbato dai mass-media ufficiali ma anche da buona parte del movimento. Nonostante il sito permettesse, per la prima volta in modo facile, di pubblicare senza filtri preventivi testi e immagini il suo impatto sul sistema dell’informazione italiana era stato poco significativo.
2. Genova e dopo
La seconda fase della vita di (((i))) ebbe inizio a Genova, quando decine di mediattivisti riuscirono a documentare quello che stava accadendo, spesso prima e meglio dei professionisti. In quei giorni la repressione colpì anche il “media center” che fu uno dei luoghi nel quale prese concretamente forma (((i))) così come poi verrà conosciuta. Genova fu il battesimo del fuoco nel quale si formò la comunità che gestì quello che poi sarebbe diventato per diversi anni il sito di informazione di movimento italiano più visitato in assoluto e, anche per questa ragione, il più amato ed odiato. I legami interpersonali creatisi a Genova resteranno un forte collante anche negli anni successivi, sarà infatti da questi che nasceranno iniziative parallele come “supporto legale”,[2] creata per dare un sostegno alla difesa di tutti i processati per i fatti del luglio.
La comunicazione istantanea della comunità degli “indyans” passava sicuramente attraverso la “chat”, un ambito nel quale a qualsiasi ora ci si ritrovava per chiacchierare del progetto, dell’universo e di tutto il resto. Il canale, dedicato al puro cazzeggio nei momenti tranquilli, diventava immediatamente, quando necessario, un veloce strumento operativo per coordinarsi e per lavorare insieme sui contenuti da pubblicare sul sito o per risolvere un determinato problema.
Per la comunicazione asincrona invece venivano utilizzate le mailing-list. La lista “italy” era una sorta di assemblea permanente, usata per discutere sul funzionamento del progetto in generale e sui singoli problemi. Su “editorial” si preparavano e si discutevano le “feature”, vale a dire i contenuti da pubblicare nella parte centrale della prima pagina del sito. A queste due liste si affiancavano “tech” (per i problemi tecnici) e “legal” (per le rogne legali). Le liste (salvo “legal”) erano visibili da chiunque direttamente da web.
Un altro ambito di comunicazione della comunità furono gli incontri nella vita reale, gli “indy-meeting”. Infatti, contrariamente a quello che si può credere, la voglia di vedersi di persona, senza la mediazione dei computer, è stata sempre molto forte. Gli incontri si tennero a: Bologna (2001), Perugia (2002), Roma (2002), Firenze (2002), Bologna (2003), Roma (2003), Milano (2004), Genova (2004) e infine Torino (2006). Tutte queste assemblee furono partecipate da molte decine, a volte centinaia, di persone.
Ai tre canali di comunicazione ricordati sopra va aggiunto un “Forum”, creato all’inizio del 2003 per tenere pulito il “newswire” (lo spazio dove chiunque poteva pubblicare dei contenuti) da discussioni e litigi. Ma non funzionò. La partecipazione fu molto bassa e, allo stesso tempo, continuarono i problemi che si volevano risolvere. Al meeting di Roma (2003) fu proposto di separare il “Forum” da (((i))). La proposta, accettata in assemblea, diede il vita a una discussione che proseguì sulle liste e che non approdò concretamente a nulla e il “Forum”, ormai abbandonato a sé stesso, chiuderà nel 2006.
Negli anni tra il 2001 ed il 2006, (((i))) diventò uno dei nodi del network internazionale più frequentati in assoluto ma anche una fonte di informazione continuamente consultata dai giornalisti dei media ufficiali. Nel 2006 i link relativi al sito presenti nei principali motori di ricerca erano superiori al totale di quelli dei tre principali quotidiani italiani.
Un discorso a parte meriterebbe il rapporto tra chi faceva (((i))) ed il network globale. Un legame mantenuto soprattutto tramite quelli e quelle che avevano la possibilità di partecipare di persona agli appuntamenti internazionali e da chi aveva la capacità, la costanza e la pazienza di seguire le decine di liste della rete globale. Fu un rapporto problematico, soprattutto con alcuni nodi nordamericani.
Gli apparati repressivi statali si interessarono in varie occasioni ad (((i))). Nel marzo del 2002 vennero ordinate una serie di perquisizioni (Torino, Bologna, Firenze e Taranto) a quelle che vengono definite “sedi” di Indymedia. Lo scopo era quello di sequestrare materiale video girato nel luglio 2001 a Genova. Più clamoroso fu il sequestro operato nel 2004 quando, con una triangolazione inusuale, una richiesta partita da un magistrato italiano si concretizzò in un sequestro, operato dal BI statunitense, di alcuni server fisicamente collocati nel Regno Unito. L’avvenimento provocò un discreto clamore a livello internazionale, visto che non era e non è cosa normale che il BI operi al di fuori del territorio statunitense e su richiesta della magistratura italiana. Dopo un giorno però (((i))) era di nuovo on-line, più famosa e seguita di prima.
3. Signore e signori, si chiude
Naturalmente non è stata una storia tutta fiori e cioccolatini, proprio perché (((i))) era sostenuta da una comunità plurale piuttosto che da una singola entità strutturata e omogenea. Col passare del tempo, oltre ai problemi interni si vennero a cristallizzare contro (((i))) accuse incrociate: alcuni l’accusavano di essere un covo di black-bloc, altri uno strumento controllato dai “disobbedienti”. Chi ha vissuto quella storia dall’interno sa bene che entrambe le accuse erano ridicole: il caos creativo prodotto dalla comunità difficilmente avrebbe potuto essere controllato da una qualsiasi fazione. Sicuramente molti dei mediattivisti erano legati, in modo più o meno organico, a gruppi, associazioni e collettivi politici ma, come spesso accade, il totale che veniva fuori era diverso dalla semplice somma delle parti.
Come per il Network internazionale la crisi di (((i))) è stata il risultato finale di una serie di problemi concreti piuttosto che prodotta da un unico fattore. Di seguito, in ordine casuale, alcuni dei principali motivi che hanno contribuito alla fine di quella esperienza.
– La crisi del “movimento no-global”, dal quale il network era nato nel 1999 e che aveva fornito l’humus favorevole per la sua crescita, che aveva concluso il suo percorso.
– I problemi dei movimenti si riflettono inevitabilmente sulle persone che ne fanno parte, così come quelli delle persone si riflettono sui movimenti. La vita dei singoli, il passare degli anni, i problemi concreti del lavoro e delle relazioni personali si ripercuotono inevitabilmente sull’attivismo. Le singole storie personali di quelle e quelli che furono la spina dorsale del progetto sarebbero molto più esplicative di qualsiasi altra cosa si possa scrivere su questo argomento.
– Gli strumenti tecnici, specialmente nel campo della comunicazione mediata da computer, cambiano velocemente e se (((i))) nel 2000 era sicuramente all’avanguardia nel campo della pubblicazione di contenuti in Rete lo stesso non si poteva più dire nel 2006. L’avvento dei telefonini “intelligenti”, la nascita di mega piattaforme commerciali e dei “social media” hanno avuto il loro impatto su un progetto nato quando per pubblicare qualcosa sul web bisognava ancora conoscere il linguaggio HTML e il protocollo FTP.
– Alcuni continuano a sostenere che uno dei motivi principali, se non addirittura quello più importante, che ha causato la fine di (((i))) sia stato il progressivo deterioramento della qualità dei contenuti pubblicati dagli utenti. Chi sostiene questo evidentemente non ha mai partecipato alle continue discussioni, in atto fin dall’inizio, su questi problemi.
La chiusura di (((i))) è un avvenimento che a volte è stato riscritto da memorie fallaci e in alcuni casi viziato da qualche bugia. La realtà è che poco prima dell’ultimo meeting chi aveva offerto gratis il server e la connessione invitò (((i))) a trovarsi una nuova “casa”. Un annuncio del genere colpì in pieno una comunità indebolita, che non si incontrava da quasi due anni e che aveva perso per strada – per vari motivi – molti dei suoi elementi propulsori iniziali. Il meeting del 2006 si annunciava problematico anche perché lo “sfratto” si andava ad aggiungere a tutte le altre criticità esistenti.
Nel X meeting tenutosi a Torino, i presenti concordarono (con qualche distinguo ma nessun veto) sulla necessità di far ripartire il progetto e per fare questo ritenevano necessario bloccare il sito web. Dopo un dibattito, a volte aspro ma nemmeno troppo, sulla lista di gestione che vide solo qualche opposizione a quella proposta il sito venne “congelato” il 30 novembre 2006 e subito dopo fu aperta la lista “italy process” sulla quale discutere della “rifondazione”.
La maggior parte degli attivisti che fino a quel momento avevano partecipato al progetto si iscrissero alla lista, alcuni preferirono cercare altre strade per continuare a fare informazione indipendente, altri semplicemente sparirono. La discussione sulla lista proseguì per diversi mesi, ma sempre con più attriti, poca partecipazione, meno entusiasmo e intanto, un po’ alla volta, alcuni di quelli che avevano lavorato nelle “categorie locali” decisero di avviare dei progetti pensati come un contributo a una sorta di ricostruzione “dal basso” di (((i))).
4. La “balcanizzazione”
Dopo il meeting di Torino la nuova fase fu aperta dal gruppo che nell’aprile del 2007 mise on-line toscana.indymedia.org. Nel giro di un anno furono creati altri nodi locali: Roma, Emilia-Romagna, Lombardia, Napoli, Piemonte, Liguria, Calabria, ecc… Una sola persona non potrebbe raccontare le storie di ognuno di questi nodi ma sicuramente la maggior parte degli attivisti e delle attiviste che li gestivano provenivano dall’esperienza originaria affiancati in alcuni casi da forze fresche.
Dopo qualche anno tutti i nodi iniziarono a mostrare i primi segni di crisi: toscana.indymedia.org chiuse nel marzo 2012 pochi giorni prima che venisse resa pubblica una inchiesta giudiziaria che lo coinvolgeva. La stessa sorte toccò nei mesi seguenti anche a tutti gli altri. L’ultimo a chiudere il nodo “Piemonte” che sopravviverà ad intermittenza fino al 2017 ed è proprio con la sua sparizione che si può considerare conclusa questa fase nella vita del progetto.
Anche in questo caso le ragioni delle chiusure vanno ricondotte a quel miscuglio di fattori ricordati più sopra ai quali va aggiunto il problema economico, spesso determinante per un sito gestito da un piccolo gruppo. Parallelamente alle vicende dei nodi locali e non necessariamente in contrasto con essi ci furono alcuni tentativi per rilanciare un sito “nazionale”. Una versione “beta” andò on-line a partire dal 2008 e fino al 2012 e poi funzionò a singhiozzo fino al 2014. Si tennero una serie di incontri per sostenere questo progetto ma i risultati ottenuti non sono mai stati premiati da un interesse che si allargasse fuori da una ristretta cerchia. Questa è però un’altra storia che altri potrebbero raccontare molto meglio.
5. Continua?
Anche per le molte vite del nodo italiano valgono le considerazioni finali scritte nell’articolo su (((i))) citato all’inizio: un progetto che ha avuto le sue contraddizioni, i suoi problemi, i suoi brutti momenti ed i suoi errori ma, anche sommandoli tutti, gli aspetti negativi non riuscirebbero a bilanciare quanto di importante e positivo è stato fatto in quell’ambito e in quegli anni. Una storia che appartiene a tutti quelli e quelle che continuano la lotta per la costruzione di mezzi di comunicazione autogestiti e indipendenti.
Pepsy
NOTE
[1] Vedi http://nero.noblogs.org/post/2006/11/20/la-vera-storia-delle-origini-di-indymedia-italia
[2] Vedi https://www.supportolegale.org/