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Elezioni regionali nel Lazio: ha vinto chi non ha votato

Elezioni regionali nel Lazio: ha vinto chi non ha votato

Nel Lazio si sono svolte le elezioni regionali.

Il candidato presidente eletto è stato Francesco Rocca, detto “Ketchup” ai tempi in cui frequentava i fascisti di Ostia ed aggrediva gli studenti e i compagni del liceo “Anco Marzio”. Fu beccato all’epoca a spacciare eroina in pineta per conto di una banda di nigeriani e fu condannato a tre anni e due mesi di galera. Quelli che non ne capiscono nulla di cucina dicono che il ketchup sta bene con tutto e quelli che invece di affarismo politico ne capiscono hanno pensato che Ketchup stesse bene con la gestione fascista della sanità regionale. Storace, da presidente della Regione, l’ha chiamato a dirigere l’ospedale Sant’Andrea. Dopo la non rielezione di Storace, Rocca è andato a fare l’assessore alla Sanità del Comune di Roma con Alemanno e, alla fine, si è riciclato alla Croce Rossa, da dove l’hanno preso per fare il presidente di regione. Nel frattempo si è comprato casa alla Camilluccia con uno sconto “monstre”: 190 metri quadrati più terrazzo a 570 mila euro. In zona le case costano 6.000 euro a metro quadrato: avrebbe dovuto pagarla più del doppio se non l’avesse comprata dall’ENPAIA, l’ente di previdenza degli agricoltori che saranno contentissimi di sapere come sono utilizzati i soldi dei contributi che versano per la pensione.

Dalla gestione piddina della sanità regionale viene anche il candidato trombato, Alessio D’Amato. A scuola, al “Valadier”, stava con Rifondazione, quando c’è stata la scissione è passato con il PdCI ed è diventato il segretario della sezione del quartiere Labaro, una delle poche sezioni cittadine di Rifondazione passate quasi per intero al partito di Diliberto e Cossutta. Data la scarsità di militanti del PdCI in città, lo hanno fatto anche segretario della federazione romana. Il PdCI, pieno di poltrone e vuoto di voti, lo manda subito dopo la laurea in Commissione Sanità della regione Lazio e, con Zingaretti, diventa Assessore regionale alla Sanità. Con la pandemia fa il salto mediatico. Finisce sui giornali e in televisione, si mette d’accordo con la task force anticovid di Israele e importa il “modello israeliano” nel Lazio. Nel frattempo si becca anche una condanna della Corte dei Conti per danno erariale: si era intascato 275mila euro della regione per finanziarsi la campagna elettorale.

I due candidati presidente sono rappresentativi del ceto politico che, da un’elezione a un’altra, si candida ad occupare i vari posti di potere.

Per fortuna le elezioni non le ha vinte nessuno dei due. Il vero vincitore è stato l’astensionismo: sono andati a votare solo un terzo degli aventi diritto: il 37%. E’ il dato più basso di sempre: alle scorse regionali erano andati a votare quasi il doppio degli elettori (67%) e, in quel caso, si votò in un’unica giornata, a differenza dei due giorni di voto di queste elezioni.

Certo, sono state elezioni poco coperte dal punto di vista mediatico. La Meloni aveva paura di stravincere ai danni degli alleati nella coalizione di governo, mettendo in difficoltà la maggioranza che la sostiene ed il PD ha adottato la consueta tattica elettorale: la strategia dell’opossum, si finge morto e spera che la gente lo voti per paura degli altri (Berlusconi, i fascisti o gli altri “pericoli per la democrazia”).

E’ stata citata ironicamente, in relazione all’affermazione di Calenda secondo cui “sbagliano gli elettori” una famosa frase di Brecht: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”. La realtà è che, nella pervasività della comunicazione mediatica e digitale, “il popolo” viene influenzato nella valutazione dell’importanza o meno di un evento: se ne parlano è importante, altrimenti non conta nulla.

Questo però dovrebbe farci riflettere anche sul fatto che il dibattito politico, che coinvolge politici, giornalisti e intellettuali è tutto basato su un interesse “pubblico” che, se non acquisisce centralità mediatica, non c’è per nulla.

Qualcuno, come in altre elezioni, ha collegato l’astensionismo alla crisi della democrazia rappresentativa.

Il problema è che chiunque sia eletto al governo di qualsiasi ente, locale e nazionale, deve attuare decisioni prese da altri. La politica militare ed estera la decide la Nato, la politica energetica la decide l’ENI, la politica di bilancio e monetaria la decide l’Unione Europea. I margini dei governi nazionali e locali devono muoversi all’interno di queste coordinate con pochissime possibilità di differenziare gli uni dagli altri.

Lo stesso accade nelle regioni dove, tolte le spese per il personale, la maggior parte del bilancio è destinato alla sanità (e per questo motivo i candidati presidente vengono entrambi da quel mondo). Lo sfascio del sistema sanitario è dovuto ai tagli necessari per ripianare i bilanci. E quella di continuare a tagliare sarà la caratteristica del prossimo governo regionale, chiunque avesse vinto.

Noi anarchici, come di consueto, diciamo di non votare e di non delegare. Nonostante i due terzi degli aventi diritto non siano andati a votare, non ci interessa fare la mosca cocchiera e cantare vittoria.

Noi non diciamo di rappresentare gli astenuti. Però non può dichiararsi rappresentativo neanche chi è stato eletto. Prendere il 50% dei voti del 33% dei votanti, significa essere stati scelti da meno del 10% dei residenti nel Lazio (considerato che immigrati, fuorisede e under 18 non votano).

Si aprono spiragli interessanti per le lotte sociali: in caso di scontro tra un’istanza sociale partecipata e il potere politico regionale, questo non potrà bearsi di avere la legittimazione popolare.

E nell’astensionismo di queste lezioni troviamo conferma nel fatto che sia la lotta e non il voto a decidere le condizioni di vita di ognunə di noi.

Fricche

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