Gli stanziamenti odierni e futuri per i contratti pubblici ridurranno ulteriormente il nostro potere di acquisto
Qualche giornale ha parlato di grande novità, di innovazione con indubbi benefici per i lavoratori, la legge di bilancio ha previsto stanziamenti per i prossimi contratti nazionali, stanziamenti relativi all’ultimo triennio (il solo contratto arrivato, senza la firma di Cgil e Uil si riferisce al comparto degli statali) e a quello successivo.
È fin troppo facile stanziare in astratto, o a tavolino, l’importo degli aumenti necessari a supportare il costo della vita quando la stessa inflazione dipende da innumerevoli fattori, sarà sufficiente un conflitto bellico, il rincaro delle tariffe energetiche e dei metalli rari per innalzare il costo della vita obbligando, seppure al ribasso, il Governo a rivedere i conti trovando le dovute coperture a ulteriori stanziamenti.
Stabilire delle cifre per i prossimi contratti in base alla presunta inflazione collegata all’andamento del PIL è illogico e anche antiscientifico (la definizione non è nostra ma di alcuni economisti), la manovra di Bilancio che ne consegue si sorreggerà su instabili palafitte in un terreno per altro franoso, prova ne sia l’andamento oscillante, e tendenzialmente al ribasso, della economia europea.
Se poi si gettano in pasto all’opinione pubblica delle cifre decontestualizzate e senza far capire le voci di spesa e i servizi corrispondenti, si rischia di scatenare una guerra, e non solo mediatica, rispetto al lavoro e al servizio pubblico. I 22,95 miliardi di euro per sei anni di rinnovi contrattuali destinati a 3,2 milioni di dipendenti della PA potrebbero diventare strumento anche per un malcontento generale della società (ad arte pilotato) al fine di privatizzare innumerevoli servizi facendo credere all’opinione pubblica che la spesa da sostenere sia fin troppa onerosa per le casse statali. E la opinione pubblica adeguatamente indirizzata e pilotata potrebbe rilevarsi decisiva per una campagna populista a favore del privato proprio per contenere gli sprechi del pubblico. Perché al conto economico sopra evidenziato poi vanno aggiunti Enti locali, Asl e ospedali che devono reperire dai loro bilanci le somme necessarie agli aumenti salariali e nel caso di questi ultimi i rinnovi graveranno sul fondo sanitario che in questi anni non ha mai tenuto conto dei reali fabbisogni. Inoltre l’inserto quotidiano Enti locali de Il Sole 24 Ore parla di 41 miliardi complessivi per aumenti che poi saranno pari a circa un terzo dell’aumento del reale costo della vita.
Al comune mortale, oggetto di campagne mediatiche farcite di luoghi comuni, sono ignote le nuove regole fiscali europee che impongono agli stati di prevedere una spesa preventiva per i prossimi anni. Da qui ai prossimi 7 anni l’Italia sarà oggetto di una sorveglianza speciale da parte di Bruxelles per il rientro all’interno dei parametri previsti tra PIL e debito; di fronte ad una economia debole e stagnante l‘Unione Europea potrebbe chiedere aggiustamenti strutturali che sappiamo essere ulteriori svendite dei beni di famiglia ossia privatizzazioni.
Non è vero che la causa dei ritardi nei rinnovi contrattuali siano gli stanziamenti decisi per anno, le cause sono ben altre ad esempio l’irrisorietà della indennità di vacanza contrattuale, gli importi così bassi non spingono la parte datoriale a sottoscrivere i contratti nei tempi giusti.
Qualcuno obietterà che nel Pubblico avere dei fondi prestabiliti sia invece di aiuto, e certo stabilire risorse inferiori alla inflazione servirà al Governo per presentarsi al cospetto di Bruxelles con qualche credenziale in più.
Non vi vengano a dire che il nuovo CCNL statali preveda di iniziare le trattative entro aprile, anche negli Enti locali vige questa norma che tuttavia resta in sostanza inapplicata.
Davanti agli aumenti del costo della vita registrati nel 2022-23, il Governo ha fatto ricorso al taglio del cuneo fiscale per accontentare le imprese e avere un’arma di distrazione di massa atta a deviare l’attenzione dalla dinamica contrattuale che determina salari da fame.
Federico Giusti