Biennio rosso e stragi di stato

Modena, 7 aprile 1920 Stragi di Stato nel Biennio Rosso

Spazio Sociale Libera Biblioteca Unidea e Usi Sezione Modena, 2020

Nel marzo del 2019 è stato edito da Spazio Sociale Libera Biblioteca Unidea e Usi Sezione Modena il libro (335 pagine) Modena, 7 aprile 1920 Stragi di Stato nel Biennio Rosso. L’iniziale idea fu quella di ricordare una delle tante stragi di stato del biennio rosso, quella di Modena avvenuta il 7 Aprile in Piazza Grande. Nel corso delle prime ricerche mi accorsi che l’episodio di Modena era uno solo dei tanti che segnarono il Biennio Rosso, quindi decisi di estendere la ricerca a tutto il territorio italiano.

Con stupore dovetti constatare della mancanza di una significativa bibliografia sull’argomento. In sintesi vi è solo un lavoro, quello di Fabio Fabbri “Le Origini della Guerra Civile. L’Italia dalla Grande Guerra al Fascismo 1918-1921” (Utet 2009) che ricostruisce attraverso fonti d’archivio le stragi del periodo, includendo non solo quelle perpetrate dalle forze dell’ordine ma elencando anche le vittime derivate dagli scontri tra opposte fazioni politiche. Prese corpo quindi l’idea di dare vita ad un lavoro nel quale si circoscriveva nel Biennio Rosso solo le stragi dal parte delle forze dell’ordine.

Constatata la mancanza sostanziale di una bibliografia di supporto (al lavoro di Fabbri si aggiungono solo due lavori di minor spessore, Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e Tecniche dell’Italia Fascista 1919-1922 [Mondadori 2003] e Elio Giovannini, L’ Italia Massimalista. Socialismo e Lotta Sociale e Politica del Primo Dopoguerra Italiano [Ediessse 2001]) la ricostruzione degli eventi è stata eseguita nello sfoglio, dal novembre del 1918 al marzo del 1921, dei tre quotidiani a livello nazionale, Il Corriere Della Sera, L’Avanti! ed Umanità Nova, oltre che i tre quotidiani di riferimento del territorio modenese La Gazzetta dell’Emilia, La Bandiera Operaia, Il Popolo.

La ricerca ha portato alla ricostruzione sul territorio nazionale di 213 eccidi per un numero complessivo di 454 vittime. Per dare ulteriore risalto alla ricerca, di là dell’elencazione puntuale dei singoli episodi raccolte in un tabella, ho inteso dedicare agli eventi più significativi uno spazio dedicato riportando integralmente il commento dei tre quotidiani nazionali al fine di poter offrire al lettore la loro diversa interpretazione.

Va chiarito che il numero delle vittime (454) è un dato assolutamente prudenziale. A fronte di discordanti fonti da parte dei quotidiani ho preferito indicare il numero di vittime inferiore. Il lavoro fa emergere un volto del Biennio Rosso con aspetti nuovi o meglio poco narrati o del tutto ignorati nella visione che gli storici hanno, dalla liberazione ad oggi, dato del periodo. Uno su tutti le rivolte spontanee dei contadini. La terra fu, a mio avviso, protagonista più che la fabbrica. Lo spontaneismo dei braccianti era alimentato dalla fame e dalla disoccupazione. I protagonisti delle rivolte erano in buona parte non organicamente aderenti a partiti o movimenti politici. Da qui un’immagine del biennio rosso di là e fuori di quello che tradizionalmente viene raccontato come frutto del protagonismo delle organizzazioni politiche o sindacali, da quelle socialiste, repubblicane, cattoliche sino agli anarchici. Emerge in altre parole più una storia del sociale che del politico.

Altro aspetto, a mio parere, fondamentale per comprendere il “clima” sociale e politico del tempo fu l’anticlericalismo associato all’antimilitarismo. Diverse stragi si innescarono per la contestazione spontanea, da parte di socialisti ed anarchici, delle commemorazioni patriottiche, spesso organizzate dal partito popolare od organizzazioni cattoliche. In tali episodi emerge un altro aspetto, quello di un viscerale anticlericalismo. Mi sono meravigliato di questo lato sconosciuto poco raccontato, di un atteggiamento anticattolico diffuso e spesso violento.

Lo sfoglio dell’Avanti! e di Umanità Nova, mi ha consentito di prendere visione delle vignette quotidianamente rappresentate dai due quotidiani ed il loro contenuto mediatico dove i due elementi, religione ad militarismo, spesso si associavano e costituivano un unico messaggio. Croce e tricolore costituivano lo specchio di tutto ciò che socialisti ed anarchici individuano come il binomio colpevole della tragica situazione sociale originata dalla guerra. Significativo che l’anticlericalismo e l’antimilitarismo del Biennio Rosso venne poi “dimenticato”, a partire dal 1945 in poi, da parte del PCI e del PSI, come da gran parte degli storici. La ragione non può che essere nel recupero del mondo cattolico sia nel periodo resistenziale sia soprattutto nella strategia del PCI ai tempi del compromesso storico.

La domanda fondamentale che il libro pone è quella di una storia dimenticata, non narrata. Se il Biennio Rosso fu parte organica dell’avvento del fascismo, come è possibile che a fronte di una sterminata letteratura sull’antifascismo furono cancellate, di fatto, le stragi perpetrate da parte dello Stato? Una delle possibili risposte, a mio parere, la si può individuare nel monopolio che il PCI ha avuto nel racconto resistenziale.

Le scelte politiche del PCI, nel segno della stretta osservanza di quanto Mosca aveva stabilito, in accordo con gli USA, nella spartizione del mercato mondiale e nelle reciproche zone di influenza, ha contribuito alla narrazione di una resistenza tutta tesa alla costruzione di una democrazia parlamentare. Di una resistenza che, secondo la narrazione del partito comunista, ha preso corpo a partire dell’8 settembre del 1943. In sintesi l’antifascismo come anticamera della democrazia parlamentare. In tale prospettiva non si poteva includere all’origine dell’antifascismo le rivolte contadine ed operaie del Biennio Rosso, né tantomeno poteva e doveva ricomprendere il ruolo dello Stato e dei suoi apparati repressivi.

La partecipazione del PCI ad un sistema democratico parlamentare fu decisa a Mosca e, in base a tale decisione, non era opportuno mettere in risalto l’azione dello Stato nella repressione del Biennio Rosso. Era invece opportuno costruire una storiografia tutta tesa ad addossare al fascismo la violenza nei confronti di contadini ed operai e delle loro organizzazioni.

La scelta strategica moscovita, di cui il PCI ne fu fedele interprete ed esecutore, ha inoltre indirizzato la narrazione resistenziale italiana nel recupero di tutte le strutture dello Stato sia prefascista sia del ventennio, dalla magistratura, ai prefetti, agli apparati di sicurezza. Anzi nei confronti dell’arma dei carabinieri fu celebrata con enfasi la sua partecipazione alla resistenza ed il relativo tributo di caduti nella lotta di liberazione. La svolta di Salerno non fu solo la pacificazione “nazionale” ma il voler cancellare dalla storia il fatto che fu lo Stato liberale passare la “mano” al fascismo. Nel libro è riportato che “(…) Lo Stato e le sue classi dirigenti passarono la mano allo squadrismo, un passaggio di consegne per un ‘fine lavori’ che il fascismo utilizzò al meglio, non solo nel suo ruolo di mazziere, ma per raccogliere politicamente l’eredità di uno stato liberale che ormai aveva concluso la sua funzione storica (…”).

Il lavoro pone anche un’altra domanda, di carattere più generale, cioè quella di una ricerca sulle vicende dimenticate. Mi sono meravigliato, in quanto non ne ero a conoscenza, di quanto furono numerosi gli episodi di luttuosa repressione. Mi è sorta spontanea una domanda: perché da parte dei nostri compagni, sia degli storici di professione sia da parte dei semplici appassionati delle vicende storiche, non è stata avvertita la necessità di far emergere questa strage degli “sconosciuti”. Mi pare, e qui pongo la domanda ai lettori, che anche da parte del movimento anarchico nel suo complesso si sia indotti a raccontare più la storia “nostra” che quella degli “sconosciuti”, a raccontare più la storia del nostro movimento, politico o sindacale, più che quella di ignoti contadini massacrati dal regio corpo dei carabinieri. Questa è una domanda che mi piacerebbe potesse innescare un dibattito tra di noi, dibattito che nonostante alcune mie sollecitazioni ai compagni ad oggi non ha trovato accoglimento.

Daniele Ratti

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