La tensione internazionale creatasi tra NATO, Russia ed UE nella contesa ucraina può essere valutata anche alla luce della questione energetica. Relazioni internazionali ed energia sono fattori che si condizionano a vicenda: l’energia da componente economica si trasforma inevitabilmente in geopolitica modificando gli equilibri globali e nei “venti di guerra” di queste settimane il ruolo centrale spetta al gas.
Sul piano locale (rapporti UE/Russia) il gas lega a triplo filo gli interessi delle due parti. Il 48% dell’“oro blu” che viene bruciato in Europa proviene dalla Russia e circa il 60% dei proventi del gas russo vengono dall’UE. Tale situazione ha un immediato riflesso anche nelle relazioni globali: non è un caso che, tra i primi obiettivi dell’attuale amministrazione americana, vi siano stati il ricompattare politicamente e militarmente il fronte atlantico del lato nord ed est europeo e, contemporaneamente, ostacolare l’entrata in funzione del gasdotto North Stream2.
La pipeline (in fase di completamento ed attualmente in stand by per ragione burocratiche) collega direttamente la Russia e la Germania escludendo il transito in paesi terzi. Il North Stream 2 oltre che soddisfare vitali ragioni economiche (la sola Germania compra dalla Russia quasi 46 miliardi di metri cubi l’anno, contro gli appena 39 dell’Europa centro-orientale) è di fatto arma strategica nelle mani di Mosca.
Il legame economico diventa politico ed è nel contempo elemento divisivo all’interno dell’Europa e della NATO. La strategia di Mosca – qui sta il punto centrale geopolitico – è quella di creare o, meglio, mantenere in vita quelle divisioni intra-europee e quindi intra-NATO. Tali divisioni non hanno solo un aspetto politico ma trovano ragione anche nella ineguale fornitura di gas.
La progettazione del Nord Stream 2 taglia di fatto altri paesi come la Polonia e la Lituania: non è quindi un caso che le posizioni dei paesi europei, nei giorni di maggiore tensione, si siano differenziate. La Germania è stata la meno rigida nei confronti della Russia, così come la Francia si è proposta immediatamente per il dialogo con l’incontro tra Macron e Putin.
È da sottolineare l’attivismo francese. Macron, di là dell’immagine mediatica – l’uomo del “dialogo” – ha voluto rimarcare lo spazio politico intra-europeo che si sta ritagliando, con l’appoggio dell’Italia, all’interno dell’Europa. La Francia sta tentando di costituire un asse franco-italiano, in sostituzione di quell’accordo franco-tedesco che per decenni ha di fatto costituito un vero e proprio direttorio continentale. La nuova cordata franco-italiana, sancita due mesi fa dall’accordo del Quirinale, è anche un tentativo di rendere l’UE più autonoma nei confronti degli USA e della NATO. La proposta francese, appoggiata dall’Italia, di un esercito europeo non a caso ha suscitato una immediata e marcata reazione negativa da parte della NATO.
La corsa dei maggiori leaders europei al Cremlino, l’ultimo sarà Draghi invitato direttamente da Putin, sono il conto che la dipendenza energetica europea deve pagare a Mosca. In sintesi, se il gas è anche arma geopolitica, Putin ha messo a segno un risultato: quello di creare delle faglie all’interno del fronte atlantico.
Come reagire al ricatto energetico russo? Tre sono al momento le soluzioni. La prima è la ricerca di nuovi giacimenti al di fuori dell’area di influenza di Mosca; la seconda è l’utilizzo del gas nella forma liquida (GNL); l’ultima, tutta da verificare, lo sviluppo delle fonti energetiche alternative. La ricerca e messa in produzione di nuovi giacimenti oltre che siti già noti (nel 2021 il 22% del gas europeo è importato dalla Norvegia, mentre Algeria ed Azerabaigian partecipano entrambi con un 9%.) si sta orientando verso il Mediterraneo, precisamente il lato Est.
Alla scoperta del gigantesco giacimento egiziano di Zohr (ENI ne è stata la protagonista) si è affiancato il Consorzio East Med per lo sfruttamento del bacino di gas compreso tra Cipro e Israele, consorzio al quale partecipano Cipro, Grecia, Italia, Giordania, Israele e Autorità Nazionale Palestinese. Si stima che a pieno regime potrebbe rifornire di gas una quota pari al 10% di quello che viene attualmente consumato in Europa: l’East Med e Zhor rappresentano quindi una sfida diretta geopolitica tra Europa e Russia.
Il “Mediterraneo allargato” (termine coniato dagli analisti della difesa ma diventato ormai di uso comune) è la maggiore partita che si sta giocando, dal punto di vista energetico e geopolitico, tra Europa e Russia. Il rafforzamento del “Corridoio Sud” (l’insieme dei gasdotti e infrastrutture che trasportano il gas dal bacino euroasiatico meridionale) e la creazione di un hub del gas nel Mediterraneo (tramite l’East Med e il giacimento egiziano di Zhor) sono diretti concorrenti per Putin e la sua oligarchia energetica.
La seconda soluzione è prettamente tecnica ma con importanti riflessi strategici, cioè la scoperta di un nuovo metodo estrattivo Shale gas e la commercializzazione del gas sotto forma liquida, il GNL. Il Shale gas (gas estratto da giacimenti non convenzionali dei quali gli USA sono i leader mondiali) ha ampliato l’offerta sui mercati internazionali.
Il GNL (gas liquefatto) ha invece modificato la mappa dei paesi produttori di gas: gli USA e l’URSS., negli anni Settanta producevano l’80% del volume globale; la loro quota nel 2018 è scesa al 39% a favore di altri. Ora i protagonisti del GNL sono Qatar, Indonesia, Malesia, Australia e Nigeria. Questa frammentazione ha conseguito non solo un rimescolamento dal punto di vista economico ma anche e soprattutto geopolitico e militare. L’espansione del GNL, tramite produttori sparsi sui vari continenti, fa perdere “peso” al reticolo dei gasdotti mentre diventa determinante dal punto di vista geopolitico e militare il controllo dei mari, in particolare degli stretti.
Non è un caso allora che la marina militare stIa acquisendo sempre più valenza rispetto alle forze di terra e di aria: chi controlla oggi gli stretti di Hormuz, Suez, il Mediterraneo e il Mar Cinese meridionale controlla il mercato del gas liquido. L’Europa trova comunque un limite nell’uso del GNL, nel tentativo quindi di rendersi più indipendente dalle politiche di Putin. Al momento, infatti, vi sono problemi d’ordine tecnico-economico perché il GNL necessita di infrastrutture specifiche, porti e rigassificatori, e le attuali strutture europee GNL non sono in grado di sostituire integralmente i flussi delle pipeline russe.
Il problema tecnico non risiede tanto negli impianti di rigassificazione ma nella carenza della rete distributiva. L’hub più importante del GNL è la Spagna ma la mancanza di un sistema di gasdotti che trasporti il gas (rigassificato) al resto del continente provoca di fatto una strozzatura della capacità produttiva dell’hub iberico. Solo una parte del gas rigassificato può essere immesso in via continuativa nel centro e nell’Est della UE: il reticolo dei gasdotti è stato progettato e realizzato negli ultimi decenni per accogliere “l’oro blu” proveniente dall’Est del continente euroasiatico. Pensare di creare oggi una rete di condotti dalla Spagna al resto dell’Europa comporta costi del tutto fuori mercato.
La terza soluzione è governare il processo della transizione energetica che viaggia su due strade parallele. Una è quella della ricerca di nuove fonti che non siano quelle fossili, dalle rinnovabili quali l’eolico, il fotovoltaico sino al nucleare (non a caso inserito di recente nella tassonomia europea delle fonti green). L’altra, quella principale, da una nuova organizzazione della produzione e distribuzione dell’energia, dove il digitale ne è la componente principale. Ciò che potrà rendere obsolete le attuali infrastrutture energetiche, pipeline o trasporto marittimo del GNL, sarà l’incontro di queste due nuove vie.
La ricerca è orientata alla creazione di ridotte unità produttive (indipendentemente dalla fonte energetica). Si passa dallo “stato centralizzato” dell’energia a un “federalismo energetico”: si è orientati a realizzare piccole unità energetiche (anche con combustibile nucleare). Tali unità, oltre che consumare ciò che producono, immetteranno in rete il surplus e la direzione dei flussi energetici sarà quindi bidirezionale.
Per governare questo processo l’azione del digitale è fondamentale. Lo strumento digitale saprà modulare, di volta in volta, la direzione dei flussi energetici dalla centrale alla periferia, o viceversa, ottimizzando domanda e offerta – forzando il concetto, per renderlo ancora più comprensibile, si potrà realizzare il “KM zero energetico”.
Significativo anche che i dispositivi digitali consentano l’attivazione dell’energia elettrica e la sua regolazione mediante il controllo a distanza, e tale trasformazione ha implicazioni economiche (e soprattutto geopolitiche) del tutto inedite. Da una parte diminuirà la valenza geopolitica delle pipeline, mentre si imporrà a livello globale una nuova “dipendenza”, quella delle terre rare, gli elementi indispensabili per la produzione dei dispositivi digitali. Non è un caso che buona parte dei fondi della Next Generation Eu siano destinati proprio alla transizione energetica e al digitale.
La ricerca è la nuova arma strategica nella competizione globale ed è lo strumento che potrà relegare la rete dei gasdotti all’archeologia industriale, modificando radicalmente gli odierni assetti geopolitici.
In conclusione, ad oggi, ambedue i contendenti, Russia ed Ucraina, hanno buone ragioni per non portare le tensioni oltre un punto di non ritorno. Da una parte Putin e la sua oligarchia energetica è dipendente dai consumi europei: la Russia attualmente non potrebbe sopportare economicamente una drastica diminuzione, se non una interruzione, dei flussi di cassa assicurati dalle esportazioni del gas. Dall’altra parte, l’Ucraina incassa circa un miliardo di dollari l’anno per i diritti di transito dei gasdotti russi.
Si può insomma affermare che la dipendenza del gas gioca il medesimo ruolo che la deterrenza atomica ha avuto in questi decenni nello scongiurare un confronto diretto tra le potenze globali. Fintanto che fornitore (Russia) e consumatore (Europa) sono legati fra loro vi sarà la necessità, nei momenti di tensione, di trovare un possibile equilibrio. Quando l’equilibrio sarà messo in discussione potrà aumentare di molto la possibilità di un conflitto.
Ricordiamo per ultimo che nella “guerra non guerreggiata” vi sono comunque già delle vittime – cioè chi deve pagare il conto delle bollette. Gli aumenti esponenziali di questi tempi segnano già dei vincitori, le multinazionali energetiche i cui profitti hanno come rovescio della medaglia un ulteriore compressione del reddito dei singoli e delle famiglie.
La dimensione e la profondità del cambiamento non è ora prevedibile con certezza. Il divenire presenta sul palcoscenico della storia nuovi attori, quali saranno i protagonisti e quale sarà la scenografia che farà da sfondo alla loro recita lo possiamo solo intuire ma non determinare. Ciò che invece possiamo fare e dobbiamo fare è comprendere ed organizzarci per tentare di modificare il presente: non solo immaginare un mondo diverso ma cercare di costruire ora rapporti tra coscienti ed eguali. Questo potrebbe essere il granello di sabbia per inceppare la millenaria macchina del potere.
Daniele Ratti