E’, a mio avviso, necessario, quando se ne ha modo cosa che non è sempre data, guardare agli accadimenti che ci coinvolgono quasi si fossimo osservatori esterni e sforzarsi di inquadrarli in una prospettiva più ampia.
Sebbene sia sin troppo noto il fatto che la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori, soprattutto quando assume dimensioni rilevanti, sorprende per primi coloro che la desiderano e che cercano di suscitarla, e che le forme che assume, soprattutto se è efficace, non sono la meccanica ripetizione di quando si è dato in passato, è altrettanto evidente che la struttura sociale è una precondizione ineludibile dello sviluppo delle lotte che le si oppongono e che è quindi possibile individuarne in discreta misura i punti di forza e le fessure che, allargandosi, la possono portare al crash.
Dal punto di vista dei dati oggettivi, è assolutamente evidente che il più consistente raggruppamento di lavoratori e di lavoratrici che, poiché con anni di ritardo i contratti collettivi sono, appunto, oggi oggetto di contrattazione, possono sviluppare conflitto in maniera relativamente “facile” sono i milioni di lavoratrici e di lavoratori del pubblico impiego, che subiscono da anni un secco impoverimento dal punto di vista salariale e degrado delle condizioni di lavoro, e che, nello stesso tempo, questi lavoratori sono relativamente compatti e subiscono meno di altri il timore delle esternalizzazioni, dei licenziamenti collettivi, della repressione diretta.
Non sto, non sono arrivato, non ancora, a questo punto di demenza, proponendo di sostituire nel nostro immaginario all’operaio massa dei gloriosi anni ‘60/’70 il più grigio impiegato e insegnante massa, mi limito a rilevare una situazione di fatto.
In ogni caso, al momento, e nella speranza di essere smentito dai fatti, sembra che l’avversario possa contare su di un altrettanto secca riduzione delle aspettative basata:
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per un verso, sulla comparazione con altri settori della working class collocati in posizioni peggiori – si pensi a quelli delle ditte che lavorano in appalto intorno al pubblico impiego
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per l’altro, sulla consapevolezza che, se si vuole arrivare a dei risultati apprezzabili, è necessaria una mobilitazione di dimensioni che non si sono mai, o quasi, viste nell’universo pubblico impiegatizio
Questo senza sottovalutare il fatto che la legislazione antisciopero in questo comparto del lavoro dipendente è tale che solo lotte illegali possono essere efficaci e certo la disponibilità all’azione illegale non è tipica dell’universo pubblico impiegatizio.
Non a caso, in questo segmento sociale, si è provveduto, dopo qualche forzatura da parte del governo che era sembrato intenzionato a non concertare più, a ridare ruolo e potere ai sindacati, appunto, concertativi, mediante un accordo basato sullo scambio fra aumenti salariali medi lordi e a regine di 85 euro, in pratica una miseria, e rafforzamento del potere sui lavoratori per il padronato pubblico.
Resta il fatto che si tratta di un macrocomparto i cui principali segmenti – scuola e università, sanità, enti locali – sono in “sofferenza”. Faccio riferimento a scuola e università, sanità ed enti locali non perché neghi rilevanza agli altri di minor consistenza numerica, ma perché mi interessa ragionare su grandi aggregazioni di lavoratori che, laddove si muovessero, avrebbero un impatto notevole ed evidente sull’intera società.
Maggiori tensioni e scontri più duri si danno nell’universo delle aziende che lavorano del tutto o in parte per la pubblica amministrazione: call center, imprese di pulizia, cooperative sociali ecc. dove il tasso di sfruttamento è più forte e dove tagli di personale e licenziamenti sono la regola.
Un mondo dove l’inquadramento sindacalconcertativo è più debole, sia per la maggior presenza di lavoro precario, sia perché fra CGIL CISL UIL e centrali cooperative la relazione più che concertativa è direttamente corporativa, e in cui quindi si danno lotte più radicali ed esperienze sindacali interessanti, ma anche un mondo che deve fare i conti col fatto che le aziende sono, a loro volta, in qualche misura, “dipendenti” dalla committenza con l’effetto che solo andando oltre l’avversario diretto e premendo sulla committenza si possono ottenere dei risultati.
Ora, una massiccia campagna per la reinternalizzazione degli appalti e/o per la conquista di condizioni retributive e normative analoghe ai lavoratori del settore pubblico può avere un impatto notevolissimo a maggior ragione in presenza di mobilitazioni dei pubblici dipendenti.
Ovviamente, una campagna del genere può funzionare appieno solo se si riuscirà a mettere in rete e a fare quindi collaborare sindacati radicali, collettivi, associazioni, individui disponibili sia sul versante dei lavoratori che su quello dei cittadini che hanno l’esigenza di servizi di buona qualità, a maggior ragione a petto dell’invecchiamento medio della popolazione e della crescita della sofferenza sociale.
Un altro comparto molto più vivace della media, e per diverse ed evidenti ragioni, è quello dei trasporti e della logistica.
Diversi fattori sono da considerarsi:
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Il decentramento produttivo e lo sviluppo di grandi reti di distribuzione hanno reso il trasporto merci e quindi la logistica sempre più rilevanti.
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In questo contesto, il lavoro degli immigrati, sovente giovani, acculturati, con alle spalle lotte nei paesi di origine, è centrale. Vi è, a petto di condizioni di sfruttamento bestiali, una disponibilità alla lotta assolutamente straordinaria che ha portato sovente a vittorie sul campo importanti. Sebbene io sia critico nei confronti di chi fa delle lotte della logistica un mito, ritengo che sarebbe un errore gravissimo sottovalutarle.
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Il trasporto pubblico locale è un settore in sofferenza a causa dei tagli che subisce e non a caso vi sono stati nell’ultimo periodo scioperi importanti tipici di un segmento di classe che passa rapidamente da condizioni di, molto relativo, privilegio rispetto ad altri a condizioni pessime.
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Di quanto avviene nel e del trasporto aereo si è parlato spesso su queste pagine: una situazione di attacco radicale ai lavoratori ha determinato lotte ed iniziative importanti.
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La ferrovia vive situazioni analoghe, nella loro specificità: taglio degli organici, aumento dei carichi di lavoro ecc.
Come è evidente, le lotte di questo settore godono di due relativi e importanti “vantaggi”: in primo luogo sono attività non facilmente esternalizzabili, in secondo luogo le lotte che vi si sviluppano hanno un impatto e una visibilità straordinari, a maggior ragione se coordinati ed estesi oltre le singole categorie come si sta iniziando a fare.
D’altro canto, vi è un piccolo svantaggio, e cioè il fatto che è il settore dove la legislazione antisciopero che si accompagna a interventi extralegali pesantissimi ha il maggior impatto già oggi e dove, in tendenza, lo avrà più forte.
Un tipico caso d’intreccio necessario fra azione sindacale e azione politica, posto che fra questi due piani sia possibile un’effettiva divisione.
Si deve, in altri termini, immaginare una campagna di informazione sulla questione delle libertà di organizzazione e di lotta, sulle ricadute che l’attuale situazione ha sulla vita di lavoratori e utenti, sul nesso forte che c’è fra libertà sui posti di lavoro e libertà generali.
D’altro canto l’informazione/agitazione non solo non basta e, anzi, da sola rischia di essere inutile se non patetica. Si deve lavorare a studiare, estendere, sostenere, forme di lotta efficaci che siano tali da spezzare la gabbia di ferro impostaci dalla legislazione antisciopero o, quantomeno, a vanificarla.
Insisto, a questo punto, su di un fatto. Nella piena consapevolezza delle difficoltà che comporta la realizzazione di quanto ipotizzo, sono convinto che una serie di mobilitazioni può funzionare solo a due condizioni: allargare il fronte delle forze soggettive disposte alla lotta e, soprattutto, andare oltre queste stesse forze e, nello stesso tempo, fare funzionare una dialettica virtuosa fra lotte dei salariati e movimenti della società civile per la salute, la scuola, l’ambiente, i trasporti e che, a questo fine, si tratta di aggregare le forze disponibili nei tempi più rapidi possibili.
Chi ha avuto la cortesia di leggere l’articolo sino alla fine, avrà notato il fatto che è straordinariamente lacunoso. Manca, infatti, ogni riferimento ai lavoratori del settore manifatturiero e all’universo del lavoro precario, autonomo formalmente e dipendente realmente ecc..
Non si tratta però di una dimenticanza ma di limiti di spazio e di tempo. Cercherò di ovviare a questa mancanza, posto che vi sia chi la ritiene tale, con un secondo articolo sui temi per ora tralasciati.
Cosimo Scarinzi