Questo articolo è stato scritto all’indomani della manifestazione di sabato 18 settembre e non è stato pubblicato sul numero precedente di Umanità Nova perché arrivato in ritardo in redazione. La settimana successiva si è caratterizzata per il fatto che il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso presentato dalla FIOM CGIl, invalidando la procedura seguita dalla dirigenza GKN per la chiusura dell’azienda.
Mi sembra che si tratti di un successo di facciata, perché la GKN ha subito avviato la procedura prevista dagli accordi nazionali, confermando la volontà di arrivare alla chiusura dello stabilimento di Campi Bisenzio e al licenziamento di tutti i dipendenti. La vicenda GKN si avvia a diventare l’ennesimo episodio in cui, fra tira e molla, i dipendenti saranno cacciati dal posto di lavoro, senza reddito e con il ricollocamento per i più fortunati, mentre i padroni si saranno intascati i miliardi dei finanziamenti pubblici e quelli della speculazione sulle aree dismesse. Questa vertenza può essere considerata pilota, nel senso che è la prima che coinvolge indirettamente il nuovo gruppo Stellantis ed evidenzia le ricadute occupazionali in Italia della fusione tra PSA e FCA, oltre ai mancati rinnovi di contratti a tempo determinato negli stabilimenti ex FCA.
Ci troviamo quindi forse di fronte a una rappresentazione mediatica, una rappresentazione che ha comunque mostrato che c’è una fetta importante di movimento operaio disposta a battersi sui temi dell’occupazione e del reddito garantito e che, su questi temi, può costruire alleanze con importanti settori della società.
In questa rappresentazione gli attori dicono molto di più di quello che è scritto nel copione loro assegnato. L’assenza del governo, sia nell’operazione Stellantis sia in particolare nella vertenza GKN, esprime la volontà di combattere i settori più radicali del movimento dei lavoratori, cacciandoli dal processo produttivo e comunque imponendo loro le forche caudine della rinuncia a conquiste frutto di anni di lotte.
Quando il responsabile del settore automotive della CGIL afferma che “l’automotive, come il militare, sono settori strategici per il paese”, non solo conferma il ruolo del proprio sindacato nel supportare le richieste dei padroni ma ci conferma che l’automotive, come il militare, sono produzioni inutili che possono sopravvivere solo grazie all’impegno del governo per garantire la loro possibilità di produrre profitti per pochi.
Quando i protagonisti di questa lotta, il collettivo di fabbrica della GKN e le realtà che lo supportano lanciano la parola d’ordine “Insorgiamo!”, richiamando la parola d’ordine dei partigiani che liberarono Firenze dall’occupazione nazifascista l’11 agosto 1944, fanno un’operazione di alto valore simbolico ma ci dicono anche qualcosa sulla società in cui viviamo e sui mezzi per cambiarla.
Le forze politiche che frettolosamente si sono appropriate dello slogan insurrezionale e lo usano per le loro prossime liste elettorali, forse non hanno compreso tutte le implicazioni di quello slogan.
C’è più di un motivo per fare il paragone oggi e il 1944: gli oltre 130 mila morti per la pandemia, il quotidiano stillicidio di omicidi sul lavoro, per non parlare dei militari per le strade, i rastrellamenti degli indesiderabili e dei marginali, le missioni militari di guerra all’estero: tutto questo svela la menzogna della legalità democratica, e la realtà della guerra contro le classi sfruttate portata avanti dal governo.
Il riferimento all’insurrezione vittoriosa del 1944 ci fornisce anche un’indicazione strategica: il Programma Anarchico afferma che l’insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace per assicurare l’emancipazione dei ceti popolari. Nell’insurrezione non solo la distanza che passa tra la legge e la coscienza delle masse sfruttate viene varcata di un colpo, anche i vari aspetti che assume l’opposizione popolare allo status quo e che le cassi privilegiate contrappongono fra di loro per combatterci meglio, si ricompongono per attaccare il governo, che detiene oggi, mediante le leggi e il monopolio della violenza, il potere di regolare la vita sociale e allargare o restringere le libertà individuali e collettive. Nell’insurrezione si realizza quell’intersezione fra i vari fronti aperti per la trasformazione sociale, che oggi molti auspicano. La vittoria dell’insurrezione determinerà l’avvio della rivoluzione sociale, unica via d’uscita per la salvezza dell’umanità.
Firenze 18 settembre: tre manifestazioni per cambiare il mondo
La manifestazione del 18 settembre, che ha visto una importante partecipazione di attivisti e militanti politici e sindacali, nonché di situazioni di lotta e di crisi di ogni parte d’Italia, è stata un importante segnale dello spirito di solidarietà e della volontà di lottare di ampi settori delle classi sfruttate. Un elemento importante sia della manifestazione, sia della mobilitazione che l’ha preceduta, è la sensazione dell’urgenza di una trasformazione sociale, sensazione che si deve trasformare quanto prima in azione concreta, visto l’aggrovigliarsi delle contraddizioni dell’attuale organizzazione sociale.
La città di Firenze sabato 18 settembre ha mostrato proprio queste contraddizioni crescenti, su una molteplicità di fronti. La manifestazione in solidarietà con le lavoratrici e i lavoratori della GKN mostrava l’incapacità degli attuali rapporti di produzione di garantire una vita dignitosa per tutti; nello stesso giorno si è svolta la “Marcia per la Terra”, organizzata da Mondeggi Bene Comune, che fa parte della rete di Genuino Clandestino, e dal Coordinamento delle Comunità Contadine Toscane: un’azione simbolica di abbandono della città dove si tiene l’incontro intergovernativo del G20 dedicato all’agricoltura, per raggiungere la fattoria senza padroni di Mondeggi, dove è in corso uno sforzo collettivo basato su un rapporto ecologico con la produzione agricola, sulla solidarietà, sul mutualismo e la liberazione dei beni comuni.
Il Corteo della GKN si è intersecato, in Piazza Santissima Annunziata, con il Queer Pride organizzato da La Magnifica Occupata Casa delle Donne tfq, in occasione del primo anno di occupazione, contro il capitalismo, lo Stato, l’eteropatriarcato, il suprematismo bianco, lo specismo e la medicalizzazione abilista e neuronormativa, come si legge nel loro documento.
Per un giorno, Firenze non è stata la città vetrina di un’estetica funzionale alle classi privilegiate da cui i marginali, operai, poveri, immigrati ecc. sono esclusi ma è stata la vetrina del fermento che cova nella profondità della società del dominio e ne mina le radici come i rapporti sociali e interpersonali.
In questa vetrina la parte del leone è stata rappresentata dalla manifestazione in solidarietà con i licenziati. Vale la pena chiedersi, comunque, se questa componente sia in grado di sviluppare una proposta che sia capace da una parte di dare una risposta alla classe operaia della GKN, oggi in prima fila nell’attacco portato avanti dal governo e dal capitale, dall’altra di rappresentare un perno a cui collegare le altre componenti del percorso di trasformazione sociale che sono scese in piazza a Firenze e le molte altre che sono presenti e che minano la società gerarchica. È importante che su questo tema si interroghi il movimento anarchico; perché questo non aspira a conquistare la direzione del movimento per volgerlo a una incomprensibile strategia che si risolve sempre nella conquista del potere da parte di un’avanguardia che si estranea dalla condizione materiale delle classi sfruttate.
Il movimento anarchico non ha quindi interessi separati da quelli dell’intero proletariato, non impone né principi né un particolare modo di ragionare su cui modellare il movimento di classe e gli elementi più combattivi di esso. Storicamente il movimento anarchico ha attratto la parte più decisa e più avanzata delle classi sfruttate di ogni paese perché, nelle singole lotte, rappresenta l’interesse generale del movimento rivoluzionario, indipendentemente dalla nazionalità e indipendentemente dalle forme accidentali che assume lo scontro fra sfruttati e sfruttatori.
Indubbiamente è importante che sul piano della solidarietà si sia sviluppato un importante momento di lotta come quello del 18 settembre, anche se troppe mosche cocchiere hanno offerto le proprie panacee, naturalmente ognuna etichettata dal proprio particolare simbolo di partito. Di là della solidarietà, però, le proposte del collettivo di fabbrica non mi sembrano in grado né di dare una risposta alla crisi che vivono i lavoratori, né di costruire un movimento generale di lotta contro la disoccupazione e la precarietà.
Il punto centrale della lotta è la proposta di legge in otto punti approvata dall’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori GKN, anzi, la richiesta che il governo emani un decreto legge ispirato a quei punti. Lasciamo da parte un attimo il giudizio che da parte anarchica è sempre stato dato sulle leggi e vediamo se le misure proposte possono essere efficaci nel caso specifico o meno.
Quando si dice ad esempio che GKN è un’azienda sana e non si capisce perché debba cessare l’attività, non si tiene conto che lo stabilimento di Campi Bisenzio ha come clienti le fabbriche ex FCA che ora fanno parte di Stellantis. Ora, il nuovo gruppo ha quattro marchi sovrapponibili in Europa (Peugeot, Citroen, Opel e Fiat): la dirigenza ha affermato che intende ottenere quasi quattro miliardi di “sinergie”, cioè risparmi, in Europa, quindi è probabile che questi risparmi siano fatti a danno dei lavoratori italiani, visto la predominanza francese nel gruppo. È chiaro che, se la produzione negli stabilimenti ex FIAT si ridurrà, ne risentirà anche la produzione di semiassi e, per il Fondo Melrose, è più conveniente uscire dallo stabilimento di Campi prima che la situazione sia compromessa. Quindi uno dei presupposti su cui si basa la proposta di legge dell’assemblea potrebbe essere errato.
Una proposta di questo tipo, inoltre, è utile solo per quei siti produttivi vitali e quindi non è utile per le situazioni di crisi aziendali e, ancora meno, è utile per porre rimedio alla disoccupazione e alla precarietà; in altre parole, anziché unire il fronte di lotta, lo divide, attraverso la contrapposizione tra lavoratori privilegiati e lavoratori meno privilegiati o esclusi dal processo produttivo. C’è da tener presente, inoltre, che un intervento pubblico congelerebbe la situazione occupazionale, mentre sappiamo che lo sviluppo tecnologico ha come scopo la riduzione del costo del lavoro e l’espulsione di forza lavoro dal processo produttivo: uno stabilimento che oggi è produttivo, fra dieci anni con la stesso numero di dipendenti potrebbe essere diventato un ramo secco.
Infine c’è da tener presente i costi di un’operazione del genere. Per averne un’idea torniamo alla fusione che ha dato vita a Stellantis: il gruppo ha oltre quattrocentomila dipendenti e, stando a quanto dichiarato dai gruppi protagonisti, nel 2019 ha avuto ricavi per complessivi 167 miliardi e profitti per 7 miliardi. I costi totali, quindi, sono stati 160 miliardi. Se rapportiamo i costi annuali al numero dei dipendenti scopriamo che per ogni posto di lavoro sono stati spesi 400mila euro, fra materie prime, materie di consumo, oneri finanziari, trasporti passivi, ammortamenti e così via, fino al costo del lavoro vero e proprio. Per dare lavoro ai 422 licenziati della GKN, lo Stato dovrebbe mettere in conto una spesa di 170 milioni annui, oltre all’acquisto dei terreni, dei macchinari, delle tecnologie, dell’avviamento…
Si dirà che potranno partecipare anche imprenditori privati: ma chi correrà il rischio di subentrare a Melrose, con il sospetto che il fondo abbia gettato la spugna, dopo che Fiat non ha garantito il livello di acquisti degli ultimi anni? Chi vorrà sfidare le scelte del più grande gruppo industriale e della finanza internazionale? Chi comprerà i semiassi della GKN? La strada della legge quindi non solo è una strada controproducente dal punto di vista anarchico, significa anche accettare la logica del produttivismo e della concorrenza, la logica dell’accumulazione capitalistica, quella logica che provoca accumulazione di ricchezza fra una cerchia sempre più ristretta di classi privilegiate e accumulazione di miseria, disoccupazione, malattia e morte al polo opposto della società, fra le classi veramente produttive. Come si può cambiare questa società se ne accettiamo la logica?
Invece degli otto punti della legge, sarebbe bene riflettere sui tre punti della lotta:
– lotta contro il governo Draghi e CGIL, CISL e UIL che hanno approvato la libertà di licenziare, di cui i padroni hanno subito approfittato;
– riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, fino al completo riassorbimento della disoccupazione e della precarietà;
– reddito garantito per tutti: anziché dare soldi ai padroni, diamoli direttamente ai licenziati e ai cassaintegrati, ne serviranno meno e saranno usati meglio.
La manifestazione in solidarietà con i licenziati si è conclusa con l’appello per uno sciopero generale: lo sciopero generale c’è di già, non si tratta di chiederlo a chi non lo farà mai, a chi ha tutto l’interesse a rimanere legato al carro di Draghi e della Confindustria, si tratta di farlo. L’11 ottobre, in tante e in tanti a scioperare e a manifestare, al di fuori e contro la logica lavorista e produttivista che ci vorrebbe utili ingranaggi del meccanismo di sfruttamento, per costruire una rete sempre più fitta e salda di esperienze che vogliono cambiare il mondo, a partire da quelle che hanno animato Firenze il 18 settembre.
Tiziano Antonelli
Qui vari comunicati e volantini diffusi dai gruppi della FAI toscana sulla vertenza.