Il generale impoverimento della classe lavoratrice è certificato dall’ILO, dall’ISTAT e perfino dalla Banca d’Italia: dal 2019 al 2025 con un’inflazione del + 20,6%, le retribuzioni sono mediamente aumentate del + 9,47%, realizzando una perdita di potere d’acquisto cumulata del 19,61%. Dati che peggiorano ulteriormente nella pervasività del lavoro precario, e di quello già classificato come “povero”, nonché del lavoro nero, tra cui molte delle occupazioni femminili e femminilizzate. In questo contesto di economia di guerra, la spesa sociale e sanitaria subisce ulteriori riduzioni reali, mentre la spesa militare sfiora i 35 mld di euro, con un aumento nel periodo 2022-2026 del 60%. L’impoverimento e la riduzione del welfare, peggiorano le condizioni di tutt3, ma pesano di più su quant3 si trovano già in condizioni di difficoltà. Tra queste troviamo anche chi sta affrontando l’uscita da una relazione violenta, e ha la necessità di trovare un luogo sicuro dove appoggiarsi, spesso con i figli, ed in parecchi casi ha la necessità di un reddito che possa permettere di progettare una vita autonoma. Il Documento Programmatico di Bilancio 2026 contiene provvedimenti di sostegno nei percorsi di fuoruscita dalla violenza, di fragilità economica dovuta alla fuoruscita da una relazione violenta, o all’arrivo di un figlio. Provvedimenti di facciata, buoni per la propaganda del governo, ma assolutamente insufficienti e discriminatori.
Attraverso il rifinanziamento del Fondo per le politiche sui redditi e le pari opportunità, costituito nel 2006, il DPB 2026 prevede un finanziamento di 40 milioni di euro di cui 20 milioni destinati ai centri antiviolenza e 20 milioni alle case rifugio. Cifre enormi, ma insufficienti. Perché? Tenendo conto che risultano operativi almeno 404 CAV e 464 Case rifugio, il finanziamento medio annuo per struttura non arriva a superare euro 46.000,00. Considerando le spese per il personale, e quelle ordinarie di gestione, la cifra si commenta da sola. Da considerare che a questo fondo attingono anche eventuali finanziamenti ai Cuav (Centri per uomini autori di violenza), che oltre alle criticità rappresentate dalle facilitazioni dei percorsi legali dei soggetti trattati, vanno a ridurre ulteriormente le dotazioni per CAV e Case rifugio.
Il finanziamento di euro 7 milioni, è destinato al Piano strategico nazionale, nel quale sono compresi iniziative di reinserimento lavorativo, sostegno abitativo e percorsi di autonomia. Con il DPB 2026 verranno aggiunti euro 500.000,00. Non è chiaro quanto di questi fondi sia finalizzato alla copertura del Reddito di libertà, misura di sostegno economico istituita nel 2020, e rivolta alle donne nei percorsi di fuoruscita dalla violenza, in condizioni di particolare vulnerabilità economica, con o senza figli, seguite dai Centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali. Alle cittadine italiane e comunitarie sono equiparate le cittadine extracomunitarie aventi lo status di rifugiate politiche o di protezione sussidiaria: una condizione legale della minoranza delle donne immigrate, ed in fase di progressiva restrizione. L’erogazione consiste in un assegno mensile di euro 500,00 per 12 mesi (euro 6.000,00 annui per ciascun caso) fino ad esaurimento del Fondo dedicato, insufficiente a coprire i bisogni reali di quante chiedono aiuto. Non sappiamo quanto di questo stanziamento venga destinato al Reddito di libertà, ma supponendo sia l’intero importo, esso consentirebbe di intervenire a favore soltanto di 1.250 casi, 59 per regione. Un numero di casi irrisorio che rappresenta il 5,24% delle richieste di aiuto, considerando che nel 2024 i CAV della sola rete DI.RE hanno accolto 23.851 casi. Un sostegno nominale, su cui nel bisogno non si può davvero contare!
Per la maternità, propagandata fortemente dal governo Meloni, è previsto il Bonus Mamme. Per ottenere il cosiddetto sostegno di euro 60,00 mensili (un’elemosina e chi ha figli lo sa bene), tuttavia essere madri non è sufficiente. Un figlio non basta, ne occorrono almeno due, oltre a un reddito inferiore a 40.000,00 euro lordi, ad un contratto di lavoro come dipendente, con l’eccezione dei contratti di lavoro domestico, che restano esclusi. Una discriminazione forse non casuale, che va a colpire quasi sempre donne spesso immigrate, e già in difficoltà a causa degli orari ridotti e dei bassi redditi. Per chi ha tre figli è previsto un premio maggiore: cessa il bonus mamme e si attiva un azzeramento dei contributi previdenziali che entrano in busta paga. Un aumento di stipendio irrisorio e provvisorio, per un impegno duraturo e costoso.
I grandi numeri calati nella realtà e comparati consentono una lettura politica di questi provvedimenti, che va oltre la propaganda del governo. Le cifre stanziate sono bonus discriminatori, prebende assolutamente insufficienti a costituire un sostegno reale nelle varie situazioni considerate, con stanziamenti aleatori, che vengono rimessi in discussione ad ogni finanziaria. Niente di stabile. Vengono stanziati fondi insufficienti ai CAV che restano poveri di risorse, quindi nell’impossibilità di far fronte alle tante e disperate richieste di aiuto. Senza contare che sono ancora pochissimi quelli che accolgono persone trans, ma questa è un’altra questione. Ai CAV laici e femministi si sono aggiunti i Centri gestiti da associazioni cattoliche, che oltre ad assorbire parte dei finanziamenti, aumentano la discriminazione di chi sceglie relazioni affettive non in linea con la triade Dio, Patria e Famiglia. Anche il bonus mamme, che si dovrebbe distinguere per consistenza da parte di un governo che ci terrorizza con l’inverno demografico, somiglia più ad una mancia che a un sostegno per i bisogni reali dei figli. La spesa militare viene finanziata senza risparmio, mentre per i bisogni reali restano le briciole, e la pubblicità ingannevole del governo sempre più pervasiva e urlata, non si ferma. Ma noi non ci caschiamo!!
Nadia Nardi