Esce, nella collana dei Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo, la nuova edizione di questo testo, edito nel 2014 in occasione del centenario di quell’immane carneficina che fu la prima guerra mondiale.
Un riuscito tentativo di divulgazione dell’altra storia - non quella dei potenti, uomini di Stato e generali, ma quella delle masse proletarie, cioè della carne da cannone - che ha il pregio di condensare in poche pagine la mappa di quel filo rosso del rifiuto del militarismo che è stato uno dei valori forti del sentimento popolare nel nostro paese fino all’avvento del fascismo.
In quest’ottica l’autore giustamente parte dalla guerra di Libia del 1911, epoca in cui si dipana questo percorso dell’antimilitarismo di classe che troverà il suo momento più alto nel 1914 con le rivolte della Settimana rossa. Moti che, sebbene ebbero il loro epicentro nelle Marche e in Emilia-Romagna, attraversarono in varia misura tutta la penisola e che - anche se causati dall’eccidio poliziesco di Ancona - traggono origine dall’intensa campagna di difesa di Augusto Masetti (soldato anarchico che sparò al proprio colonnello e di conseguenza rinchiuso in manicomio) e dei compagni sotto le armi inseriti nei reparti punitivi, le cosiddette “compagnie di disciplina”, di cui nel testo di Rossi si può trovare una dettagliata descrizione.
Questo movimento antimilitarista diffuso si interrompe con l’approssimarsi del conflitto mondiale, periodo in cui diversi leader sindacalisti rivoluzionari e repubblicani si trasformarono da accesi antimilitaristi in interventisti “di sinistra”. Anche in campo anarchico vi fu qualche defezione (rinvigorita dal manifesto dei sedici in cui Kropotkin e altri noti anarchici invitavano ad appoggiare la Francia aggredita dal militarismo prussiano), ma la netta presa di posizione di Malatesta e dei militanti italiani più in vista del movimento contro ogni forma di sostegno al militarismo impedì ogni sbandamento, ad eccezione di alcuni di cui la maggior parte finì per rinnegare l’anarchismo se non aderire al fascismo.
Ma l’enorme lavoro di propaganda antimilitarista portato avanti durante gli anni della guerra di Libia aveva in qualche modo permeato le masse popolari, come si dimostrò a Torino nell’agosto del 1917, in cui il proletariato insorse in una rivolta armata che durò diversi giorni e la cui repressione causò decine di morti tra gli insorti. L’esempio torinese rimase purtroppo isolato. Del resto molto difficile era per le forze sovversive svolgere un’efficace azione politica durante gli anni di guerra. I giornali chiusi o strozzati dalla censura, internati i militanti più noti, i sindacati ridotti all’impotenza o, come nel caso di quelli riformisti che l’avevano accettato, militarizzati nei cosiddetti Comitati di Mobilitazione industriale.
Nonostante che insurrezioni come quella torinese non si diffusero, la lotta antimilitarista arrivò in forme diverse fino al fronte, proprio in quelle trincee dove decine di migliaia di giovani operai e contadini morivano come mosche per l’ambizione di boriosi oltre che inetti generali.
E qui l’autore ci porta numerosi esempi di come questo antimilitarismo diffuso si esprimesse: dalle rivolte di interi reparti domate con decimazioni e fucilazioni alle scelte di rifiuto individuale che vanno dalla diserzione all’autolesionismo o addirittura all’eliminazione in battaglia dei propri ufficiali superiori.
Un accento particolare, nell’opera repressiva e per il ruolo di massacratori e fucilatori, è posto sul ruolo svolto dall’Arma dei Carabinieri, che proprio al fronte scrisse le pagine più feroci della sua storia.
Lavoro importante, questo di Rossi, soprattutto per aver messo in luce questa continuità della coscienza antimilitarista popolare (alla cui formazione gli anarchici ebbero un ruolo notevole) che si sviluppa dalla guerra di Libia agli ammutinati delle trincee, come appunto recita il titolo.
La nuova edizione, oltre a correggere alcuni lievi errori riscontrati, si avvale di due nuove appendici. Una sulla Brigata Sassari, il cui impiego nella repressione degli insorti di Torino - secondo la memoria dei contemporanei - sarebbe stato ritirato in seguito all’azione propagandistica di Gramsci. L’autore ci dimostra come dalle fonti risulti impossibile la presenza della brigata a Torino in quei frangenti, indagando altresì sull’origine di questo mito gramsciano che coinvolse anche alcuni anarchici come Maurizio Garino che lo riporta nelle sue memorie.
La seconda è un articolo di Corrado Alvaro su “Il gioco del fante” del pittore toscano Arturo Checchi, un gioco dell’oca stampato nel 1918 a cura de “Il resto del Carlino” di cui compare una riproduzione in allegato. Il disegno di Checchi non è apertamente antimilitarista, non ha l’impatto di una vignetta di Scalarini o di Grosz, ma venato da un sottile umorismo e disincanto da parte di uno che come dice Alvaro “alla guerra c’è andato”, illustra l’amaro gioco della guerra e ci parla un fante che “quando tornerà darà le sue medaglie per gingillo al bimbo”.
Tobia Imperato
Marco Rossi, Gli ammutinati delle trincee. 1911-1918, BFS Edizioni, Pisa, 2016, pp. 111, Euro 16.