Il pensiero libero di Gustav Landauer

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Il volume Gustav Landauer. Anarchico ebreo tedesco 1870-1919 di Gianfranco Ragona, ricercatore di storia del pensiero politico contemporaneo presso l’Università degli studi di Torino, non solo ha segnato un’indubbia svolta nelle ricerche su questo significativo militante tedesco, ma ha anche, a mio avviso, aperto importanti tracce di analisi su un pensiero anarchico e una prassi conseguentemente eretica in grado di darci parziali indicazioni sull’annoso “che fare” quotidiano. Esso è uno strumento utile, ricco e poliedrico per i rivoluzionari d’oggi ed è sicuramente salutare che, anche grazie a questo lavoro di Ragona, alcuni degli aspetti principali del pensiero di Landauer siano oggi più conosciuti che in passato, e non solo nei circuiti accademici. Del resto di Landauer nel movimento di lingua italiana si è sempre saputo abbastanza poco, a eccezione di qualche articolo di Ugo Fedeli degli anni Venti e del secondo dopoguerra (cfr. Per ricordare un compagno caduto, ‘Rivendicazione’, Parigi, 24 maggio 1924; Il socialismo di Gustavo Landauer, ‘Volontà’, gennaio 1950), di una traduzione di un breve scritto di Paul Avrich (Cfr. ‘An.Archos’, gennaio-marzo 1979) e di un capitolo de Il pensiero anarchico di Nico Berti (Lacaita, 1998, pp. 717-730). Ora Ragona fa nuova luce su Landauer e sul suo pensiero, come del resto sta accadendo da anni in Germania, in Francia e nei paesi anglofoni. Dopo questa ricerca, editata nel 2010 da Editori Riuniti (447 pp. 25 euro), il ricercatore torinese ha curato diversi altri lavori, tra cui una minuziosa bibliografia e un’antologia di scritti dello stesso Landauer (Gustav Landauer. A Bibliography 1889-2009, Edizioni di storia e letteratura, 2011; La comunità anarchica, Elèuthera, 2012), ai quali è seguito un utile volume di sintesi sull’anarchismo uscito per Laterza nel 2013 (Anarchismo. Le idee e il movimento) e recensito su queste pagine da Claudio Venza (vedi Culture, 13 novembre 2013). Noi invece torniamo indietro all’impegnativo studio del 2010, che analizza riflessioni e pensieri di un secolo prima, perché è qui che a mio avviso si trovano alcune suggestioni, o indicazioni, che saranno poi sviluppate da altri libertari impegnati, individualmente o collettivamente, a costruire “vie pratiche all’anarchia”. Proviamo a capire di che si tratta.
La critica del potere e dello stato, ma anche del partito, del parlamentarismo e della democrazia rappresentativa, che opera Landauer è direttamente funzionale alla creazione e diffusione di comunità solidali, egualitarie, non gerarchiche, alla quale ha dedicato la sua vita intellettuale e militante. Questo è il significato profondo della sua riflessione “antipolitica”, come è stata più volte definita (p. 11). A ben pensarci essa costituisce l’opzione in campo più credibile e feconda per l’anarchismo odierno, ed è anche quella più esercitata tanto da un punto di vista teoretico quanto da uno pratico e contingente: l’anarchia è costituita, qui e ora, da spazi, tempi, pratiche in continua liberazione dal dominio e in perpetuo movimento contro di esso.
La strada che porterà Landauer a tali teorizzazioni e all’impegno pratico conseguente prende le mosse a inizio degli anni Novanta dell’Ottocento da una coraggiosa critica del potere statale, sulla scia delle indicazioni di Eugen Düring (ricordate l’Anti-Düring di Engels?), fautore di una forma antipolitica della società futura organizzata secondo federazioni di comuni economiche a base cooperativa (p. 46). Gli altri miti da demolire sono il determinismo e lo scientismo marxiano e anche da quest’opera pioneristica Landauer non si tira indietro, giudicando la presunta “necessità naturale” dello sviluppo e del progresso come una “superstizione” (p. 52) e precisando che “la realizzazione del socialismo non è dimostrabile scientificamente” (p. 174). A essere oggetto di critica sarà poi anche l’interpretazione schematica della concezione materialistica della storia tipica del marxismo, che secondo l’anarchico tedesco “riduceva a ideologia sovrastrutturale ogni manifestazione spirituale ed etico-politica ed elevava dogmaticamente i dati economici a criteri di spiegazione di tutti gli altri aspetti di vita” (p. 337).
La cifra del pensiero rivoluzionario di Landauer è, innanzitutto, etica (p. 379). Ciò vuol dire che le basi del progetto utopico di liberazione devono essere già poste nel presente in conformità con il fine prefigurato (pp. 92 e 168). “I singoli – scrive nel programma editoriale del periodico ‘Sozialist’ nel 1895 – per quanto nelle condizioni attuali sia possibile, vivano sempre in conformità con i loro princìpi” (p. 110). Il fine, a sua volta, non è la conquista del potere politico statale, né l’integrazione a esso, ma la separazione (pp. 94, 192, 371). Secondo le sue parole: “La classe lavoratrice deve in primo luogo rifiutare a questa società il suo servizio economico, costituendosi quale libera società organizzata dentro la società” (p. 94). Da qui una riflessione che dà linfa a un dibattito complesso e sempre attuale e che non può che continuare a sollevare critiche: per Landauer è l’unione dei consumatori attraverso le cooperative di consumo che fa progredire l’umanità verso il socialismo, più dello sciopero e del boicottaggio (p. 104).
Cooperative di consumo animate direttamente dai lavoratori (e non più di stampo filantropico-borghese) – come la Befreiung berlinese di metà degli anni Novanta dell’Ottocento (pp. 79 e ss.) –, cooperative di produzione (ad esempio quelle gestite da contadini organizzati in “liberi gruppi autonomi”, pp. 162-163, 366), cooperative culturali sono tutte forme pratiche di vita comunitaria. Esse funzionano secondo il principio della democrazia diretta, già sperimentato nelle assemblee di distretto e di sezione della rivoluzione francese (pp. 377, 400). L’interazione tra queste comunità ha la potenzialità di dare vita, nell’utopia di Landauer, a una contro società “che pacificamente si sarebbe sottratta all’influenza della società esistente” (p. 193). A mutare, in tali comunità, sono innanzitutto le relazioni tra gli uomini (p. 106). Gli anarchici hanno anche in questo campo il ruolo di “precursori” (pp. 166, 388): non devono farsi movimento di massa né inseguire le masse, ma “precederle” (p. 189), scrive l’anarchico tedesco, a indicare come sia irrisolto anche nell’anarchismo (al di là di artifici retorici di comodo) il rapporto con il concetto di avanguardia, tanto con la sua necessità politica quanto con la sua potenziale antieticità.
Nella visione di Landauer socialismo e anarchia si integrano, fino a coincidere. Il suo socialismo è, “movimento spirituale e comunità” (p. 113). Esso da una parte riecheggia influenze völkisch e neoromantiche e fa riferimento a un’idea di società non statale caratteristica del medioevo (pp. 261. 367), dall’altra è, nel solco dell’ebraismo, “rigenerazione” (p. 313), un concetto che troverà un continuatore in Martin Buber, il quale assume il comunitarismo di Landauer nell’ambito del sionismo (pp. 214 e ss.; sull’incontro tra la tradizione anarchica e quella ebraica vedi pp. 281 e ss.; cfr. anche Amedeo Bertolo (a cura di), L’anarchico e l’ebreo. Storia di un incontro, Elèuthera, 2001).
L’anarchia, a sua volta, non è la fine della storia, ma un modo nuovo di affrontare i problemi degli uomini, senza necessità di ricorrere a organizzazioni statuali o a un organismo sovrastatale (p. 137).
A unire socialismo e anarchia è il concetto di utopia, intesa quale “mescolanza di aspirazioni individuali e di tendenze della volontà” che agisce in senso rivoluzionario nelle contraddizioni della società (p. 254).
Una visione, questa, che trova una configurazione concreta nel programma dell’Alleanza socialista (che lui vede come una “libera organizzazione in gruppi autonomi e multiformi”, p. 354) e nella linea editoriale del ‘Sozialist’ del primo quindicennio del Novecento (pp. 321 e ss.), ma anche nella sua ferma opposizione alla prima guerra mondiale e nell’attivismo entro la rivoluzione bavarese dei consigli del 1918-1919 (pp. 395 e ss.), a causa del quale viene infine arrestato, seviziato e ucciso dai corpi franchi del socialdemocratico Gustav Noske. Proprio come era accaduto alcuni mesi prima a Berlino a Rosa Luxemburg e a Karl Liebknecht.
A. Soto

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