Dopo oltre tre mesi di permanenza, il 30 settembre scorso, un folto dispiegamento di forze dell’ordine ha violentemente sgomberato il Presidio No Border di Ventimiglia distruggendo tende, cibo e tutto il materiale necessario per la costruzione del Presidio, oltre a trattenere e denunciare molti dei presenti che si opponevano alla brutalità di Stato.
Era il giugno del 2015 quando alcuni migranti, nel tentativo di oltrepassare i confini italo-francesi, vennero bloccati dalle autorità transalpine e respinti indietro, tutto con l’aiuto delle forze dell’ordine italiane. Da allora decine di solidali non hanno fatto mancare il loro sostegno a quelle persone che per giorni sono rimaste accampate sugli scogli per poi trasferirsi, nel giro di qualche giorno, nel Presidio allestito nella pineta dei “Balzi Rossi” dove vennero costruite docce, cucine, bagni e posti dove dormire. In quel Presidio potevano trovare rifugio le tante persone in transito verso il Nord Europa le quali, oltre a praticare la quotidiana resistenza e lotta all’idea della frontiera di Stato, hanno messo alla luce tutte le contraddizioni insite nella struttura politica e normativa della Fortezza Europa.
A volere lo sgombero è stato innanzitutto il sindaco-sceriffo PD Enrico Ioculano il quale si è da subito opposto al Presidio, tanto da affermare che quelle persone offendevano la città. Ma non era il solo: infatti, Ioculano, poteva contare sul pieno sostegno del governatore della Liguria Giovanni Toti di Forza Italia e, come dubitarne, di tutto il fascioleghismo della Lega Nord di Matteo Salvini.
Ad ogni modo, oltre tutte le parole di solidarietà già largamente espresse da più fronti antagonisti, bisogna ragionare sul come e perché lo sgombero si pone in linea con tutta la politica xenofoba e razzista che i governi europei stanno portando avanti e che, in sostanza, lancia a tutti i migranti e solidali un messaggio chiaro e forte il quale afferma che su queste terre non c’è spazio per le loro vite. Qui non si tratta di non permettere a queste persone di presidiare e chiedere l’apertura delle frontiere, qui si sta mandando loro un messaggio tanto conciso quanto brutale che dice “NON DOVETE ESISTERE!”. O almeno non in questi modi. Infatti l’Europa, oltre a imporre le frontiere e i modi per superarli, vuole tenere tra le mani il monopolio della permanenza sui territori di sua proprietà e i termini e le condizioni dell’accoglienza. Difatti, le esperienze e le dinamiche che si stavano costruendo e portando avanti con il Presidio No Border di Ventimiglia, erano basate sull’autodeterminazione plenaria e unanimistica dei bisogni e delle esigenze e, di conseguenza, anche i modi e i tempi della costruzione di una rete aperta, plurale e fortemente critica. Tutto questo, com’è facile immaginare, va contro qualsiasi logica statale e accentratrice della gestione dell’accoglienza la quale, come su queste pagine già espresso, si basa su criteri innanzitutto discriminatori, ma anche profondamente commerciali. Il business e il giro di guadagni largamente diffusi, tutti a vantaggio delle casse di migliaia di cooperative e associazioni più o meno filo-istituzionali che negli ultimi mesi hanno visto una crescita esponenziale, senza dimenticare inoltre i grandi affari dei proprietari di hotel, campeggi e residence in via di fallimento prima dei flussi migratori, verrebbero minati con la diffusione di pratiche come quelle del Presidio No Border di Ventimiglia in quanto basate sull’autorganizzazione e sull’autogestione delle istanze. Infatti, lontani dalle logiche paternalistiche e assistenzialistiche dell’accoglienza statale, a Ventimiglia si è concretizzata l’applicazione dei diritti umani oltre la disumana distinzione, imposta dai governi, gli Stati e i trattati tra questi ratificati, per cui esisterebbero profughi e migranti economici e secondo cui l’accoglienza può essere rivolta solo in favore dei primi a discapito di migliaia di altre persone in cerca di uno spazio da abitare. Questa rete di soldiarietà e autorganizzazione, inoltre, non permette il proliferare dell’idea di uno “sdebitamento” morale del migrante nei confronti della società che lo ospiterebbe che passa soprattutto attraverso gli accordi tra Enti Locali, Prefetture e cooperative sociali per far svolgere quello che questi soggetti definiscono “lavoro socialmente utile” a costo zero e in favore della collettività, ma che sarebbe meglio definirlo sfruttamento (prima psicologico che fisico).
Insomma, quello che è apparso come uno sgombero materiale del Presidio No Border di Ventimiglia, in realtà, è anch’esso politica migratoria statale ed europea che si basa su criteri fortemente economistici e aziendalisti dell’accoglienza e dello sfruttamento di questa. La pratica dell’accoglienza indiscriminata e aprioristica a vantaggio di tutti indistintamente, quella stessa accoglienza per cui la persona si spende per sé stessa e per la collettività di cui fa parte e con cui condivide gli stessi bisogni, è una pratica importante e fondamentale per far fronte ai grandi e loschi affari dell’accoglienza clientelare.
È necessario quindi costruire una rete antirazzista diffusa sul territorio nazionale, ma che sappia rapportarsi con le altre reti europee, che vada a proporre un metodo dell’accoglienza alternativo a quello istituzionale e che si sappia imporre attraverso la pratica quotidiana e territoriale dell’accoglienza autogestionaria e volontaristica. Per questo lancio l’appello dicendo che si potrebbe iniziare a discutere di ciò il 24 ottobre al CSOA May Day di La Spezia all’incontro con varie realtà antagoniste tra cui No Borders Ventimiglia, Coordinamento Lavoro Bracciantile Saluzzese, Acad - Associazione Contro gli Abusi in Divisa, Collettivo Askavusa Lampedusa, Associazione Marsia onlus e Morti Di CIE - Storie di Ordinaria Detenzione Amministrativa.
Nicholas Tomeo