Il 24 febbraio di un anno fa l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa segnava l’avvio di una nuova fase non solo del conflitto già in corso della regione dal 2014, ma più in generale dello scontro interimperialistico nella crisi globale dei rapporti tra le potenze.
Per decenni ci hanno raccontato che ci sarebbero state solo missioni umanitarie, guerre chirurgiche e bombe intelligenti. In realtà la guerra è sempre stata uno dei principali strumenti per regolare i rapporti tra stati, anche nella più recente fase di globalizzazione del capitalismo che avrebbe dovuto, secondo la favola, portare la pace. L’invasione dell’Ucraina è stata una svolta perché da un anno si combatte una guerra in campo aperto, con mezzi corazzati e fanteria, assedi alle città e bombardamenti. Nel tritacarne dell’Ucraina lungo un fronte di 2500 km i morti ogni giorno sono centinaia, con picchi che superano il migliaio.
Non si tratta più di una guerra asimmetrica, di controguerriglia. Perché anche se la potenza militare dei due paesi non è bilanciata, sicuramente si confrontano due eserciti moderni, tecnologicamente avanzati, con potenziale accesso – almeno nelle rispettive alleanze – ad ogni tipo di arma, anche nucleare. Certo le potenze pur di svuotare gli arsenali schierano anche vecchi rottami sui campi di battaglia. Ma con questo anno di conflitto è di fatto stata provata e normalizzata la possibilità di una guerra di larga scala tra eserciti nel XXI secolo.
Dalla Germania al Giappone, dalla Svezia all’Italia il riarmo viene finanziato con montagne di miliardi. I media ufficiali parlano di carenza di munizioni, dicono che gli arsenali NATO rischiano di rimanere vuoti a causa dell’intensità dello scontro in Ucraina. Che sia vero o no poco importa. È comunque propaganda che serve ad implementare l’economia di guerra.
Chi pagherà tutto questo? Saranno le classi sfruttate e oppresse di tutto il mondo a dover pagare i debiti contratti dai governi per il riarmo, a diventare manodopera disciplinata al servizio della guerra, ad essere mandate al macello a combattere.
C’è chi dice che non è facile parlare della guerra in Ucraina, che è difficile prendere posizione, che è una questione divisiva. Ma sappiamo che sono i governi che con la guerra puntano a dividere le popolazioni, puntano a dividere le classi sfruttate, i proletari, in nome di una chiesa, di una lingua, di una nazione. La guerra è divisiva solo per chi crede alle menzogne dei governi. Prendere posizione è in realtà molto semplice, le classi sfruttate hanno solo da perdere dalla guerra, la solidarietà internazionalista, l’antimilitarismo e il disfattismo sono gli strumenti di cui disponiamo per fermare la guerra e aprire prospettive rivoluzionarie nella crisi delle potenze imperialiste.
Queste sono alcune delle idee con cui il movimento anarchico sarà nelle piazze il 24 e il 25 febbraio in molte città tra cui Torino, Pisa, Livorno e Niscemi.
Porteremo in piazza anche la solidarietà con tutti i disertori, gli obiettori di coscienza e i disfattisti in Ucraina come in Russia e Bielorussia. Con chi si trova incarcerato in quei paesi perché lotta contro la guerra.
Il primo obiettivo è quello di imporre al governo italiano di desistere dalla propria politica guerrafondaia. Attualmente sull’invio di armi all’Ucraina è addirittura posto il segreto di stato, mentre dei 12000 soldati impegnati nel 2022 in missioni internazionali, oltre un quarto era schierato in Europa Orientale a ridosso del confine ucraino. Il 24 e il 25 febbraio scendiamo in piazza. Fermiamo la guerra, iniziamo da qui.
Dario Antonelli