Cronache dal sindacalismo di base e conflittuale

Il 24 ottobre si è tenuta la prima assemblea nazionale pubblica del sindacalismo di base e conflittuale, cioè le organizzazioni sindacali di base composte da lavoratrici e lavoratori che, nel mese di luglio, hanno proclamato lo sciopero generale nazionale di lunedì 11 ottobre di tutti i settori del pubblico e del privato. Le quindici sigle del sindacalismo di base e conflittuale sono USI CIT, SI COBAS, USB, SGB, CUB, CLAP, CONFEDERAZIONE COBAS, UNICOBAS, ADL COBAS, COBAS SANITÀ, UNIVERSITÀ RICERCA, FUORIMERCATO, COBAS SARDEGNA, ORSA, SIAL COBAS, SLAI COBAS. Il percorso collettivo di costruzione dello sciopero si è contraddistinto per una permanente e serrata consultazione assembleare dal basso, locale e nazionale, che ha tenuto conto delle specificità e delle attività nei luoghi di lavoro delle singole organizzazioni e ad oggi è stato aperto all’incontro/confronto con le realtà sociali che si sono impegnate partendo dalla necessità di costruire una giornata di lotta. Il percorso unitario del sindacalismo di base e conflittuale è stato avviato dopo decenni e ha dato corpo ad una piattaforma comune chiara per una realistica opposizione sociale al governo Draghi.

Ordito sull’esperienza della partecipazione diretta alle pratiche assembleari, il percorso unitario verso lo sciopero generale e le mobilitazioni dell’11 ottobre ha scosso dall’abitudine di perseguire l’unica attività vertenziale ordinaria dei singoli settori, superando le differenze tra le organizzazioni dei sindacati di base, basandosi sui possibili e praticabili obbiettivi comuni.

Lo strumento dello sciopero generale è determinante per la tutela e la difesa di lavoratori e lavoratrici quando i diritti sul luogo di lavoro non sono rispettati o ancor di più quando questi vengono negati e repressi. L’astensione collettiva dal lavoro è la presa di coscienza dell’ineguale rapporto di forza esistente fra le parti che entrano in conflitto, cioè tra chi presta la sua opera e il datore di lavoro, elevando a diritto la libertà sindacale e la dignità di tutte le lavoratrici e lavoratori. Il diritto del lavoro è uno dei mezzi per colmare il divario della disuguaglianza sociale, fra la posizione subordinata del prestatore e quella del datore di lavoro, permettendo al sindacato autorganizzato dalla base di esistere ed operare per la promozione di una partecipazione in difesa dei lavoratori, nel miglioramento effettivo dei rapporti economici e sociali in un sistema economico basato sul libero mercato e le gerarchie sociali. Limitare la libertà sindacale e di sciopero o vietarla significa pertanto aumentare gli ostacoli di ordine economico e sociale, insieme alla disuguaglianza e alla discriminazione, alla partecipazione di tutti i lavoratori e le lavoratrici soprattutto poveri all’organizzazione politica, economica e sociale di un paese.

Negli ultimi anni si è venuta a determinare una muraglia di interessi e di privilegi disciplinati nel mondo del lavoro, in cui le spietate regole di mercato la fanno da padroni e l’acquiescenza dei sindacati concertativi CGIL CISL e UIL è legata a doppio filo ai piani di ristrutturazione neoliberista, consegnando la rappresentanza effettiva dei lavoratori nelle mani delle politiche padronali e governative.

Ne sono esempi noti Il Job act e il Patto per la Fabbrica che, negli anni passati, hanno contribuito a dare il via libera all’architettura neoliberista nel nostro paese calpestando la dignità di lavoratrici e lavoratori e dell’intera società. La liberalizzazione del mercato del lavoro si è accentuata sempre più con un susseguirsi di decreti e provvedimenti incrementando così il sistema di sfruttamento e subordinazione in tutti i settori con l’aumento della precarizzazione attraverso i contratti atipici, la disoccupazione, la devastante delocalizzazione e la graduale riduzione dei diritti ed ha reso più facile l’espulsione di lavoratori e lavoratrici.

Negli corso degli ultimi mesi i licenziamenti alla Gianetti Ruote, alla GKN, alla Whirpool, ITA-Alitalia si sono aggiunte alle altre migliaia avviati in piccole aziende che non sono arrivate alla cronaca nazionale ma che hanno ingrossato gli oltre 900 mila lavoratori e lavoratrici licenziati. Il sistema dell’esternalizzazione poi, con il sistema degli appalti e subappalti, ha allargato ancor di più le maglie delle gare di appalto al massimo ribasso offrendo così di fatto maggiore potere alle mafie e al caporalato.

L’escalation repressiva sistematica contro gli scioperi e contro le lotte sociali con le cariche della polizia, le denunce sistematiche, i fogli di via ha legittimato le violenze e le aggressioni contro i lavoratori in sciopero e gli attivisti sindacali da parte di squadracce padronali. L’attuale ordine costituito sta utilizzando infatti una pesante repressione verso le lotte rivendicative dei lavoratori e lavoratrici con le leggi già promulgate da Salvini quando era al governo e mai modificate.

La pandemia iniziata dal 2020 e ancora in corso ha messo a nudo ancora di più i limiti sociali ed economici del neoliberismo e, in piena emergenza sanitaria da covid che ha visto morire decine di migliaia di persone, sta accelerando i suoi programmi toccando tutti i settori e le categorie. Tra gli obiettivi più ambiti nel nuovo PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) dell’attuale governo Draghi, composto da partiti di centro destra e centro sinistra in accordo con l’UE, le associazioni padronali di Confindustria e la complicità dei sindacati concertativi CGIL CISL e UIL è quello di far ricadere ancora una volta i costi dell’attuale recessione economica sulle spalle di lavoratori e lavoratrici poveri, a colpi di decreti che attaccano ancora una volta e tagliano le urgenti necessità sociali.

L’assemblea nazionale del sindacalismo di base e conflittuale riunita il 24 ottobre a Roma, presieduta da una rappresentante di SGB ed una rappresentante di USI che ha fatto l’introduzione dei lavori, ha espresso soddisfazione per l’esito della mobilitazione intorno allo sciopero generale dell’11 ottobre, che ha prodotto iniziative e manifestazioni in circa quaranta città del paese da sud a nord, ha coinvolto un gran numero di settori e categorie, è riuscita ad aggregare altre forze e movimenti in una giornata di lotta.

Altre iniziative di solidarietà allo sciopero sono arrivate dalla Germania da lavoratori e lavoratrici della FAU (Freie Arbeiter Union) che l’11 ottobre hanno organizzato iniziative di solidarietà a Friburgo, Colonia, Stoccarda, Duisburg / Ruhr. La FAU Eastern Ruhr Area Initiative ha tenuto una manifestazione davanti al consolato italiano a Dortmund e L’Allgemeine Syndikat Stuttgart ha trasmesso al Consolato Generale d’Italia a Stoccarda le richieste degli scioperanti in Italia. Un comunicato di solidarietà al sindacalismo di base e conflittuale sono arrivati anche dall’ IWW (Industrial World Workers) d’Irlanda.

Hanno collaborato e partecipato alle mobilitazioni dell’11 ottobre anche i collettivi studenteschi, i comitati e coordinamenti contro le servitù e le spese militari, contro la devastazione ambientale, contro il carovita e l’emergenza abitativa. Una giornata di sciopero che ha avuto al centro i temi del lavoro ed ha fermato la circolazione delle merci in alcuni gangli vitali del paese tra i quali la scuola, i trasporti, la logistica. Per un giorno il paese ha dovuto prendere atto che c’è una parte del mondo del lavoro e della società che non è disposta a chinare la testa di fronte ai piani del governo Draghi ed è pronta a dare battaglia.

Si è parlato delle inadempienze a trovare soluzioni rivolte alle urgenti necessità sociali ed economiche a tutela della salute e dei lavoratori che stanno acutizzando il malessere trasformandolo in rabbia diffusa, un impulso che in queste settimane ha dato vita ad alcune manifestazioni in contrasto al Green Pass, la cui obbligatorietà è stata decretata ufficialmente dal governo Draghi per ampliare il numero della popolazione vaccinata al covid in questo paese al fine di ottenere l’immunità di gregge o collettiva per il contenimento sanitario della pandemia, facendo ricadere così ancora una volta il prezzo di questa sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici.

A queste proteste purtroppo hanno partecipato associazioni e partiti notoriamente filo padronali tra le quali Forza Nuova e Casa Pound notoriamente di estrema destra, nazionaliste e dichiaratamente fasciste. Nell’illusione di avere una copertura sindacale “lo sciopero ad oltranza” è stato chiamato dalla F.I.S.I (Federazione Italiana Sindacati Intercategoriali) i cui vertici provengono tutti o quasi dalla galassia nera delle formazioni neofasciste e dal più convinto negazionismo sanitario che, annunciandosi in alcuni appelli come qualunquisti e dichiarandosi “apolitici, apartitici”, hanno dimostrato di prevalere in alcune iniziative messe in campo tutt’altro che apolitiche. Tra queste l’assalto squadrista alla sede della CGIL di Roma del 9 ottobre ad opera di noti neofascisti che, la notte stessa, hanno assaltato anche il pronto soccorso del Policlinico Umberto I ferendo due operatori sanitari.

Il ruolo filo padronale dei fascisti[1] è storicamente noto: basti pensare agli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 quando Confindustria e “sindacato” fascista si riconoscevano reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro e con la legge 563 del 3 aprile 1926[2] venne cancellato anche il diritto di sciopero.[3]

Il richiamo all’unità nel conflitto del sindacalismo di base e conflittuale è una strada dunque determinante e importante da percorrere per gestire azioni e momenti decisionali assembleari senza gerarchie che facciano da cuneo nell’aprire una breccia, che permetta di uscire dal tunnel in cui sono costretti lavoratori e lavoratrici anche utilizzando l’emergenza pandemica.

L’assemblea nazionale del 24 ottobre del sindacalismo di base e conflittuale, in una mozione finale condivisa, ha espresso la volontà unanime di dare continuità al percorso unitario in una forma stabile di consultazione tra tutte le organizzazioni ed ha espresso la necessità di mettere in cantiere l’organizzazione di ulteriori iniziative unitarie, tanto locali quanto nazionali, compresa la promozione di nuove iniziative di sciopero tanto di categoria quanto generali, sottolineando la necessità di estendere il più possibile la mobilitazione di tutti i lavoratori e le lavoratrici e dando impulso alla necessaria solidarietà fra lavoratori e settori popolari colpiti dalle politiche padronali e governative. Come USI CIT, coerentemente con la mozione approvata all’unanimità nell’ultimo Congresso appena conclusosi, daremo il massimo contributo a tale percorso unitario di base e conflittuale.

Il 30 ottobre, infine, sulla base della piattaforma dello sciopero generale dell’11 ottobre ha confermato la sua partecipazione con uno spezzone unitario a Roma contro il G20 con la consapevolezza che i temi dell’ambiente e del clima sono parte integrante della comune lotta contro lo sfruttamento capitalistico delle persone e della Natura, per i diritti del mondo del lavoro.

Norma Santi

NOTE

[1] Nel biennio nero (1921-1922) si moltiplicarono gli attacchi e i saccheggi delle squadracce fasciste alle Camere del avoro, alle Case del Popolo, alle cooperative ed aòòe leghe che culminarono nel 1922 con la marcia su Roma. La repressione dell’esercito regio, inoltre, in questo periodo si rese protagonista di numerosi eccidi di braccianti. Il fascismo appariva alla classe dirigente italiana come l’unica forza in grado di tener testa al movimento dei lavoratori e di riportare l’ordine nel Paese agitato dai grandi scioperi e dalle occupazioni delle fabbriche e delle terre del 1920-21.

[2] Il corporativismo fascista reintrodusse nel 1926 la repressione penale dello sciopero, attraverso la creazione di alcune figure di reato previste dalla L. n. 563/1926 (e dal relativo regolamento di esecuzione, il R.d. n. 1130/1926) le quali saranno poi trasfuse nel codice penale del 1930 il Codice Rocco. Pertanto lo sciopero,strumento principale di pressione sindacale in fase di negoziazione dei contratti collettivi, venne vietato penalmente. I datori di lavoro, con l’acquiescenza della Magistratura del Lavoro usavano la cosiddetta serrata elastica cioè il licenziamento dei lavoratori e la loro riassunzione a salari inferiori.

[3] L’Unione Sindacale Italiana, già esistente allora, che dai primi anni ’20 si scontrò con le camicie nere ed il nascente fascismo nel 1925 entrò in clandestinità e continuò la sua attività in esilio.

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