Relativamente all’intervento del Collettivo Anarchico Incubo Meccanico – così come in generale alle posizioni del cosiddetto “primitivismo”, Zerzan in testa – la mia prima reazione è in genere quella di ringraziare ironicamente i compagni che hanno prima registrato su di un supporto digitale, poi trascritto con un word processor su di un personal computer le parole dal vivo dei primitivisti, per poi utilizzare le moderne tecnologie di stampa industriale o quel sistema di server e reti cablate detto Internet allo scopo di farcele conoscere. Un lavoro duro, ma evidentemente necessario, dato che un primitivista coerente dovrebbe ben rendersi conto che la tecnica della scrittura è del tutto sconosciuta alle società primitive ed è nata più o meno in contemporanea alla apparizione delle aborrite società stanziali dedite all’agricoltura e quindi dovrebbe limitarsi all’oralità.
Mi rendo ben conto che, in se e per se, è una fallacia logica sostenere che una posizione è sbagliata per il solo fatto che chi la sostiene non si comporta coerentemente rispetto ad essa. La questione, in realtà, va oltre l’aspetto ironico: il punto del linguaggio come tecnica è, a mio avviso, dirimente.
Heidegger aveva detto che “l’uomo è per natura parlante, e vale per acquisito che l’uomo, a differenza della pianta e dell’animale, è l’essere vivente capace di parola. (…) S’intende dire che proprio il linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli è in quanto uomo. L’uomo è uomo in quanto parla.”[1] Ma, con buona pace di Heidegger, anche senza il linguaggio, l’uomo si sarebbe distinto dal resto del mondo per il suo essere homo faber. Molto prima di distinguersi dagli altri enti per il linguaggio, infatti, l’uomo si è distinto per la straordinaria invenzione ed utilizzo di Tecniche: espansioni delle capacità del proprio corpo di interagire vantaggiosamente con l’ambiente circostante. Ora, le tecniche che usa l’homo sapiens sapiens sono di due tipi:
Tecniche di Condizionamento Corporeo: tramite la ripetizione continua di determinati gesti (maggiormente adatti ad un determinato scopo e che non vengono spontanei senza tale allenamento), gli esseri umani migliorano le capacità di interazione con l’ambiente del proprio corpo naturale – si pensi alle abilità artigiane, alle arti marziali, alla giocoleria, ecc.
Tecniche Esterne al Corpo: oggetti talvolta naturali ma molto più spesso costruiti che, in interazione con il corpo umano, ne potenziano le capacità naturali – si pensi agli abiti, agli occhiali, ai computer, ecc.
Il linguaggio è una tecnica sia del primo sia del secondo tipo: in effetti ci si condiziona con la ripetizione continua di suoni, segni o gesti da noi prodotti e che indicano determinati stati del mondo a identificare immediatamente questi ultimi invece dei loro “segnaposto”, per dirla con Parmenide. Come suol dirsi, il segno “gatto” certamente non graffia: ciononostante ciascuno di noi, grazie al continuo allenamento linguistico cui si è sottoposto sin dai primi momenti della sua esistenza, alla percezione del segno (il “significante”) visto su queste pagine ha immediatamente fatto scattare nella sua mente, in modo oramai del tutto involontario, l’immagine concettuale (il “significato”) del piccolo felino ed è in grado di riconoscere gli oggetti (il “denotato” o “referente”) in questione. Allo stesso modo, suoni, segni, gesti si trasformano in talvolta enormemente complesse immagini del mondo, come quelle delle scienze.
Il tutto funziona tramite un allenamento costante, che ci condiziona a formare questo collegamento tra Significanti, Significati e Denotati e ad acquisire una “sintassi”, ovvero una serie di regole di montaggio dei significanti tra loro per ottenere significati complessi.[2] Che c’entra tutto ciò con la posizione primitivista? È che, in realtà, il linguaggio non è una tecnica tra le altre, ma è a fondamento, anche quello semplicemente orale, degli sviluppi tecnici e tecnologici delle società stanziali: queste sono nate da questo. L’agricoltura, infatti, a differenza dei processi di caccia e di raccolta, necessita della comunicazione linguistica in senso forte per potersi sviluppare – per fare due esempi letterari, un “uomo dei lupi” mai esposto al linguaggio in senso forte, a differenza di Robinson Crusoe, non saprebbe coltivare la terra.
Dunque, non ha senso criticare la stanzialità, l’agricoltura e non opporsi alla tecnica che ne è stata a fondamento: il linguaggio. Certo, può essere una scelta politica quella di indirizzare l’intelligenza umana – quella amplificata dal linguaggio – in una certa direzione e non in un’altra: continuare a parlare e smettere di coltivare. Il fatto è che non se ne capisce il senso: se la mia intelligenza sociale diviene in grado di operare tali scelte e di controllare l’utilizzo o meno di una determinata tecnica, perché non utilizzare tutte le tecniche utili ed allo stesso tempo compatibili, per dirla alla Jonas, con il mantenimento della vita, umana e non, sul pianeta terra? Perché compiere una scelta, il rifiuto dell’agricoltura, che implicherebbe lo sterminio del 99% dell’umanità? Perché altrimenti ne scomparirebbe il 100%? Ma questo non è affatto detto: è una petizione di principio, che nasce dalla confusione tra tecnica ed uso sociale della stessa, tra sapere e gerarchia.
Negli anni ottanta del secolo scorso fa uscì un testo che ebbe una certa risonanza negli ambienti New Age; Il Calice e la Spada, della studiosa femminista e libertaria Riane Eisler.[3] Perché i due oggetti del titolo? Perché entrambi sono fatti di metallo, derivano entrambi dalla tecnica metallurgica dei popoli invasori e gerarchici distruttori delle società egualitarie stanziali preistoriche, eppure il primo è uno strumento volto alla vita ed alla socialità, il secondo uno strumento di morte: è una scelta politica, ci dice la Eisler, quella di indirizzare la tecnica in direzione della vita o della morte.
Inoltre la lettura del testo, come di altre letture maggiormente specialistiche, è interessante anche sulla questione dell’agricoltura. Quando si parla del fatto che l’agricoltura avrebbe peggiorato le condizioni di vita delle popolazioni stanziali rispetto a quelle dei cacciatori-raccoglitori, in realtà si dimentica un aggettivo: bisognerebbe dire l’agricoltura in epoca storica. Questo perché l’agricoltura e la stanzialità non sono nate 5.000 ma 10.000 anni fa e, prima che nascessero schiavitù, governi, sessismo e quant’altro, per 5.000 anni le condizioni dell’umanità erano nettamente migliorate relativamente al nomadismo. Con la nascita delle società gerarchiche è avvenuto il disastro: il crollo dell’aspettativa media di vita, della statura, ecc.
Insomma, il primitivismo rischia di nascondere – in questo senso credo che lorcon dica che è “reazionario”, io direi “ideologico” – il ruolo delle gerarchie sociali dietro la demonizzazione della tecnica, un po’ come Heidegger tentava di nascondere dietro un preteso “destino della tecnica” le responsabilità politiche delle gerarchie naziste (di cui lui era stato parte). Come se l’ingegneria edile costringesse “destinalmente” l’umanità alla costruzione dei lager.
Enrico Voccia
NOTE
[1] HEIDEGGER, Martin, In Cammino Verso il Linguaggio, Milano, Mursia, 1988, p. 27.
[2] Qui sto descrivendo il linguaggio in senso forte, dotato di una sintassi e dove Significante, Significato e Denotato non si assomigliano in alcun modo tra di loro, salvo rare eccezioni (le parole onomatopeiche). In realtà andrebbe citato il linguaggio “analogico” in cui il Significante, il Significato ed il Denotato sono legati da un rapporto di somiglianza, che si usa quando gli interlocutori non possiedono un linguaggio nel senso forte del termine in comune e può servire anche a comunicare con gli animali con un certo grado di sviluppo del sistema nervoso. Da non sottovalutare, poi, il Linguaggio Ostensivo (che mostra), quello in cui Significante, Significato e Denotato sono un’unica cosa e che si usa quando l’interlocutore non conosce un determinato oggetto e/o deve imparare un determinato linguaggio e non conosce la connessione tra Significante, Significato e Denotato in quella lingua. Utilissimo non solo per imparare a parlare, ma anche per evitare inganni: chi afferma la realtà di una cosa deve essere sempre pronto alla denotazione se ciò gli viene richiesto – altrimenti il suo rifiuto è un notevole indizio del fatto che dica il falso, in buona o cattiva fede. In merito, la scenetta del “Sarchiapone” di Walter Chiari resta insuperabile: vedi https://www.youtube.com/watch?v=nywnVhPyiIg .
[3] EISLER, Riane, Il Calice e la Spada. La Civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad Oggi, Udine, Forum (2 ed.), 2011.