Coloro i quali hanno avuto l’occasione di frequentare l’ambiente antispecista, di contribuire alle sue trasformazioni, di esserne, a seconda dell’impegno, parte integrante, non possono non aver constatato quanto fragile, precario, isterico sia l’equilibrio al suo interno. Sono oramai famose le divisioni determinate dal dibattito tra antispecismo debole1 e antispecismo politico2, dibattito che ha ben presto abbandonato i terreni del confronto teorico per sfociare in quelli ben più degradanti di biechi attacchi personali e di fazioni costituitesi attorno alle personalità più in vista.
I frutti di quelle schermaglie sono ancora oggi evidenti e si manifestano nel sostanziale immobilismo di un movimento che ad intervalli regolari tende a perder tempo dietro nemici mediatici e a combatterli tramite quelle potentissime armi che sono oramai le tastiere dei computer3. Oltre questo poco altro.
Consideriamo, ad esempio, l’affaire Innocenzi e il suo programma Animali come noi. Si potrebbero individuare decine di eventi mediatici simili, non ultimo quello che ha visto un Berlusconi nel pieno di una svolta neo-francescana allattare degli agnellini “salvati” dalla mattanza di Pasqua4, ma uno vale l’altro perciò analizzeremo brevemente gli effetti del primo programma televisivo in Italia interamente dedicato alla realtà degli allevamenti intensivi.
È avvenuta, come spesso accade, una polarizzazione delle opinioni a riguardo: da una parte c’è chi si ritiene soddisfatto che finalmente le investigazioni all’interno degli allevamenti intensivi abbraccino un pubblico più ampio, poco importa che attorno a quelle immagini si crei un contesto che depotenzia notevolmente i discorsi sulla liberazione animale; dall’altra c’è chi demonizza senza mezzi termini le indagini in questione e il modo in cui vengono presentate, arrivando addirittura a ipotizzare, come diretto effetto dell’aberrante programma della Innocenzi, l’adozione su larga scala dell’allevamento estensivo come “pacificatore delle coscienze” di quei consumatori comunque intenzionati a mangiar carne purchè provenga da animali detenuti e ammazzati “umanamente”, e questo nonostante il modello estensivo sia evidentemente impraticabile e in totale contraddizione con i meccanismi interni al capitalismo che mirano costantemente all’abbattimento dei costi di produzione (la radicalità di un movimento sta anche nella sua capacità di leggere lucidamente la realtà evitando di inciampare in falsi problemi). Eppure nessuno di questi due “schieramenti” è riuscito a cogliere quanto il programma in questione e il clima creatosi attorno siano sintomatici del coma vegetativo in cui versa un movimento estremamente frammentato e inefficace come quello antispecista. Ciò che si è evidenziato è semplicemente che, da una lato, si è data carta bianca alla giornalista delegandola, simbolicamente, a portavoce dei diritti animali, dall’altra la si è attaccata e denigrata tramite i social network.
Nessuno ha provato a riflettere sui motivi per cui, nonostante anni ed energie spesi in campagne di sensibilizzazione, manifestazioni, presidi, cene(!), conferenze, festival, pubblicazioni e quant’altro, una giornalista giovane e senza troppa esperienza alle spalle sia riuscita a mostrare più cose di quante ne abbiano mai mostrate tutti quegli attivisti che in Italia, da anni, versano sudore e lacrime per la liberazione animale. Certamente nessuno di questi attivisti ha mai avuto la possibilità di creare un programma televisivo attraverso cui portare l’argomento al grande pubblico; la televisione è evidentemente un mezzo estremamente efficace se usato in maniera adeguata. La verità, però, è che l’antispecismo è al momento debolissimo e la causa principale, oltre alla difficoltà e alla lontananza degli obbiettivi che si propone, è proprio questa interminabile lotta intestina. In ogni gruppo umano esistono divergenze, in special modo in quei gruppi determinati a proiettare sul reale la propria visione di un mondo differente, ma nell’antispecismo tutto questo assume tratti molto violenti e deleteri. Se il dibattito è solitamente fecondo, nell’antispecismo assume segno opposto. Quale sia la causa di tanta acredine è difficile a dirsi.
Il Freud di Il disagio della civiltà spiegherebbe tale conflittualità affermando che si tratta di una questione di economia delle pulsioni: come i comunisti, puntando all’abolizione della proprietà privata, ignoravano che essa fosse, in realtà, un mezzo per sfogare le pulsioni violente connaturate all’Umano e che la sua abolizione avrebbe liberato altri mezzi, se possibile più cruenti5, allo stesso modo gli antispecisti, avendo eliminato, tramite l’adozione del veganismo e di un nuovo impianto etico, la violenza indiretta inferta agli animali tramite il consumo di prodotti derivati da essi, hanno inconsciamente permesso a quelle pulsioni aggressive di rivolgersi verso gli umani. In sostanza, le pulsioni violente non evaporano come neve al sole e devono pur andare a finire da qualche parte nel momento in cui le si sposta.
Oppure, se non si vuole dar credito a una simile spiegazione e si ha una concezione più positiva dell’Umano, una concezione più moderna e avvalorata dai dati fornitici dalla letteratura antropologica dell’ultimo secolo, si potrebbe azzardare affermando, assieme a Caffo, che “l’animalista medio è un coglione”6 e che quindi è naturale che a intervalli regolari spuntino conflitti che reindirizzano le battaglie per la liberazione animale verso questioni di ego personale o di “purezza”.
Quale che sia il motivo per cui l’antispecismo si colloca così indietro rispetto alle finalità che propone non si può certo non dare ragione a Maurizi quando afferma che ciò che ci troviamo di fronte quando consideriamo l’attivismo animalista e\o antispecista contemporaneo è un identitarismo7 che, oltre a strizzare l’occhio al sostrato ideologico notoriamente appartenente ai movimenti di destra, molto spesso si rivolge verso l’interno e genera guerre civili al ritmo della creazione di nuove correnti finalmente epurate dai “traditori della questione animale”.
Tutto ciò è grottesco per non dire tragico.
In un momento storico in cui il ritmo di estinzioni delle specie animali e vegetali ha raggiunto livelli senza precedenti a causa dell’attività predatoria portata avanti dall’Umano e dall’organizzazione socio-economica che si è dato e da cui è costantemente ingerito8; in un momento in cui le proiezioni scientifiche sul futuro assetto climatico del pianeta si fanno sempre più pessimistiche9; in un momento in cui i cosiddetti paesi in via di sviluppo cominciano a desiderare i distruttivi standard di vita occidentali tra i quali vi è una maggior richiesta di consumo di carne10; in un momento in cui la ricchezza si centralizza ulteriormente a ritmi spaventosi lasciando alla stragrande maggioranza della popolazione soltanto le briciole11; in un momento così drammatico l’antispecismo, quell’impostazione filosofica e politica in grado di abbracciare tutte le istanze di liberazione (ecologismo, anticapitalismo, antistatalismo, antisessismo, antirazzismo, ecc…) e di raccordarle attorno al più radicato, brutale e longevo sfruttamento fin qui esistito, lo sfruttamento animale, questo stesso antispecismo bisticcia un giorno sì e l’altro pure, attorcigliandosi sempre più in sé stesso e rendendosi incomprensibile e inavvicinabile a quelle fette di antagonismo che pare sarebbero idealmente inclini a stabilire un programma comune di lotta radicale.
Se è corretto ciò che dice la sociologa Melanie Joy quando afferma che “il più veloce ed efficace metodo per distruggere un movimento è farlo dall’interno”12 allora è necessario che l’antispecismo esca al più presto da sé stesso, che rompa il guscio di pietra che si è costruito attorno e si snaturi (senza ovviamente negare la propria impostazione etica e le istanze che porta avanti) per amalgamarsi e sciogliersi in quella trasversalità delle lotte in grado di costituire un serio argine alle derive distruttive del capitalismo e la cui potenza può notevolmente accrescersi grazie al contributo di un antispecismo finalmente maturo.
La salvezza dell’antispecismo è, più semplicemente, in quel processo di liberazione totale di cui tratta appassionatamente Steven Best13. Se esso non si intersecherà praticamente alle altre lotte non comprenderà mai le dinamiche comuni alla base dei differenti (ma non troppo) sistemi di sfruttamento e a nulla saranno serviti i pur utili studi e testi pubblicati a riguardo. Un lavoro teorico non in grado di trovare validità nella pratica o non concepito per essere tradotto lontano dalle pagine dei libri, pure se portato avanti con dedizione e cognizione di causa, pure se arricchito di fonti autorevoli e nobili intenti, è destinato a evaporare.
Danilo Gatto
Botte da orbi
1 Per chiarimenti riguardo al concetto di antispecismo debole rimando alla vasta rassegna di testi consultabili all’indirizzo https://leonardocaffo.org/antispecismo-debole/
2 Un esempio di antispecismo politico è contenuto in Marco Maurizi, Al di là della natura. Gli animali, il capitale e la libertà, Novalogos, Aprilia, 2011, ma anche in Steven Best, Liberazione totale, Ortica editrice, Aprilia, 2017.
3 Un esempio emblematico è lo scandalo che ciclicamente generano le sparate di quello scienziato della provocazione di Giuseppe Cruciani, conduttore del programma radiofonico La Zanzara.
4 http://video.corriere.it/scelta-animalista-berlusconi-salvati-cinque-agnelli/e4630658-1c95-11e7-a92d-71d01d371297
5 Cfr. Sigmund Freud, L’avvenire di un’illusione\Il disagio della civiltà, Newton Compton Editori, Roma, 2011, p.147. In particolare il passo che recita: “Io non ho niente a che vedere con la critica economica del sistema comunista, non posso stare a esaminare se l’abolizione della proprietà privata sia un bene e porti vantaggi. Ma sono in grado di riconoscere che la sua premessa psicologica è un’illusione priva di fondamento. Con l’abolizione della proprietà privata si sottrae alla voglia di aggressione dell’uomo uno dei suoi strumenti, certamente uno strumento forte, ma altrettanto certamente non il più forte. Con ciò però niente è cambiato quanto alle differenze di potere e influsso di cui l’aggressività abusa per i suoi scopi, né quanto all’essenza di questa. Essa non è stata creata dalla proprietà: dominava quasi senza limiti nei tempi primordiali, quando la proprietà era ancora una povera cosa, e si manifesta già nella stanza dei bambini, quando la proprietà ha appena abbandonato la sua forma anale originaria e costituisce il sostrato di tutti i rapporti teneri e amorosi tra gli esseri umani, forse con l’unica eccezione di quello tra la madre e il figlio maschio.”
6 Cfr. https://gallinaeinfabula.com/2015/01/20/intervista-a-leonardo-caffo-su-re-nudo/
7 Cfr. Marco Maurizi, Animalismo o Antispecismo?, Liberazioni – Rivista di critica antispecista, n.22, autunno 2015.
8 Gli studi più ottimistici evidenziano come il ritmo di estinzione delle specie animali e vegetali sia di circa 114 volte superiore alla media del passato. Tra questi c’è quello portato avanti da una serie di ricercatori di varie università guidati da Gerardo Ceballos e apparso su Science Advances al seguente link: http://advances.sciencemag.org/content/1/5/e1400253.full. Quelli maggiormente pessimistici, invece, affermano come la situazione sia ben più grave: il ritmo di estinzione delle specie arriverebbe ad essere addirittura 10.000 volte superiore di quello naturale. Per un approfondimento di questi ultimi dati Cfr. Franz J. Broswimmer, Ecocidio, Carocci Editore, Milano, 2005.
9 Cfr. Agenzia Europea dell’Ambiente, Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2016, in cui si osserva come continuino a registrarsi nuovi record relativamente alle temperature globali ed europee, all’incremento del livello del mare e alla riduzione della banchisa nell’Artico, come il carattere delle precipitazioni stia cambiando, generalmente rendendo le regioni umide in Europa ancora più umide e quelle secche ancora più secche e il volume dei ghiacciai e del manto nevoso siano in diminuzione e come gli eventi climatici estremi, quali ondate di calore, forti precipitazioni e siccità, stiano aumentando in frequenza e intensità in molte regioni. In sostanza, il recente rapporto evidenzia come gli eventi estremi legati al cambiamento climatico aumenteranno necessariamente in molte regioni europee. Il testo del rapporto è consultabile su http://www.eea.europa.eu/publications/climate-change-impacts-and-vulnerability-2016
10 Cfr. FAO, World Livestock 2011: Livestock in food security, che mostra come la crescita della popolazione e del reddito mondiale alimentino un trend di progressivo aumento del consumo pro-capite di proteine animali nei paesi in via di sviluppo. Il rapporto stima che il consumo di carne crescerà di circa il 73% entro il 2050, mentre il consumo di prodotti caseari salirà del 58% rispetto ai livelli odierni. http://www.fao.org/docrep/014/i2373e/i2373e.pdf
11 Famoso è il recente rapporto Oxfam che dimostra chiaramente come 8 persone posseggano la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale. https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2017/01/Rapporto-Uneconomia-per-il-99-percento_gennaio-2017.pdf
12 Cfr. Melanie Joy, Strategic Action for Animals, New York, Lantern Book, 2008, p.21.
13 Cfr. Steven Best, Liberazione totale, Ortica editrice, Aprilia, 2017