“L’Italia sta già facendo la sua parte e continuerà a farla ogni giorno per aiutare la popolazione civile palestinese che è incolpevole della guerra in corso e che nulla c’entra o ha responsabilità con i terroristi di Hamas che hanno compiuto gli eccidi del 7 ottobre scorso e che, giustamente, Israele sta combattendo nel tentativo di estirpare in via definitiva una organizzazione terroristica e disumana”. Queste sono le dichiarazioni in pompa magna del ministro della Difesa, Guido Crosetto, davanti alle telecamere mentre la nave Vulcano della Marina militare italiana salpava da Civitavecchia verso Gaza. Tutti i mass-media erano concentrati a descrivere i militari italiani brava gente con la loro nave-ospedale in grado di fare diagnosi per immagini, chirurgia e attività salvavita; ma i riflettori si spegnevano quando a salpare erano le due fregate della Marina militare italiana, la Margottini e la Fasan, schierate nel Mediterraneo orientale in funzione operativa e “a supporto” dei due gruppi delle portaerei Usa, guidati dalla Uss Gerald Ford e dalla Uss Dwight Eisenhower… a cui si è aggiunto il sottomarino a propulsione nucleare Florida (con 154 missili convenzionali).
L’intenzione neocoloniale del governo italiano nella regione palestinese, già forte dei contingenti operanti in Libano nell’ambito della missione Mibil e della forza di interposizione Onu Unifil, è quella di imporsi come potenza mediterranea per potersi rivendere come protagonista nello sciacallaggio in Medio Oriente. In questo teatro di guerra, volto soprattutto al massacro di civili, sono coinvolte più o meno direttamente varie potenze mondiali, non solo regionali: ovviamente gli immancabili Stati Uniti, alleati di ferro di Israele, che hanno già inviato due strike group nelle acque territoriali israeliane, l’Iran ed il Libano (e gli Hezbollah con tutte le milizie loro affiliate), la Turchia per il momento in bilico tra l’essere un attore principale e secondario… ed altre potenze alla finestra come Russia e Cina, in attesa di ulteriori sviluppi.
La speranza del governo tricolore, sempre pronto a depredare risorse, è quello di riuscire a ritagliarsi un ruolo fondamentale a conflitto ancora in corso, così da sciacallare un posto in tribuna nelle trattative per la ricostruzione e nel processo di riorganizzazione politica della regione al termine della guerra. Infatti è più che evidente che astenersi all’Assemblea delle Nazioni Unite su una mozione presentata dalla Giordania, che chiedeva semplicemente una tregua umanitaria per soccorrere i civili (nemmeno un cessate il fuoco!), quando persino il segretario dell’Onu Guterres dichiarava esplicitamente che “Gaza è ormai il cimitero dei bambini” cozza profondamente con le spavalde dichiarazioni di Crosetto. Infatti, mentre il ministro si gonfiava il petto annunciando “siamo i primi ad effettuare un’operazione umanitaria nell’area e speriamo che altri Paesi ci seguano”, il viceministro degli esteri, Edmondo Cirielli, chiedeva esplicitamente al parlamento di bloccare i 7 milioni di aiuti all’Unrwa (l’Agenzia Onu che assiste i profughi palestinesi).
Questo clima di sciacallaggio tricolore militare veniva incorniciato dal rituale “giorno dell’unità nazionale”, quel 4 novembre organizzato con le solite sfilate militaresche; forse le più alte cariche dello Stato, col naso all’insù per osservare le frecce tricolori, questa volta hanno sperato che alcun aereo militare italiano uccidesse bambine di 5 anni; come avvenuto, invece, a Torino quando una freccia tricolore si è schiantata al suolo e, oltre a uccidere la bambina, ha ustionato il fratello, un bambino di 12 anni, e i genitori… mentre il pilota non si è fatto nulla, lanciandosi preventivamente col paracadute.
Per il movimento antagonista di Roma, invece, questo è un periodo di iniziative e mobilitazioni in solidarietà con il popolo palestinese. Ogni settimana si organizzano incontri, dibattiti, flash-mob e, ovviamente, manifestazioni che vedono sempre un’ampia partecipazione.
Anche il 4 novembre all’interno di una manifestazione indetta contro la guerra in Ucraina, dopo una manifestazione nazionale della settimana precedente che aveva visto la presenza di oltre 20mila persone, non si poteva restare indifferenti e in silenzio difronte al genocidio palestinese. Per cui, sfidando il maltempo e il boicottaggio della questura e dei partiti politici, circa 6mila persone sono scese in piazza per portare la voce e le ragioni dei palestinesi nelle vie di Roma: partendo da piazza Vittorio Emanuele, il corteo si è snodato fino a piazza San Giovanni in Laterano denunciando le oltre 11mila vittime di Gaza e le responsabilità del governo di Israele, con l’appoggio incondizionato degli Stati occidentali e della loro sete di morte e speculazione economica.
Anche venerdì 10 novembre si è scesi in piazza con le stesse convinzioni e la stessa rabbia per una situazione che diventa sempre più catastrofica e morti che aumentano esponenzialmente. Mantenere una partecipazione da grandi numeri è sempre più difficile, ma la volontà è quella di costruire percorsi di solidarietà attiva e, come anarchicə, non possiamo esimerci dal partecipare e portare le nostre energie (e i nostri metodi orizzontali) per costruire un mondo diverso, senza Stati né eserciti.
Vincenzo del gruppo Bakunin – FAI Roma&Lazio