La violenza dell’occupazione militare si scatena contro i movimenti di resistenza.
Lo scorso 6 settembre l’esercito israeliano ha ucciso l’attivista turco-americana Ayşenur Eygi mentre partecipava a una manifestazione pacifica a Baita, vicino Nablus.
Fin da subito l’agenzia di stampa palestinese Wafa riportava che l’attivista, cittadina statunitense, «partecipava al progetto Faz3a, che lavora per sostenere e proteggere gli agricoltori palestinesi dalle violazioni dei militari e dei coloni israeliani». Ayşenur Eygi si era da poco laureata all’Università di Washington, dove aveva partecipato alle proteste studentesche in solidarietà alla popolazione palestinese. Era arrivata in Cisgiordania nei primi giorni di settembre come attivista dell’International Solidarity Movement per partecipare alla campagna Faz3a.
L’appello di lancio della campagna Faz3a, pochi mesi fa, aveva avuto risalto anche sulle pagine di Umanità Nova, si tratta infatti di un’iniziativa di base «a guida palestinese nata per rispondere all’estrema necessità di organizzare sul terreno una forma di protezione civile internazionale dalla violenza israeliana in queste circostanze. È un’iniziativa basata e sostenuta dalla società civile palestinese in Cisgiordania proveniente da ogni spettro politico». Una campagna che cerca di dare forza alle organizzazioni di base la cui capacità di intervento rischia di essere azzerata dalla guerra imposta dallo stato di Israele. Una campagna «basata sulla consapevolezza che in questa situazione i palestinesi hanno bisogno di sostegno internazionale e protezione civile, e che la società civile internazionale abbia il dovere di agire. Faz3a non è un’organizzazione caritatevole. La nostra campagna è radicata nella consapevolezza che costruire movimenti – sia palestinesi che internazionali – sia essenziale in questa fase di devastazione»
Questa campagna è stata accolta a livello internazionale come un importante segnale per la costruzione di movimenti dal basso che pratichino la solidarietà internazionale su un piano chiaramente antimilitarista e non settario.
Per questo simili iniziative sono colpite in modo tanto violento dallo stato israeliano, perché mettono in discussione la stessa logica di apartheid, colonialismo, militarismo su cui non solo si regge l’autorità di quello stato, ma che alimenta anche la guerra che ne giustifica l’esistenza. Certo non è solo questo. L’uccisione di Ayşenur Eygi rende evidente il livello di violenza che ormai è stato raggiunto dall’esercito israeliano e dai coloni anche in Cisgiordania, e che si è innalzato dopo l’invasione su larga scala messa in atto dal governo di Tel Aviv lo scorso 29 agosto. In questo contesto chiunque si metta in mezzo, chiunque provi a bloccare la macchina militare israeliana, anche ai bordi del più piccolo villaggio o sotto il più esile olivo, è obiettivo della più sanguinosa repressione.
La manifestazione a cui Ayşenur Eygi stava partecipando era un’iniziativa pacifica, nel quadro delle proteste settimanali del venerdì che a Beita si tengono regolarmente da anni contro la presenza di un insediamento e di alcuni avamposti di coloni israeliani a ridosso del villaggio, che hanno sottratto ai residenti terra, mezzi di sostentamento, libertà di movimento, e anche molte vite.
Come ha dichiarato a Quds News Network Jonathan Pollak, storico attivista del gruppo “Anarchici contro il muro” (gruppo non più attivo da alcuni anni), Ayşenur Eygi non è che l’ultima vittima della sanguinosa repressione delle forze israeliane a Beita: «Quello che è successo oggi non è un incidente – afferma Jonathan Pollak – è la continuazione dell’uccisione di 17 residenti di Beita nel corso di manifestazioni dal 2021. È un’uccisione intenzionale, che è ora sotto l’attenzione dei media e dei giornali perché è una cittadina statunitense. È un’uccisione intenzionale che non può essere giustificata».
Jonathan Pollak spiega di aver udito distintamente due spari di munizionamento letale «Sono venti anni che prendo parte a queste manifestazioni, so riconoscere il diverso rumore dei lacrimogeni, delle pallottole ricoperte di gomma, e delle munizioni letali». Racconta che il primo proiettile dopo aver colpito un oggetto metallico ha ferito alla gamba un giovane del villaggio, mentre il secondo ha colpito alla testa Ayşenur Eygi. I soccorsi sono stati vani, trasportata in ambulanza è morta in ospedale nonostante i tentativi di rianimazione.
Di seguito si riporta il comunicato congiunto di ISM, Faz3a, e Al-Hadaf KC
«Il 6 settembre 2024, durante una manifestazione pacifica a Beita, in West Bank, le forze israeliane hanno sparato alla turco-americana Ayşenur Eygi uccidendola, una volontaria con l’International Solidarity Movement (ISM). Mentre i manifestanti pregavano, l’esercito ha risposto con gas lacrimogeni e munizioni letali, ferendo a morte Ayşenur con un colpo alla testa.
Beita ha una lunga storia di resistenza contro l’occupazione israeliana e in questo luogo è stata particolarmente dura la violenza diretta verso i residenti palestinesi da parte delle forze israeliane. Beita ha visto continue manifestazioni, in particolare contro la costruzione di nuovi avamposti israeliani sulle terre dei villaggi. Nei mesi recenti gli attivisti internazionali hanno vissuto un significativo aumento della violenza da parte delle forze israeliane e l’occupazione deve esserne ritenuta responsabile.
Ayşenur Eygi si aggiunge ai 17 manifestanti palestinesi già massacrati a Beita.
L’ISM è un’organizzazione a guida palestinese che fornisce presenza di protezione e solidarietà nella West Bank. L’ISM è nato nel 2002 e ha mantenuto una continua presenza in Palestina da allora, sostenendo la lotta popolare palestinese contro l’occupazione»
Nella tragica situazione attuale, lo sviluppo di movimenti dal basso che possano dare forza alla base sociale è tra le poche vie d’uscita che abbiamo, non solo per rovesciare l’apartheid e il colonialismo in Palestina, ma per fermare la guerra a livello globale. Certo la realtà che ci troviamo di fronte è complessa, e non c’è una sola strada da percorrere. Ma è in questa prospettiva che possiamo leggere la scelta di Ayşenur Eygi di impegnarsi al fianco della popolazione palestinese. Una scelta che ha dovuto pagare con la vita.