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Guerra e potere economico. Tu vuo’ fa’ l’americano.

Guerra e potere economico. Tu vuo’ fa’ l’americano.

Proverò, in quest’articolo, a trattare la questione esemplificata dalla guerra per procura che si sta svolgendo in Ucraina tra NATO e Federazione Russa o, forse, sarebbe meglio dire tra NATO e l’area BRIC, quella dei cosiddetti “paesi emergenti” Brasile (in generale Sudamerica), Russia, India e Cina, facendolo da un punto di vista più generale: quella dei rapporti tra guerra e raggiungimento di una posizione economica dominante. Uno sguardo che, forse, potrà gettare una luce sugli attuali avvenimenti diversa dal solito.

Dopo le tragicomiche – se però a parte i morti la prima vittima della guerra è la verità, la seconda è il senso del ridicolo – esclusioni di atleti e persino gatti russi dalle competizioni internazionali, in rete sono comparsi vari post in cui si ricordava che, in base a questo principio dell’appartenenza ad uno stato aggressore, ad essere esclusi dalle competizioni sarebbero dovuti essere da oltre due secoli quasi sempre atleti, e gatti, statunitensi. Il paese a stelle e strisce, infatti, è sia il paese economicamente dominante sia quello che, quasi dalla sua nascita, può vantare un numero enorme e quasi continuo di guerre aggressive – pardon, “preventive” – nei confronti di altre nazioni. Proviamo a porci il problema: le due cose sono collegate? Se sì, come?

Partiamo da un presupposto che spesso si tende a dimenticare: mentre il potere militare è un potere in sé, il potere economico è, di fatto, un potere indiretto. Se io ho un’arma in mano ho la piena possibilità del suo utilizzo in direzione dei miei scopi verso un altro disarmato e/o meno armato; se io posseggo un bene ne posso disporre per i miei fini solo fintanto che qualcuno non mi punta un’arma contro, a meno che ci sia qualcuno altrettanto o meglio armato a mia difesa. La cosa è evidente nella scala individuale, come ben sa chiunque sia stato derubato a mano armata; è un po’ meno evidente quando la scala diventa più ampia e giunge al livello dei rapporti geopolitici.

Eppure David Graeber – il nostro compianto compagno che è stato anche il più grande antropologo dell’economia – ci ha insegnato come il maggiore non detto del dibattito e, soprattutto, della prassi economica è il ruolo che nelle relazioni di potere economico ha la violenza e/o anche la semplice minaccia, esplicita o implicita, della violenza. La superiorità militare di uno stato gli permette, in altri termini, di condurre il gioco economico a discapito degli altri.

Sempre rifacendosi alle analisi graeberiane, spesso si fa notare come il debito pubblico degli Stati Uniti d’America sia, tecnicamente, in mano a paesi avversari, ad esempio la Cina che, in pura teoria, potrebbero ridurlo sul lastrico semplicemente richiedendolo indietro e/o semplicemente non rinnovandolo. La cosa è vera ma la vera domanda è: perché non lo fanno? Il fatto che il paese a stelle e strisce possegga il maggiore e meglio armato dal punto di vista tecnologico esercito del mondo con seimila testate nucleari pronte all’uso non potrebbe essere la risposta? In pratica, sempre continuando sulla scia delle analisi graeberiane, quello che ideologicamente viene presentato come una relazione di prestito/debito non potrebbe essere in realtà un tributo al paese imperiale?

Ritorno terra terra citando un episodio divertente. Il “partito del filone” di un istituto scolastico che, da molti anni, si guadagnava qualche settimana di giorni di vacanze in più vandalizzando la scuola, un anno si trovò con una serie di meccanismi di sorveglianza ed allarme che gli impediva di mettere in atto la sua collaudata strategia. Si rivolse allora alla piccola malavita locale che si dichiarò, in cambio di una somma di denaro, capace di superare le difficoltà; solo che, nonostante vari tentativi, non riuscì nemmeno lei nell’intento. Il “partito del filone” allora le chiese indietro i soldi ed ottenne immediatamente indietro l’investimento… nel senso che alcuni di loro vennero letteralmente investiti da un automobile all’uscita della scuola – dopo di che si rassegnò alla perdita dei soldi.

I ragazzi in questione, in pratica, avevano preso eccessivamente sul serio la superiorità dei rapporti economici rispetto a quelli militari. Ora, qualcosa del genere potrebbe essere successo nell’ex Unione Sovietica al momento del suo crollo: gli ex funzionari del PCUS vennero convinti che, smantellando il capitalismo statalizzato ed aderendo entusiasticamente e fattivamente al nuovo credo del capitalismo iperliberista, ne sarebbero risultate meraviglie. Il risveglio è stato doloroso: certo, un bel po’ di ex funzionari PCUS sono diventati dei ricchi imprenditori – pardon, “autocrati” – ma, nel complesso, la ricetta è stata un disastro: il paese è precipitato nella miseria (gli stessi “autocrati” controllano una minima ricchezza rispetto ai nostri autocrati, pardon imprenditori), rendendosi conto che gran parte della loro vecchia potenza era dovuta al rapporto imperiale di sudditanza militare che l’ex URSS aveva coi paesi satelliti.

L’ascesa di Putin è spiegabile proprio col fatto che, ad un certo punto, i potenti della Federazione Russa avranno osservato meglio il modello americano e si saranno resi conto come la sua potenza non era certo dovuta alle meraviglie del libero mercato ma, come un tempo l’URSS, alla sua potenza militare che gli permette di indirizzare il gioco economico a livello planetario. Resesi conto di avere ancora 4.500 testate nucleari, negli ultimi vent’anni ha dedicato le sue risorse interne praticamente tutte al rafforzamento e, soprattutto, riammodernamento tecnologico del suo esercito – è questo il senso della frase di Putin ai russi “non vi prometto di diventare ricchi ma potenti” (sottinteso: poi la ricchezza verrà).

Negli ultimi dieci anni, infatti, la presenza militare della Federazione Russa sullo scacchiere internazionale – vedi lo scenario siriano – si è fatto sempre più invadente: in pratica la Federazione Russa ha sempre più imitato il modello americano. Persino a livello sociale: il rapporto degli abitanti con le armi è sempre più affine a quello presente nelle popolazioni “trumpiane”, con un fucile e talvolta una mitragliatrice nelle famiglie più ricche come dono per la maggiore età, con le famiglie “progressiste” che lo fanno anche con le figlie e non solo con i figli maschi.

Lo scenario attuale della guerra può allora essere letto in questi termini: da un lato il paese a stelle e strisce vede un pericoloso avversario che ha intrapreso una strada che potrebbe portarlo a mettere in discussione la supremazia USA; dall’altro una Federazione Russa che sta giocando la carta del “fratello maggiore” protettore nei confronti dei paesi BRIC – e non solo – di fronte alle pretese egemoniche del paese imperiale attualmente dominante. Se la Federazione Russa uscisse vincitrice da questo gioco, la potenza egemonica statunitense e dei paesi satelliti subirebbe un brutto colpo e vedrebbe assai probabilmente il gioco economico passare almeno in parte di mano. Insomma, la posta in gioco è assai alta, il che non è per niente un bene per l’intera umanità, nel senso che difficilmente qualcuno farà un passo indietro. Persino l’evocazione dello scenario nucleare potrebbe non essere un deterrente sufficiente per l’escalation del conflitto.

Enrico Voccia

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