Mentre stendo queste righe la situazione non è assolutamente chiara. Il parlamento ha approvato, ma sulla questione torneremo per verificare sino a che punto questa affermazione è vera, il Jobs Act, il 12 dicembre ci sarà uno sciopero generale organizzato da CGIL, CISL e UGL, la CISL ha organizzato, in solitaria, uno sciopero fallimentare del pubblico impiego il 1 dicembre cercando di sganciarsi dall’egemonia CGIL e rifiutando quindi uno sciopero politico ma presentandosi come tutrice dei dipendenti pubblici. E’ bene però ragionare meglio sulla prima considerazione, il Job Act è passato? E’ interessante a questo proposito leggere quanto scrivono nel merito i compagni di Clash City Workers il 4 dicembre in un documento suggestivamente intitolato “Non credeteci: il Jobs Act non è stato davvero approvato!”.
Si tratta, va da sé, di una provocazione, nel senso migliore del termine, e di una provocazione che coglie alcuni dati di realtà essenziali. Riprendo, assai liberamente, alcuni passaggi del loro testo:
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La riforma del lavoro che è stata approvata sia alla Camera che al Senato al momento non è altro che una legge delega il che, come è reso evidente dallo stesso nome, vuol dire che la legge vera e propria la preparerà il governo svuotando, ma non è una novità, il parlamento delle sue funzioni. E’ quindi ancora da stendere il testo effettivo;
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Basta dare un rapido sguardo al testo del Jobs Act per constatare che in questo caso la legge delega è quanto mai vaga, e che i dettagli non esplicitati non sono affatto elementi tecnici, ma politici. Il Jobs Act si configura, lo ripeto, cioè come una delega in bianco che il Governo Renzi chiede;
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Il fatto che il Jobs Act si trovi ad essere ancora tutto da scrivere, ci dice che, anche una volta che è stata approvata la legge delega, la partita non è affatto chiusa, anzi! Soprattutto in questo caso, in cui il testo della delega resta volutamente vago nel merito di questioni importanti, il Governo dovrà faticare non poco per tirare fuori dal Jobs Act un vero e proprio apparato normativo. Dovrà, infatti, presentare nei prossimi mesi gli schemi dei vari decreti, sottoporli al parere delle Commissioni etc…
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Quale riflessione, quale profilo psicologico ci consegna questo dato di fatto? Che mai come questa volta dobbiamo uscire dall’idea che la mobilitazione sia un fatto legato ad una scadenza. Con l’approvazione del Jobs Act si apre una stagione di lotta più lunga, modulata sul contrasto a ogni singolo decreto, e la vincerà chi avrà più tenacia.
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D’altra parte, mettiamoci nei panni di chi si vedrà cancellata da un giorno all’altro quella cassa integrazione che gli permette di tirare avanti e di restare collegato al posto di lavoro… Siamo così sicuri che una volta che il Governo toccherà la carne viva, la sopravvivenza delle famiglie, nulla si muoverà?
Credo che vada posto al centro proprio la considerazione che la partita si gioca in un tempo che non è quello dell’autunno e su un piano che non è quello formale degli scioperi/manifestazioni o almeno è solo marginalmente su questo piano.
A questo proposito, ritengo che il 12 dicembre la CGIL, UIL e UGL temo per loro avranno al massimo il ruolo di ancelle, investirà molto nella riuscita della manifestazione e che la riuscita ci sarà. D’altro canto alla CGIL basta muovere l’apparato inteso in senso largo, funzionari, distaccati, delegati, per dar vita a una piazza non male, se si aggiunge il fatto che è un grado di intercettare lo scontento, assolutamente condivisibile, di settori larghi di lavoratori è ragionevole attendersi una manifestazione di notevole impatto.
Detto ciò, si tratta di vedere come riuscirà lo sciopero che, mi ripeto, NON è la manifestazione e, soprattutto, se avrà un qualche effetto. Mi riferisco, in particolare:
– alla dialettica fra CGIL e PCI – PDS – DS – PD che non si risolve nello scontro fra Susanna Camusso e Matteo Renzi ma vede una pluralità di soggetti in campo;
– alla dialettica CGIL – Confindustria che, dopo l’embrassons nous dell’accordo del 10 gennaio 2014 si è raffreddata.
Detto ciò, centrale resta il livello delle relazioni sociali, al momento non si percepisce un livello di mobilitazione di massa all’altezza della situazione, il conflitto industriale prende forme estreme in situazioni gravi, laddove i siti produttivi sono a rischio chiusura, certamente la tensione nei quartieri proletari è forte anche se sovente prende direzioni reazionarie, qua e la lotte interessanti si danno.
E’ su questo terreno comunque che si giocherà la partita vera. Ritengo infatti che se anche il percorso di definizione operativa del Job Act sarà accidentato è chiaro che la dialettica fra apparati potrà portare a “miglioramenti” assolutamente marginale se anche vi porterà.
Se, per concludere, il tempo che abbiamo davanti non è contratto come vuiol far credere la propaganda dell’avversario ne consegue che vi è spazio per una serie di iniziative, per una vera e propria campagna politica attorno alla quale va costruita forza, organizzazione, progettualità.