In occasione del cinquantenario della morte di Franco Serantini le Edizioni della Biblioteca – che porta il suo nome – hanno pubblicato un’ampia raccolta di testimonianze e di documenti inerenti la vicenda politica ed umana del nostro compagno pestato il 5 maggio 1972 dai poliziotti del reparto Celere provenienti da Roma e lasciato morire dopo una lunga agonia nel carcere Don Bosco di Pisa nella mattinata del 7 maggio.
Già sul numero 15/2022 di Umanità Nova Pepsy ha ricordato la figura del compagno, il contesto, politico e sociale, nel quale è maturata la violentissima aggressione ed il significato che ancora oggi ha il ricordarlo. Non ritornerò quindi su questi aspetti.
Quello che mi preme sottolineare è il valore universale che la sua morte continua a rappresentare.
Franco Serantini nella sua breve vita ha conosciuto tutta la violenza, l’arroganza, la gerarchia emarginatrice che il sistema di potere è in grado di esprimere: brefotrofio, collegio, riformatorio, carcere; in fin di vita poi, è stato ignorato da chi poteva curarlo: il procuratore della repubblica, il medico curante, i secondini. E non è finita, dopo averlo pestato e lasciato morire c’è stato chi ha ancora cercato di seppellirlo in fretta e furia, al riparo da sguardi indiscreti.
Una vicenda emblematica la sua di quanto poco valga la vita di un giovane studente lavoratore, senza particolari protezioni sociali e familiari, per di più anarchico. Una vicenda che ha richiamato l’attenzione di tanti sinceri democratici convinti che la democrazia sia il governo delle leggi e che tutti i corpi dello Stato siano quindi sottoposti a tali leggi, dimenticando il fatto elementare che invece è proprio primo compito del sistema quello di garantire i suoi rappresentanti nell’esercizio delle loro funzioni, comunque queste si svolgano.
Per Franco Serantini nessuno ha pagato, nonostante la sfilza di reati compiuti dai solerti funzionari. Così come prima di lui nessuno ha pagato per la morte di Giuseppe Pinelli o per quella dello studente Roberto Franceschi a Milano o di Carlo Giuliani a Genova, tanto per citare nomi e fatti noti. Solo a volte si è registrato qualche tardivo e peloso riconoscimento istituzionale dalle intenzioni pacificatrici ma senza ‘scaricare’ di fatto gli effettivi responsabili. E parliamo di militanti politici e sociali, espressione di movimenti di lotta, che hanno ora voce solo grazie ai loro compagni e compagne, ai loro familiari e amici.
Figuriamoci cosa accade alle persone comuni che, per motivi vari legati generalmente a condizioni di vita particolari, capitano nelle mani di chi si sente non solo gratificato dal potere che gli conferisce la divisa e l’appartenenza a un corpo di polizia, bensì investito nel ruolo di ‘giustiziere’, di tutore di un ordine costruito a tavolino secondo gerarchie e ‘valori’ ben definiti. Il ricordo di quanto successo il 6 aprile 2020 nel carcere di santa Maria Capua a Vetere quando 300 tra agenti di polizia penitenziaria aiutati dal gruppo esterno di supporto si scatenarono contro i detenuti che avevano osato richiedere misure di protezione contro il contagio è ancora ben vivo, come quello delle torture praticate nella Caserma Levante di Piacenza, o ancora quanto periodicamente emerge dai Centri di detenzione per le persone migranti. Fatti che evidenziano comportamenti comuni ma che diventando così eclatanti da costringere i livelli superiori del potere ad intervenire.
Depistaggi, omertà, coperture, complicità sono e rimangono pratiche diffuse, le inchieste rallentano e si arenano, i processi quando partono presto s’incagliano.
La conclusione del caso di Stefano Cucchi non deve illudere più di tanto sulla possibilità del sistema di correggere le proprie storture e nefandezze. Infatti per Stefano ci sono voluti ben 13 anni e un carabiniere assalito dai sensi di colpa, oltre che a un impiego enorme di energie da parte della famiglia e in particolare della sorella, per rendere evidente, ‘legale’, quello che era apparso ben chiaro da subito agli occhi dei familiari. Ma per un Cucchi quanti Ferrulli, quanti Uva, quanti Lonzi dobbiamo registrare.
Per tornare al libro della BFS Edizioni occorre sottolineare il meritevole sforzo del collettivo editoriale per fornire uno strumento di approfondimento – basato su documenti finora inediti, su scritti e testimonianze disponibili, custodite dalla Biblioteca intitolata a Franco – a quanti non hanno cessato e non cesseranno di chiedere piena verità sulle responsabilità che hanno portato alla sua morte. Una verità che finora non ha trovato adepti nelle istituzioni, locali e nazionali, sempre ancorate alla sentenza del giudice Nicastro del maggio 1975 che dichiarò di non doversi procedere perché gli autori dell’omicidio sono ignoti, in realtà perché non si sono voluti cercare, così come non si è voluto indagare sulle responsabilità di questore, prefetto, comandante dei carabinieri nell’organizzare la repressione della manifestazione antifascista con le modalità che hanno portato alla morte di Franco.
Da notare poi la decisione della giunta comunale di centro destra di Pisa di intitolare una rotatoria a Giuseppe Niccolai, il politico neofascista, il cui comizio fu all’origine degli scontri tra manifestanti e polizia nel corso dei quali Franco Serantini fu brutalmente picchiato mentre fermo e da solo si trovava all’angolo tra Lungarno Gambacorti e via Mazzini. Una dimostrazione di grande sensibilità umana e sociale da parte di chi, dietro il pretesto di ricordare uomini politici di diversa provenienza, continua a perseguire l’obiettivo dell’inserimento a pieno titolo dell’estrema destra nell’impianto repubblicano per snaturarne le origini e i fondamenti. Uno schiaffo alla memoria di Franco Serantini e alla Pisa antifascista che tanto ha dato per la conquista delle libertà.
Chi vorrà veramente approfondire questa tragica vicenda troverà nel libro moltissimo materiale – anche inedito – dagli scritti e le interviste di Corrado Stajano a quelli di Luciano Della Mea, di Umberto Marzocchi, Paolo Finzi, Soriano Ceccanti, Marco Rossi, Giovanna Boursier, Franco Bertolucci, Antonio Francoletti, Athos Bigongiali, Umberto Terracini; i documenti ufficiali e le perizie medico-legali; i canti e le poesie a Franco dedicate; i resoconti delle numerose manifestazioni di protesta; una ricchissima documentazione fotografica e iconografica (ben 100 pagine) che ci restituisce il clima dell’epoca e la bibliografia di quanto finora pubblicato.
Massimo Varengo
Sabato 7 maggio manifestazione a Pisa
FRANCO SERANTINI – Cinquant’anni di memoria contro l’ingiustizia 1972-2022
A cura del Circolo culturale Biblioteca F. Serantini
BFS Edizioni 2022 (www.bfs.it/edizioni) – tel. 050-3199402
240 pagine – 24,00 euro