L’USI si mobilita a Modena contro la repressione
C’era un sogno che i compagni a Modena stavano concretamente realizzando. Un sogno dal nome evocativo: spazio sociale “Libera”. Una “libera associazione” che nasceva da una occupazione di una struttura in campagna dismessa e abbandonata a Marzaglia, dove i compagni di “Libera” stavano realizzando un luminoso progetto, uno squarcio di società futura, dove si coltivava l’uguaglianza, la fratellanza, la socialità, la solidarietà verso i più deboli, l’autoproduzione, l’autogestione. Tutte condizioni insopportabili per la mediocrità di chi gestisce il potere e persegue come fine le condizioni di privilegio del potere stesso.
Il potere istituzionale locale si è scagliato con tutte le sua forza e cattiveria per soffocare “Libera”. Ha ideato il progetto di un autodromo di grave impatto sociale e devastazione ambientale che doveva attraversare nel suo percorso “Libera”, da utilizzare come una clava per dare maggiore legittimità al fine di sbarrare la strada a quella importante esperienza del nuovo che avanzava e che stava conquistando l’interesse e l’apprezzamento dei cittadini modenesi e d’intorno. Otto anni è durata la vita di “Libera”, di cui cinque passati sono minaccia di sgombero. C’è stata una forte azione di contrasto da parte di “Libera” e dei comitati cittadini contro la costruzione dell’autodromo, voluta fortemente dal PD, un’opera assurda, priva di qualsiasi utilità, devastante dell’ambiente e utile solo agli interessi speculativi sul territorio.
Le forze poliziesche, alle quale è stato dato mandato per lo sgombero, hanno compiuto brutalmente, come è loro costume, l’azione repressiva con l’assalto alle mura di “Libera”.
La resistenza che hanno trovato da parte dei compagni che difendevano un “bene comune” è stata tenace, armati delle proprie mani che si opponevano alla forza brutale dei manganelli.
Ma non è bastato al potere l’esecuzione dello sgombero. Si è vendicare criminalizzando una azione di legittima difesa per cui oggi, a 7 anni di distanza, 4 nostri compagni sono stati messi sul banco degli imputati e rischiano pesanti pene dalla “ragion di stato”, cioè dalla repressione e restaurazione.
Ma chi processerà i menzogneri personaggi dell’istituzione amministrative che hanno costruito l’intrigo dell’autodromo causando devastazioni ambientali e mettendo in atto azioni speculative.
Ma quando i semi vengono coltivati profondamente i frutti non si disperdono. E dai semi di “Libera” sono nate altre cose belle e utili, tra i quali la “Libera Officina” e la crescente Unione Sindacale Italiana che ha messo forti radici, presente e attiva, che dopo un corteo di protesta organizzato sabato 14, ha proclamato il 19 novembre, giornata del processo contro i compagni di “Libera”, lo sciopero alla Fiat CNA, alla Maserati, alla Ferrari e la mobilitazione degli studenti, manifestando contro.
Il potere e le istituzioni nella loro azione repressiva con l’uso delle condanne verso i nostri compagni della “resistenza” tengano in mente che più si calpesta la pianta della libertà, dell’autorganizzazione, dell’autogestione, più crescono i fiori più belli e profumati.
Enrico Moroni
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Licenziati dopo otto mesi di lavoro
Sono l’effetto dello Jobs act
Si tratta dei primi licenziamenti di quella “bufala” renziana dei cosiddetti contratti a “tutele crescenti”. La cartiera Pigna Envelopes di Tolmezzo, in provincia di Udine, aveva assunto a marzo 4 lavoratori con il contratto a tempo indeterminato introdotto dallo Jobs act e, dopo solo otto mesi, l’azienda ne ha licenziati 3 lamentando un “calo di lavoro”. Uno dei tre licenziati, per farsi assumere in Pigna, aveva lasciato un altro impiego ed ora si trova disoccupato con una moglie e due figli a carico.
L’azienda, dopo aver goduto dei benefici della legge di “stabilità” 2015, che esonera il datore di lavoro dal pagamento dei contributi per 3 anni, adesso beneficia della sua facilità di licenziamento, per cui mandar via chi è a tempo indeterminato è diventato conveniente. L’azienda avrebbe avuto difficoltà a licenziare apprendisti che sono maggiormente tutelati e lavoratori a termine ai quali avrebbe dovuto pagare le restanti mensilità. Ha avuto gioco facile a licenziare gli assunti a tempo indeterminato con lo Jobs act, perché non hanno le tutele dell’art. 18 che prevede la reintegrazione al posto di lavoro. Invece, potranno ricevere solo un indennizzo commisurato al periodo di permanenza in azienda, quindi una miseria.
“Sono contratti ‘precari’ si sfoga un lavoratore delle RSU – E l’indeterminato potrebbe finire domani”.
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Quale “evoluzione” per il servizio sanitario regionale lombardo?
Abbiamo in lombardia una nuova legge che riguarda l’organizzazione della sanità (legge regionale 11 agosto 2015 n. 23): non è una riforma, ma, come dice il titolo “un’evoluzione”, nel senso che è basata sui vecchi principi generali, ma si adatta o dovrebbe adattarsi alla situazione di oggi, mutata rispetto agli anni precedenti (la vecchia legge era del 2009). Ma – si chiedono i cittadini – che cosa cambia? – quali vantaggi ci saranno? Forse ci sarà una eliminazione - o almeno una riduzione - dei ticket? O forse si ridurranno le liste di attesa per ricoveri, visite ed esami? O addirittura le cure dentarie saranno pubbliche e a carico del servizio sanitario? E le cure e l’assistenza agli anziani malati cronici non autosufficienti e ai disabili gravi non costeranno più ne’ agli assistiti, ne’ ai loro familiari? Questo è quello di cui ci sarebbe bisogno!
Ma la nuova legge non prevede nulla di tutto ciò. Le sue molte pagine (24 quelle della Gazzetta Ufficiale che raddoppiano se scritte in carattere normale) non portano ad alcun sostanziale miglioramento. Aumentano però le difficoltà di comprensione, con il mutamento delle sigle e dei nomi, con una diversa modalità di ripartizione territoriale. Servizi che vengono spostati o che rischiano di chiudere; molti operatori sanitari vivono nell’incertezza di essere spostati, di cambiare compiti e mansioni. C’è molta confusione E se si riducono le aziende sanitarie (4 per tutta Milano), e se si accorpano gli ospedali (facendo di San Carlo e San Paolo una cosa sola!), non si riducono però le direzioni, anzi complessivamente aumenteranno i posti dirigenziali. Inoltre tutto questo avviene in un momento in cui il governo ha tagliato le risorse per la sanità da 115 miliardi previsti a 111 (per favorire la riduzione delle imposte soprattutto per i ricchi) e ha stabilito una ulteriore riduzione del personale della sanità.
Tutto si risolverà allora in un peggioramento delle condizioni di lavoro per gli operatori e in una riduzione concreta dell’assistenza per i cittadini utenti; non solo ma ai medici viene imposto di non prescrivere determinati farmaci e presidi sanitari, portandoli a decidere uno sciopero nazionale stabilito per il prossimo 16 dicembre.
Da tutto ciò emerge con chiarezza che si vuole smantellare il servizio sanitario pubblico per andare verso un nuovo sistema privato, a pagamento, fondato sulle assicurazioni integrative.
Il servizio sanitario invece va difeso: servirebbe - e lo auspichiamo - uno sciopero generale nazionale per il diritto alla salute, per un sistema sanitario pubblico universale e gratuito (che già abbondantemente paghiamo con le tasse), diretto da parte dei cittadini organizzati. Perciò occorre unire tutte le forze a cominciare da quelle che aderiscono alla Rete per il Diritto alla Salute di Milano e Lombardia per non perdere i diritti acquisiti e combattere contro il clientelismo e la corruzione.
Per cominciare a preparare le iniziative necessarie vi invitiamo a un incontro giovedì 3 dicembre alle ore 21 presso la saletta sindacale dell’ospedale San Carlo, via Pio II, 3, a Milano.
Coordinamento lavoratori e utenti della sanità
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Processo Pirelli bis per amianto negli stabilimenti milanesi
Il 25 gennaio 2016 la sentenza
Con l’udienza di oggi si sono concluse le arringhe dei difensori dei 10 manager imputati accusati di omicidio plurimo colposo per la morte di 24 lavoratori degli stabilimenti milanesi della Pirelli di Viale Sarca, via Ripamonti e via Caviglia. Ancora una volta gli avvocati degli imputati, pur riconoscendo la presenza dell’amianto, hanno minimizzato i rischi a cui erano esposti i lavoratori, affermando che il rischio era “modesto”, che il “talco usato in Pirelli era puro ed esente d’amianto”, che le amine aromatiche usate in Pirelli non erano cancerogene, e hanno chiesto per i loro assistiti l’assoluzione con formula piena.
All’inizio dell’udienza il giudice Anna Maria Gatto presidente della V Sezione Penale del Tribunale di Milano ha sciolto la riserva sulla perizia psichiatrica depositata nella predente udienza dal difensore di Guido Veronesi, che aveva chiesto l’uscita dal processo per il suo assistito “non in grado di intendere e volere”. Il giudice ha disposto la sospensione dal processo dell’imputato Veronesi per “deficit cognitivo”, disponendo una perizia del tribunale, stralciando la sua posizione e rinviando la decisione al 16 maggio 2016 (in caso di respingimento sarà giudicato da un altro giudice). In ogni caso non ci sarà un allungamento dei tempi processuali.
La dott.ssa Gatto ha comunicato di volere concludere il processo per gli altri 9 imputati, fissando per il 25 gennaio 2016 - dopo le brevi repliche del P.M. Maurizio Ascione (che ha chiesto per 7 dei 10 imputati pene dai 4 anni e sei mesi fino ai 9 anni) e dei legali delle parti civili - la Camera di Consiglio per pronunciare la sentenza. La Pirelli e i manager imputati arrivano alla fine del processo dopo aver risarcito quasi tutte le parti offese e le parti civili istituzionali, monetizzato la morte e la salute; solo due vittime non hanno accettato una transazione economica.
Il nostro Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, parte civile nel processo insieme a Medicina Democratica, Associazione Italiana Esposti Amianto e alla Camera del Lavoro di Milano, considera vergognoso che questi signori - già condannati in contumacia nel primo processo - non si siano mai presentati in aula e non abbiano mai avuto una espressione di cordoglio chiedendo scusa alle vittime e alle loro famiglie. Lo stesso vale per i loro avvocati difensori che, con cinismo, hanno trattato le vittime come numeri, come cose e non come esseri umani.
La salute e la vita umana sono il bene più prezioso. I responsabili di questi crimini vanno perseguiti e condannati, affinché serva da monito a tutti coloro che non rispettano la sicurezza sui posti di lavoro e nel territorio, lucrando sulla pelle dei lavoratori e cittadini anteponendo il profitto.
Il giorno della sentenza il nostro Comitato sarà presente in tribunale. La lotta continua.
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
a cura di Enrico Moroni