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Cinque anarchici di Calabria

Cinque anarchici di Calabria

26 Settembre 1970: ennesima strage di Stato fascista

Cinquantatré anni fa cinque ragazzi della mia età, con i quali avevamo condiviso tanta vita e gioia di lottare, furono massacrati la notte del 26 settembre 1970 alle 23:25, ma l’orario credo sia falso come tutto il corollario di atti e documenti su questo che ancora, dopo 53 anni, si ostinano a chiamare incidente stradale.

Morirono: Mucky (Annelise Borth) 18 anni, Gianni Aricò 22, Angelo Casile 20, Luigi Lo Celso 26 e Franco Scordo 18. Anarchici e uccisi in quanto anarchici!

Gianni, Angelo e Franco avevano creato il gruppo Misefari legato alla FAGI (Federazione anarchica giovanile italiana) e con sede nella “Baracca”, un fabbricato antico donato loro da una possidente di Reggio Calabria. Erano attivissimi da anni ormai e molto conosciuti, soprattutto dalle forze del disordine che da tempo li controllavano e che cercavano in tutti i modi di metterli a tacere. Ci riusciranno con l’aiuto scontato dei fascisti.

Quella notte nei pressi di Ferentino (Frosinone) venne attuato un piano ben congegnato sulla strada che a poca distanza, circa 20 km, costeggiava proprio la grande proprietà di Junio Valerio Borghese, noto comandante della famigerata X MAS, alleato dei nazisti e massacratore di partigiani, presidente del MSI dopo il processo farsa per i suoi crimini amnistiati da Togliatti, nonché, a dicembre 1970, attuatore del tentato golpe (che in realtà doveva avvenire dopo la strage di Stato del 12 dicembre ’69). Lo stesso Borghese era presente a Reggio Calabria in compagnia di noti politici e mafiosi nei giorni della rivolta (luglio 1970) e soprattutto dell’attentato alla Freccia del Sud (22 luglio 1970, nei pressi di Gioia Tauro), che provocò 6 morti e il ferimento di altre 70 persone. Circostanze sulle quali i compagni della Baracca avevano svolto un’indagine approfondita, confezionando un dossier che individuava i nomi di mandanti ed esecutori, con annesse foto dei responsabili in compagnia di notabili e politici. I 5 anarchici di Calabria raccolsero le prove che dimostravano l’infiltrazione dei neofascisti di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale (coadiuvati dai vertici delle istituzioni, sia politiche che militari) nei moti di Reggio, con l’obiettivo di strumentalizzare la piazza, e dimostravano inoltre che il deragliamento del treno fu provocato da una carica di esplosivo piazzata dai neofascisti aiutati dalla ‘ndrangheta.

Dossier, che fu naturalmente fatto sparire per ben 2 volte…    Una prima volta dalle Poste (un plico destinato ad Aldo Rossi per Umanità Nova), mentre una seconda copia scomparve dall’auto distrutta nel cosiddetto incidente. “Incidente” verificatosi sicuramente con la tecnica del doppio sorpasso: due auto che seguono la Mini di Gianni, una la affianca quando Gianni tenta di sorpassare il camion che gli sta davanti e stringe la Mini minor targata Reggio Calabria contro la fiancata e il retro dell’autotreno, mentre l’altra la tampona spingendola ancor più velocemente contro il lato posteriore del camion. Probabilmente c’è anche una terza auto che controlla e rallenta il traffico più indietro. Il tutto accade in pochi secondi. Dopo lo schianto, vennero inscenati ulteriori danni provocati dall’“incidente”, con lo sradicamento del tetto della Mini per giustificare i morti trovati sull’asfalto, sicuramente uccisi mentre erano ancora tramortiti… come quelli nell’auto tranne Mucky, data per morta, ma rimasta in vita e non a caso piantonata fino alla morte dalla polizia in ospedale, come accaduto per il nostro caro Pino Pinelli. Sono sicuro che questa ipotesi sullo svolgimento dei fatti sia più che plausibile.

Il “principe nero” riservò probabilmente lo stesso trattamento alla moglie (la principessa russa Daria Olsoufiev Schouvalov), che voleva separarsi da lui e morì in un “incidente” stradale nel 1963 pure lei… lasciandolo ricco!

Voglio ricordare le vite dei 5 compagni così fortemente e indissolubilmente legate alle nostre, di noi giovani che, in tutte le realtà sociali di questo come dei tanti paesi del mondo che attraversavamo nel nostro girovagare per apprendere e capire, eravamo parte attiva nell’assimilare e cercare di sintetizzare le possibilità di cambiamento di condizioni di vita inumane, sia nella scuola che sul posto di lavoro e nella società. Eravamo ben consci, nonostante l’età, che da anarchici fosse non solo possibile, ma assolutamente indispensabile combattere e convincere a farlo (con tutto l’amore che ci contraddistingueva) quella “ciurma anemica”, da sempre soltanto carne da macello per tutti i poteri!

Voglio ricordare Giorgio e Angelo, con i quali abbiamo passato intensi e piacevoli pomeriggi nella baraccopoli di Prato Rotondo (a Roma, tra Val Melaina e Prati Fiscali) a fare scuola ai bambini dei baraccati, migranti del Sud Italia dell’epoca. Angelo insegnava a disegnare e dipingere, era un grande artista davvero! E poi si stava insieme a mangiare e a bere, a discutere anche calorosamente di idee e progetti, a ridere e cantare le nostre splendide canzoni anarchiche, come anche nei nostri incontri alle manifestazioni, quando distribuivamo volantini e sventolavamo le nostre bandiere.

E voglio ricordare Mucki, che fu la mia meteora d’amore, che mi scelse e volle restare a Roma con me contro la volontà di Ivo Della Savia, suo compagno fino ad allora. Ricordo quando mi disse semplicemente: “ti voglio bene e vorrei stare con te”, anche se in parte me lo fece dire da Pietro, perché non le riusciva di dirlo per bene; un po’ per la lingua, un po’ per l’emozione. E mi ricordo di come io, imbranato come la maggior parte dei maschietti di allora, semplicemente per la prima volta capivo cosa volesse dire la parola felicità. È durata così poco purtroppo… Dopo pochi giorni con lei mi ritrovai in galera per furto di generi alimentari e ancora, dopo una settimana, a causa della rissa scatenata circa un mese prima della strage di Piazza Fontana per farci passare prima, agli occhi dei media, come delinquenti comuni (un tassello importante del piano orchestrato dai Servizi) e preparare la strada per fare di noi, in un secondo    tempo, i capri espiatori di quella strage che a breve avrebbe insanguinato e stroncato i sogni della gioventù e della classe proletaria di questo paese. Strage per la quale, dopo pochissimo, mi sono ritrovato di nuovo in carcere!

La notte del 19 novembre 1969 verso le due di notte, con Pietro, Enrico Di Cola ed Emilio Bagnoli uscivamo da una pizzeria a Trastevere discutendo a voce alta della guerra di Spagna. Un ubriaco (?) ci redarguì da una finestra urlandoci volutamente (?) contro: “assassini!”… Arrivati in una piazza notai la solita Giulia bianca (spesso sostituita da una 128, sempre bianca) che tante volte ci aspettava a Prato Rotondo o al negozio di lampadari di Pietro in via del Boschetto o davanti la sede di Via del Governo Vecchio. Quando cercai di farlo notare ai compagni, fummo repentinamente circondati da una decina di “fascisti” che gridando ci si avventarono contro. Ci siamo difesi, ma alla fine, Pietro, con un occhio pesto, ed io, con una ferita sopra il naso, abbiamo dovuto trasportare a braccia Enrico, che era stato colpito più duramente, a una fontanella per farlo riprendere sciacquandogli la faccia. Emilio, pur inseguito, riuscì a mettersi in salvo. Nel frattempo era arrivata un’auto dei carabinieri e, mentre tutt’attorno a noi si era fatto il vuoto, ci hanno caricato portandoci direttamente a Regina Coeli! Venimmo accusati di rissa aggravata, forse perché eravamo noi i feriti… Fatto sta che quelle foto segnaletiche (tra l’altro, di noi in quelle condizioni) torneranno utili alla costruzione dell’immagine dei mostri da sbattere in prima pagina! Una curiosità: Emilio, dopo l’arresto per Piazza Fontana, riconoscerà in un paio di guardie carcerarie di Regina Coeli, alcuni degli aggressori di quella notte…

Allora vivevo come un randagio e avevo l’unico scopo con i compagni – Enrico Di Cola tra i primi, mio compagno e fratello in tante lotte dai banchi di scuola alle barricate all’università e che abbiamo dolorosamente perduto da poco, e Pietro Valpreda, e tutti gli immensi fratelli del 22 marzo – di fare il possibile per allargare la lotta a tutti i campi della vita sociale della capitale, allora in pieno fermento prerivoluzionario. Il nostro era un impegno totale in tutti i settori, dalla scuola all’Università, ai tanti momenti di lotta posta in essere nelle varie fabbriche e negli impianti capitolini, nei quali davamo il nostro contributo come estensori sui volantini delle rivendicazioni in atto (giornate di 48 ore vi assicuro), e non si finiva mai di discutere, scrivere, ciclostilare e preparare manifesti e striscioni per combattere e vincere le tante battaglie che ci vedevano spesso soccombere e massacrare dalle forze di polizia. Portammo la nostra presenza e solidarietà in tante lotte dove ci furono morti tra i dimostranti come a Battipaglia, quando il 9 aprile 1969 vennero colpiti a morte da proiettili sparati all’impazzata sulla folla da polizia e carabinieri, asserragliati nel commissariato di via Gramsci, Teresa Ricciardi, una giovane insegnante che seguiva gli scontri dalla sua finestra, e l’operaio tipografo diciannovenne Carmine Citro. A Battipaglia ci andammo con un viaggio organizzato da un prete operaio…

Chi dà tutto se stesso per la costruzione di un mondo umano, dove l’uguaglianza nella libertà sia vita ed esplosione di felicità nella scoperta continua delle meraviglie possibili nella fratellanza nata dall’abbattimento di tutte le forme di oppressione e autoritarismo create dal capitalismo, chi soffre e si batte per questo, può scordarsi cosa significhi una vita lunga e tranquilla.

Quel momento storico in particolare fu veramente tragico in tutti i sensi per chi propugnava idee anarchiche: dopo la strage del 12 dicembre ’69, che ci vide designati come i capri espiatori e, con noi tutto un movimento rivoluzionario con forti accenti libertari abortito dal regime di paura creato ad arte con quelle bombe, fu un continuo stillicidio di compagni caduti, omicidi nelle piazze e tanti “incidenti”, nei quali furono assassinati anche alcuni appartenenti al nostro gruppo, il “22 Marzo”.

La vendetta del potere è continuata per anni giungendo fino ad oggi, con questo governo apertamente fascista contro il quale la nostra protervia e testardaggine continua a proclamare altrettanto apertamente la nostra totale estraneità ai loro (dei fascisti) massacri di guerra, chiamandoli sistematicamente in causa a ogni sopruso fino a denunciare il vero e proprio genocidio di Stato perpetrato contro i migranti, il cui immenso cimitero sta accanto alle nostre spiagge!    E che non pago, cerca ancora vittime… Ne è la riprova il continuo forzare le cosiddette leggi “democratiche”, inventandosi accuse di terrorismo per uno scritto o comminando decenni di carcere ed ergastoli come piovesse! Non hanno più bisogno di incutere paura con stragi e bombe, ora hanno la macchina da guerra perfetta: lo Stato demoFascista!

Con tanta rabbia in corpo, oggi come ieri. Viva l’Anarchia!!             

P.S. Voglio aggiungere un doveroso omaggio, invitando a leggere i loro libri, a Fabio Cuzzola (“Cinque Anarchici del Sud: una storia negata” del 2001) e a Nicoletta Orlandi Posti (per il bellissimo “Il Sangue Politico”, quasi un romanzo, del 2013, che purtroppo non ha potuto ristampare ed è un vero peccato). Un grazie comunque da parte mia a tutti quelli che non dimenticano. Come ha scritto Luis Sepulveda: “L’oblio è sempre una colpa, perché la mancanza di memoria permette all’orrore di perpetuarsi”.

Roberto Gargamelli

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