Un doppio senso del “buoni” virgolettato presente nel titolo può essere colto facilmente da un lettore di certe zone del sud Italia, del napoletano in particolare, dove è molto presente un’assonanza di significato, derivante dal greco antico, per cui “buono” ha anche il senso di “capace”, “efficace”, “abile a raggiungere lo scopo”. La cosa è presente anche nell’italiano in generale – si penso al classico “buono a nulla” – ma l’assonanza è meno forte e ricorrente nelle altre parti della penisola. Ora, la rappresentazione tradizionale dell’anarchico da parte dei media legati al potere politico, economico e culturale, era (ed è) stereotipata: l’anarchico ha qualche rotella fuori posto, per cui o è un pazzo furioso ed assai pericoloso per la società in generale (compresa la stessa classe sfruttata la cui causa crede di sposare) o, al contrario, è un idealista sognatore, che vive in un mondo astratto, si sente legato ad un’umanità sofferente che nei suoi contorni reali non conosce affatto e, per questo, risulta incapace di arrecare alcun vantaggio effettivo a niente ed a nessuno – “buono” dunque nel senso su ricordato di “buono a nulla”.
Ovviamente, qualcuno si avvicina all’anarchismo avendo in mente queste immagini stereotipate e le sposa in pieno, accusando paradossalmente chi sfugge al cliché di non essere un “vero anarchico”. Il potere, tra l’altro, è estremamente attento a non creare varchi in questa rete semantica della comunicazione: un esempio paradigmatico lo troviamo nelle voci enciclopediche dedicate all’anarchismo. Tranne casi rari, mentre le voci legate ad ogni altra ideologia politica, sociale, culturale, religiosa vengono affidate a chi conosce “dall’interno” tali cose, per cui la voce “marxismo” la scrive un marxista, la voce “liberismo” un liberista, ecc., le voci legate all’anarchismo vengono quasi sempre scritte da chi anarchico non è. Alla cosa siamo abituati e raramente ci facciamo caso, ma è un po’ come affidare la voce “cattolicesimo” ad un buddhista, il quale può anche essere colto nell’argomento, ma rispetto ad uno studioso cattolico ha letto sicuramente meno testi e frequentato molto meno quella religione, per cui è facile non conosca adeguatamente testi e contesti di quel pensiero.
Le cose, negli ultimi anni, vanno comunque un po’ diversamente nella cultura popolare, particolarmente in quella di oltreoceano che, però, specie quella nordamericana, è diffusa regolarmente in tutto il mondo (“ah, hai visto Mr Robot? Altrimenti veditelo, ti piacerà sicuramente, è anche in italiano” – dettomi da un amico srylankese qualche giorno fa…). A fare da apripista è stata sicuramente la fantascienza, che sembra essere stata colonizzata da scrittori di militanza anarchica o comunque con forti simpatie verso l’anarchismo: spesso e volentieri in questo genere letterario l’anarchico spesso è descritto in termini decisamente più lusinghieri, lontani dallo stereotipo usuale ed invece come un personaggio razionale, moralmente apprezzabile e spesso efficace nella sua azione politica e sociale (esempio paradigmatico è lo Shevek del famosissimo e pluripremiato I Reietti dell’Altro Pianeta di Ursula K. Le Guin). Ma di questo parleremo magari in un prossimo articolo.
Parleremo ora, invece, di un genere popolare dove la figura stereotipa dell’anarchico – particolarmente nella versione “sangue, bombe, anarchia” – ha imperato a lungo: la fumettistica d’azione, con le sue versioni animate e cinematografiche. In questo genere, anche in alcune sue versioni d’autore, l’anarchico, quando compare, è assai spesso decisamente il vilain – il supercattivo – di turno. Paradigmatico il caso di Anarky: in origine avversario di Batman, è un giovane violento e intelligente pronto a uccidere per le sue idee, probabilmente figlio di Joker. È comparso in varie storie di Batman, poi raccolte in volume, ed ha avuto anche una serie dedicata a lui che, però, non ha avuto molto successo ed è stata chiusa dopo soli otto numeri. Visto che abbiamo citato Joker, vale la pena di ricordare quanto spesso questo supercattivo citi il termine “anarchia” nelle sue storie: non a caso, lo hanno fatto padre di Anarky. D’altronde, lo stesso Batman in un universo alternativo legato alla figura di Superman, ambientato in una oltrecortina immaginaria dove sarebbe caduto da bambino ed ora divenuto l’erede di Stalin, fa la parte dell’anarchico bombarolo…[1]
L’universo di Batman e, in generale, della DC comics, non è però certo l’unico in cui compare con una certa frequenza lo stereotipo dell’anarchico come minaccia della società: la Marvel non è da meno. Infatti, anche in quest’altro universo narrativo non c’è praticamente supereroe di una certa notorietà che non abbia avuto, una volta o l’altra, a che fare con qualche supercattivo rientrante nella categoria del “sangue, bombe, anarchia”. Però, se la DC comics ha (avuto) il suo Anarky, poi, la Marvel ha risposto con il suo Anarchist[2] – e qui le cose cominciano a diventare interessanti, a fuoriuscire dagli stereotipi.
Anarchist, al secolo Tike Alicar, è un mutante (tra l’altro anche dichiarato clinicamente pazzo nella saga, per l’esattezza affetto da disturbi ossessivo-compulsivi), che assai spesso non riesce a controllare la sua rabbia e giustifica l’uso scorretto dei suoi poteri dichiarando di essere al di sopra della legge. Sembrerebbe il perfetto stereotipo del vilain anarchico, ma egli fa parte della X-Force (una squadra di mutanti dai superpoteri simile ai più noti X-Men): dunque è in qualche modo anche una sorta di supereroe – sia pure appartenente alle nuove generazioni create dalla Marvel da una ventina d’anni a questa parte, dove i confini tra vilain e supereroi si sono fatti decisamente più sfumati – e compie numerose azioni positive, oltre a numerosi delitti.
Diciamoci la verità: la sorpresa maggiore in merito nell’universo Marvel è stata la versione ultimate del Dio del Tuono, al secolo Thor Odinson. Un dio che diventa anarchico o comunque simpatizzante del movimento, restando un supereroe e mantenendo dei tratti completamente positivi, a differenza de
Un doppio senso del “buoni” virgolettato presente nel titolo può essere colto facilmente da un lettore di certe zone del sud Italia, del napoletano in particolare, dove è molto presente un’assonanza di significato, derivante dal greco antico, per cui “buono” ha anche il senso di “capace”, “efficace”, “abile a raggiungere lo scopo”. La cosa è presente anche nell’italiano in generale – si penso al classico “buono a nulla” – ma l’assonanza è meno forte e ricorrente nelle altre parti della penisola. Ora, la rappresentazione tradizionale dell’anarchico da parte dei media legati al potere politico, economico e culturale, era (ed è) stereotipata: l’anarchico ha qualche rotella fuori posto, per cui o è un pazzo furioso ed assai pericoloso per la società in generale (compresa la stessa classe sfruttata la cui causa crede di sposare) o, al contrario, è un idealista sognatore, che vive in un mondo astratto, si sente legato ad un’umanità sofferente che nei suoi contorni reali non conosce affatto e, per questo, risulta incapace di arrecare alcun vantaggio effettivo a niente ed a nessuno – “buono” dunque nel senso su ricordato di “buono a nulla”.
Ovviamente, qualcuno si avvicina all’anarchismo avendo in mente queste immagini stereotipate e le sposa in pieno, accusando paradossalmente chi sfugge al cliché di non essere un “vero anarchico”. Il potere, tra l’altro, è estremamente attento a non creare varchi in questa rete semantica della comunicazione: un esempio paradigmatico lo troviamo nelle voci enciclopediche dedicate all’anarchismo. Tranne casi rari, mentre le voci legate ad ogni altra ideologia politica, sociale, culturale, religiosa vengono affidate a chi conosce “dall’interno” tali cose, per cui la voce “marxismo” la scrive un marxista, la voce “liberismo” un liberista, ecc., le voci legate all’anarchismo vengono quasi sempre scritte da chi anarchico non è. Alla cosa siamo abituati e raramente ci facciamo caso, ma è un po’ come affidare la voce “cattolicesimo” ad un buddhista, il quale può anche essere colto nell’argomento, ma rispetto ad uno studioso cattolico ha letto sicuramente meno testi e frequentato molto meno quella religione, per cui è facile non conosca adeguatamente testi e contesti di quel pensiero.
Le cose, negli ultimi anni, vanno comunque un po’ diversamente nella cultura popolare, particolarmente in quella di oltreoceano che, però, specie quella nordamericana, è diffusa regolarmente in tutto il mondo (“ah, hai visto Mr Robot? Altrimenti veditelo, ti piacerà sicuramente, è anche in italiano” – dettomi da un amico srylankese qualche giorno fa…). A fare da apripista è stata sicuramente la fantascienza, che sembra essere stata colonizzata da scrittori di militanza anarchica o comunque con forti simpatie verso l’anarchismo: spesso e volentieri in questo genere letterario l’anarchico spesso è descritto in termini decisamente più lusinghieri, lontani dallo stereotipo usuale ed invece come un personaggio razionale, moralmente apprezzabile e spesso efficace nella sua azione politica e sociale (esempio paradigmatico è lo Shevek del famosissimo e pluripremiato I Reietti dell’Altro Pianeta di Ursula K. Le Guin). Ma di questo parleremo magari in un prossimo articolo.
Parleremo ora, invece, di un genere popolare dove la figura stereotipa dell’anarchico – particolarmente nella versione “sangue, bombe, anarchia” – ha imperato a lungo: la fumettistica d’azione, con le sue versioni animate e cinematografiche. In questo genere, anche in alcune sue versioni d’autore, l’anarchico, quando compare, è assai spesso decisamente il vilain – il supercattivo – di turno. Paradigmatico il caso di Anarky: in origine avversario di Batman, è un giovane violento e intelligente pronto a uccidere per le sue idee, probabilmente figlio di Joker. È comparso in varie storie di Batman, poi raccolte in volume, ed ha avuto anche una serie dedicata a lui che, però, non ha avuto molto successo ed è stata chiusa dopo soli otto numeri. Visto che abbiamo citato Joker, vale la pena di ricordare quanto spesso questo supercattivo citi il termine “anarchia” nelle sue storie: non a caso, lo hanno fatto padre di Anarky. D’altronde, lo stesso Batman in un universo alternativo legato alla figura di Superman, ambientato in una oltrecortina immaginaria dove sarebbe caduto da bambino ed ora divenuto l’erede di Stalin, fa la parte dell’anarchico bombarolo…[1]
L’universo di Batman e, in generale, della DC comics, non è però certo l’unico in cui compare con una certa frequenza lo stereotipo dell’anarchico come minaccia della società: la Marvel non è da meno. Infatti, anche in quest’altro universo narrativo non c’è praticamente supereroe di una certa notorietà che non abbia avuto, una volta o l’altra, a che fare con qualche supercattivo rientrante nella categoria del “sangue, bombe, anarchia”. Però, se la DC comics ha (avuto) il suo Anarky, poi, la Marvel ha risposto con il suo Anarchist[2] – e qui le cose cominciano a diventare interessanti, a fuoriuscire dagli stereotipi.
Anarchist, al secolo Tike Alicar, è un mutante (tra l’altro anche dichiarato clinicamente pazzo nella saga, per l’esattezza affetto da disturbi ossessivo-compulsivi), che assai spesso non riesce a controllare la sua rabbia e giustifica l’uso scorretto dei suoi poteri dichiarando di essere al di sopra della legge. Sembrerebbe il perfetto stereotipo del vilain anarchico, ma egli fa parte della X-Force (una squadra di mutanti dai superpoteri simile ai più noti X-Men): dunque è in qualche modo anche una sorta di supereroe – sia pure appartenente alle nuove generazioni create dalla Marvel da una ventina d’anni a questa parte, dove i confini tra vilain e supereroi si sono fatti decisamente più sfumati – e compie numerose azioni positive, oltre a numerosi delitti.
Diciamoci la verità: la sorpresa maggiore in merito nell’universo Marvel è stata la versione ultimate del Dio del Tuono, al secolo Thor Odinson. Un dio che diventa anarchico o comunque simpatizzante del movimento, restando un supereroe e mantenendo dei tratti completamente positivi, a differenza dell’ambiguo Tike Alicar, è stata decisamente una novità. Eppure, sotto la nuova identità di Thorlief Golmen, nella versione ultimate egli è un dichiarato simpatizzante, anzi un militante del movimento No-Global – si tenga presente che negli Stati Uniti questo movimento ha avuto una enorme impronta libertaria, ben presente alla memoria dei lettori negli anni in cui nasce questa versione del Dio del Tuono (giugno 2002).
Anche qui la follia è legata al personaggio – lavora come infermiere nella clinica dove è stato per anni paziente – che dichiara esplicitamente le sue idee politiche e sociali radicali già nelle sue prime avventure, fino a che si schiera apertamente con il movimento No-Global, si ritrova schedato dai servizi segreti come sovversivo pericoloso, quando viene contattato per entrare a far parte della squadra degli Ultimates (la vecchia squadra dei Vendicatori in versione ammodernata), rifiuta perché li considera pedine delle industrie militari e del governo statunitense, dei “cani da guardia del potere”, quando accetta di partecipare alla messa sotto controllo di un Hulk impazzito che sta distruggendo Manhattan lo fa solo dopo aver costretto il Presidente USA a dimezzare il debito dei paesi “aiutati” dal FMI, usa i suoi poteri durante una dimostrazione pacifista in Italia(!) per attaccare le forze dell’ordine colpevoli di aver aggredito proditoriamente i manifestanti, viene accusato di tradimento dai servizi per aver divulgato informazioni Top Secret e viene incarcerato dopo un’epica battaglia contro gli Ultimates (che ancora una volta lui apostrofa come “cani da guardia del potere”), una volta libero decide di unirsi ad una scissione degli Ultimates (i New Ultimates) messa in piedi da Iron Man, al secolo Tony Stark, che, come lui, ha avuto una sorta di conversione sulla via di Damasco e, da supereroe capitalista nonché oppositore iniziale delle iniziative e delle idee del nuovo Thor, si è “buttato a sinistra” e si ritrova anch’egli schedato come pericoloso sovversivo…
Anarchico più o meno dichiarato, pazzo clinicamente dichiarato. È così Anarchist come Thor/Thorlief Golmen. Ma, specie con quest’ultimo, abbiamo a che fare con personaggi dai caratteri estremamente positivi e le loro azioni conducono a risultati apprezzabili in termini di giustizia sociale. Il modello per personaggi del genere, che hanno avuto un enorme successo di pubblico, molto probabilmente è stato quel V per Vendetta che, nato nella prima metà degli anni ottanta in riviste underground, aveva gradatamente conosciuto ristampe su ristampe, fino ad ottenere un successo davvero inaspettato per quelli che erano stati suoi esordi.[3] La storia di questo supereroe anarchico, sicuramente con non tutte le rotelle a posto, ma dotato di un coraggio e di un amore verso la gente davvero enorme, con una pietas notevole persino nei confronti di chi deve uccidere per la sua vendetta, che però coincide con un processo di liberazione dell’umanità dal dominio di un potere opprimente, ha mostrato all’universo delle case di produzione fumettistica come esistesse un target di pubblico, che vedeva nell’anarchico una figura positiva, di discrete dimensioni e, perciò, da coltivare…
La stessa cosa, come facevo notare in un altro articolo, è avvenuto con certe serie televisive americane come Mr Robot[4] che, da questo punto di vista, ha sicuramente mantenuto l’immagine dell’anarchico pazzo ma “buono”, nel senso doppiamente positivo ricordato all’inizio di quest’articolo e, sostanzialmente, a mio avviso, per le stesse ragioni di “cassetta”. Il che, però, non toglie che alle spalle di determinate scelte editoriali ci sia sempre il fatto, confermato dai successi in termini di pubblico, che nonostante secoli di propaganda dell’anarchico pazzo e “no-buono”, esista in una fetta non indifferente di persone reali, specialmente nel mondo anglosassone, un’immagine decisamente più positiva dell’anarchico. La cosa esce notevolmente dall’ambito dei militanti – dove la cosa sarebbe scontata – come mostra un recentissimo articolo della rivista dei gesuiti americani, “Perché dovremmo dare ascolto agli anarchici nell’era Trump”,[6] dove, parlando dei vari aspetti delle proteste contro il nuovo Presidente, se ne esce con un elogio non solo delle pratiche anarchiche di democrazia ed azione diretta, ma anche di alcuni aspetti della teoria anarchica. Insomma, da quelle parti, qualcuno ci vuol bene persino tra i frequentatori di parrocchie…
Arriviamo al punto finale: perché la follia viene mantenuta dagli sceneggiatori come caratteristica peculiare di tutti questi personaggi, nonostante la loro plateale bontà d’animo e fattuali capacità operative? Credo sia dovuto ad una questione di scarso coraggio nello staccarsi completamente dallo stereotipo che, si suppone, il pubblico si aspetta: l’unica eccezione che mi viene in mente, è il razionale, buono ed alla fine vincente Harrison Walters – interpretato da Jake Robinson: qualcuno ha notato una certa somiglianza fisica con David Graeber giovane – di American Odissey.[5] Da questo punto di vista, però, il mondo della fantascienza scritta, come dicevamo all’inizio, è estremamente più radicale ed Harrison Walters in esso è più la norma che non l’eccezione.
Enrico Voccia
NOTE
[1] Si tratta di Superman: Red Son. Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Superman:_Red_Son.
[2] Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Anarchico_(personaggio).
[3] La storia di V per Vendetta credo sia nota a pressoché un po’ tutti i lettori di Umanità Nova, per cui non la riassumo. In ogni caso, vedi https://it.wikipedia.org/wiki/V_for_Vendetta. Ma se non la conoscete, leggete il fumetto: vi siete persi parecchio.
[4] VOCCIA, Enrico, “Siamo i Buoni della Televisione”, in Umanità Nova, anno 96, numero 34, 20 novembre 2016, p. 7. In ogni caso vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Mr._Robot. Anche qui, però, vale la pena di vederla, specie la prima serie. In arrivo, pare quest’estate, la terza. Sulla serie Mr Robot anche il numero di gennaio di Le Monde Libertaire ha dedicato un articolo.
[5] VOCCIA, Enrico, “Siamo i Buoni della Televisione”, cit. Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/American_Odyssey.
[6] Vedi http://www.americamagazine.org/politics-society/2017/01/22/why-we-should-listen-anarchists-age-trump.