Il 30 maggio il consiglio del VI Municipio a Roma ha approvato una delirante mozione della Lega che richiedeva alla giunta di individuare un’area che porterà il nome dell’ex segretario, nonché uno dei fondatori…del MSI, Giorgio Almirante. Non è certo la prima volta che la destra italiana cerca di rivalutare la sua figura attraverso la richiesta di intestazione di spazi, piazze o vie, segno evidente che la scelta “entrista” dei neofascisti in partiti come la Lega ha permesso a tali ambienti di riprendere il revisionismo storico che sta alle radici di tale iniziativa. Il capogruppo leghista nel presentare la mozione ha definito Almirante “uno dei personaggi che hanno fatto la storia d’Italia”, un “leader che ha contribuito alla pacificazione nazionale” ed altre ridicolaggini propagandistiche. Fermiamoci innanzitutto su tali dichiarazioni per ricordare che Roma è città medaglia d’oro per la Resistenza all’occupante nazista di cui i fascisti italiani furono i collaborazionisti compreso Almirante, a partire dalla sua carriera universitaria, e giornalistica che culminano nell‘esperienza della RSI. Da giornalista (animato da una fede intransigente nel fascismo) raccontò le sue esperienze nei gruppi universitari legati al regime (che mai rinnegherà nel corso di tutta la sua vita), diventando infine segretario di redazione della “Difesa della Razza”, giornale che, per primo nel ’38 pubblicò il “Manifesto della Razza”. Da tale osceno pulpito scriveva articoli violentemente razzisti ed antisemiti e, in seguito, quando venne costituita la RSI, prima si arruolò da volontario nella Guardia Nazionale Repubblicana e nel 1944 venne nominato capo di gabinetto al ministero per la cultura popolare (Minculpop), del titolare Mezzasoma. In questo resoconto sul personaggio non ci interessa analizzare gli intrighi fascisti nel dopoguerra -che vedono nella creazione del MSI (tramite fondi Usa) il punto di approdo di criminali di guerra, elementi legati al regime, giovani arruolatisi nella RSI e via dicendo- ma piuttosto sottolineare il ruolo guida ambiguo e ipocrita di Almirante nel suddetto partito, evidenziato dallo slogan di sua creazione “Non rinnegare, non restaurare” e dalla politica in “doppiopetto” atta a nascondere l’impostazione violenta e discriminatoria propria del reazionario MSI. Ben altre gravi responsabilità andrebbero poi sommate al suo operato, dal “comunicato agli sbandati” del 17 maggio 1944 a firma di Almirante quale capo di gabinetto del ministro Mezzasoma e pubblicato per la prima volta il 27 giugno 1971 dal quotidiano l’Unità col titolo “Un servo dei Nazisti. Come Almirante collaborava con gli occupanti tedeschi”, col quale ordinava la consegna delle armi a “sbandati o appartenenti a bande” (o anche solo a sospetti appartenenti a gruppi partigiani…) alle forze di occupazione nazifasciste. “Tutti coloro che non si saranno presentati- allo scadere della mezzanotte del 25 maggio 1944- saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena” si legge nel comunicato. Contro l’autenticità del manifesto (ritrovato per la cronaca dal nostro compagno anarchico Renzo Vanni assieme a Franco Serantini…) Almirante rispose con un consistente numero di querele, sostenendo che si trattava di «una vergognosa campagna stampa» e di «un’ignobile infamia».
Il procedimento principale, con sede a Roma, venne istruito dai pubblici ministeri Vittorio Occorsio e Niccolò Amato e si articolò lungo il corso di ben sette anni; Almirante oppose un gran numero di eccezioni, ma nel giugno del 1974 vennero rinvenute negli Archivi di Stato e prodotte in giudizio inequivocabili prove documentali attestanti la veridicità del documento. Secondo Vincenzo Vinciguerra, l’autore reo confesso della strage di Peteano del 1972 quando un’autobomba uccise tre carabinieri attirati da una telefonata anonima ad effettuare un controllo su una 500 sospetta, fu sempre Almirante a far pervenire 35.000 dollari al complice di Vinciguerra Carlo Cicuttini- negli anni ’70 segretario di sezione del MSI di Udine, e contemporaneamente esponente del gruppo cittadino di Ordine Nuovo, assiduo frequentatore del bar di Benito Nicoli a Monfalcone (da lì sarebbe partita la sua telefonata della strage di Peteano)- per pagargli un’operazione alle corde vocali per non essere riconosciuto come il telefonista della strage…Denaro che invece il Cicuttini pensò bene di investire nell’acquisto di un appartamento a Madrid, da dove comunque teneva i contatti con l’estrema destra spagnola per conto del gruppo di Delle Chiaie in Spagna. Nel giugno del 1986, a seguito dell’emersione di documenti che provavano il passaggio del denaro tramite una banca di Lugano, il Banco di Bilbao e il Banco Atlantico, Giorgio Almirante e l’avvocato goriziano Eno Pascoli vennero rinviati a giudizio per il reato di favoreggiamento aggravato verso i due terroristi neofascisti. Pascoli verrà condannato per il fatto nel 1987; Almirante invece, si fece più volte scudo dell’immunità parlamentare, all’epoca ancora riconosciuta a deputati e senatori, fin quando si avvalse di un’amnistia prima dell’inizio del processo, nonostante la legge ne prevedesse già da molti anni la irrinunciabilità proprio al fine di tutelare il diritto dell’imputato all’accertamento dei fatti. Durante tutta la sua carriera “politica” Almirante ha ricevuto ripetute accuse di contiguità con l’eversione fascista e di sostegno a diversi tentativi di colpi di stato. I sospetti sugli appoggi ai tentativi di colpi di stato degli anni sessanta e settanta acquisirono ulteriore rilevanza in seguito alla scelta di inserire tra le file del partito alcuni generali dei servizi segreti militari come Giovanni De Lorenzo (eletto nel 1968 con il PDIUM che aderì nel 1971 al gruppo missino) che ebbe un ruolo nel Piano Solo del 1964, e Vito Miceli, iscritto alla P2 di Licio Gelli e all’epoca indagato per favoreggiamento al Golpe Borghese, reato per cui verrà successivamente assolto nel 1978.
Questo tipo di circostanza è stata recentemente confermata dalla testimonianza di Ernesto De Marzio, all’epoca capogruppo del MSI alla Camera e in seguito eletto presidente del MSI proprio su pressione di Almirante. De Marzio ha sostenuto di aver presenziato, nel 1970, a un incontro tra Junio Valerio Borghese e Almirante nel corso del quale quest’ultimo, alle richieste di adesione all’imminente colpo di stato avanzate da Borghese, avrebbe risposto:
“Comandante, se parliamo di politica e tu sei dei nostri devi seguire le mie direttive: ma se il terreno si sposta sul campo militare allora saremo noi ad attenerci alle tue indicazioni”
Negli anni a seguire le accuse di supporto all’eversione nera proseguiranno, come nel caso di Massimo Abatangelo, deputato missino condannato in primo grado all’ergastolo nel processo del 28 marzo 1991 per la strage del Rapido 904 o strage di Natale -nome attribuito a un attentato dinamitardo avvenuto il 23 dicembre 1984 nella Grande Galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio, ai danni del treno rapido n. 904, proveniente da Napoli e diretto a Milano- per la quale avrebbe fornito l’esplosivo. Pena che fu sospesa perché nel frattempo venne ricandidato dal MSI di Almirante e rieletto nel 1993, allorquando il Parlamento concesse l’autorizzazione a procedere…Secondo l’accusa del pm Pierluigi Vigna, un pentito avrebbe visto Abbatangelo consegnare al boss del rione Sanità, Giuseppe Misso, a cui faceva capo un gruppo di camorristi ed estremisti neri, i candelotti di nitroglicerina da piazzare nel diciannovesimo vagone di quel treno.
Il 18 febbraio 1994 Abbatangelo, la cui posizione nel mentre era stata stralciata dal processo principale, fu assolto dalla Corte di Assise di Appello di Firenze dal reato di strage, ma venne condannato a sei anni di reclusione per detenzione di esplosivo.
Sì potrebbe anche citare la figura di Sandro Saccucci, ex tenente dei parà, tra i primi iscritti a Ordine Nuovo, arrestato nel 1971 perché coinvolto nel “golpe Borghese” per il quale scontò 11 mesi di carcere. Deputato del MSI dal 1972 fu protagonista dell’omicidio a pistolettate del comunista Luigi Di Rosa, nonché del ferimento del compagno di Lotta Continua Antonio Spirito, avvenuti a Sezze Romano il 28 maggio 1976 durante un suo comizio per la campagna elettorale. Nonostante fosse stato rieletto a fine luglio dello stesso anno la Camera ne ordinò l’arresto, che Saccucci evitò fuggendo prima nel Regno Unito, poi in Francia e quindi Spagna ed infine in Argentina venendo nel frattempo condannato a 12 anni poi ridotti a 8 in contumacia. Dopo l’arresto avvenuto in Argentina il 26 febbraio 1985 venne assolto in via definitiva dalla Corte di Cassazione nel giugno dello stesso anno, la quale accolse il ricorso dell’avvocato Taormina…Il Sacucci avrebbe “solo “brandito la sua pistola calibro 6.35 in risposta alla contestazione di un gruppo di extraparlamentari. Nella ricostruzione fornita dal collegio di difesa presieduto da Taormina e accolto dalla Corte, solo dopo che Saccucci si era allontanato da Sezze, un suo simpatizzante sparò alcuni colpi a terra che colpirono di rimbalzo Luigi Di Rosa (morto poi per le ferite riportate) e Antonio Spirito (che rimase ferito a una gamba) …
Occorre inoltre ricordare uno dei collaboratori più stretti di Almirante, Giulio Caradonna, figlio del dirigente fascista Giuseppe, repubblichino a soli 16 anni ed ex-picchiatore per antonomasia il quale affermò che fu sempre Almirante a sollecitare Gelli nel finanziare il MSI, grazie alla sua mediazione in quanto piduista. Caradonna racconta poi in un’intervista a Libero “del marzo 2008 degli scontri all’università La Sapienza di Roma del 16 marzo 1968, affermando che fu Almirante a prendere la testa dei fascisti. Caradonna rivela: “Fu Almirante a guidare i nostri per farsi perdonare l’accordo col segretario missino Michelini al congresso di Pescara. Furono radunati giovani da tutt’Italia. Entrarono nell’università. Vedete le foto: Almirante, che era in seconda fila, per dimostrare la propria fedeltà a Michelini -continua- chiese di essere lui a guidare l’assalto. Quel giorno fu l’esecutore materiale dell’ordine di Michelini. Gli scatti in bianco e nero lo inchiodano mentre dà l’assalto a Lettere. È lui a guidare la carica delle ‘truppe’ del Msi, io arrivai in un secondo tempo”.
La foto che abbiamo voluto allegare a questo articolo ritrae infatti Almirante con gli altri leader di partito e i giovani membri del FUAN- vestito elegante e sguardo benevolo verso di loro- circondato dai suoi “mazzieri” armati di spranghe e bastoni sulle scale di Giurisprudenza nel 1968 durante la spedizione missina per “liberare l’università dalla teppaglia rossa”, il Movimento Studentesco alle prese con le prime occupazioni delle facoltà. La foto evidenzia appieno l’oscena doppiezza di questo personaggio rispetto alla narrazione della destra italiana, sempre intenta a fornire una versione edulcorata dei misfatti provenienti dai suoi ambienti; non più picchiatori in camicia nera con fez e manganello, ma fascisti perbene”, con il vestito buono che non nascondono comunque la loro vera natura. Nella circostanza i camerati guidati dal Giorgio nazionale ricevettero una sonora lezione dai compagni, di cui avevano sottovalutato la determinata e furiosa reazione provocata, tra l’altro, da tutta una serie di violenze fasciste che si erano protratte per giorni nell’omertà più assordante delle autorità universitarie e nell’indifferenza complice delle forze di „Pubblica (In)Sicurezza“. I picchiatori con spranghe alla mano sono gli stessi che in seguito alla risposta del Movimento Studentesco, scapparono a gambe levate asserragliandosi nella loro facoltà- come ricorda ancora Caradaonna: “Su Giurisprudenza svettava la bandiera nera, su Lettere il drappo rosso “- lanciando di tutto contro gli assedianti dalle finestre, compresa una scrivania che colpì un giovane Oreste Scalzone (ancora oggi sofferente per le conseguenze dovute alle ferite riportate). Sarebbe costui dunque da annoverare tra “i personaggi che hanno fatto la storia di Italia e contribuito alla pacificazione nazionale”, al punto da richiedere uno spazio in suo onore? Giorgio Almirante ha rappresentato non solo la parte più ambigua e opportunistica del neofascismo italiano, ma è stato anche il collante tra l’esperienza della RSI e il MSI, un uomo che ha giocato su più tavoli e che ha delle evidenti responsabilità nel contesto della strategia della tensione e dell’eversione neofascista, utilizzandola a suo piacimento a seconda del momento come nel caso del Giovedì Nero di Milano del 12 aprile 1973, quando i “sanbabilini” chiamati dalla leadership missina milanese (tra cui un giovane La Russa…) uccisero con una bomba a mano in pieno petto il poliziotto Antonio Marino, per poi venire nell’immediato scaricati da un’ipocrita Direzione Nazionale. Ovviamente questi aspetti del “pacificatore” sfuggono a soggetti come i leghisti, i quali notoriamente faticano ad informarsi, causa anche un’evidente incapacità nel capire quello che leggono…Sta di fatto che appare perlomeno inverosimile la legittimità dell’intitolare uno spazio a un fascista dichiarato che MAI rinnegò il suo passato criminale di collaboratore dei nazisti, diventando in seguito uno dei principali attori della “strategia della tensione”. Un personaggio che ha fatto sì la storia d’Italia, ma in negativo, non curandosi MAI delle vittime di quello stragismo neofascista che lui negava, aiutava, finanziava e utilizzava per i suoi squallidi fini da politicante reazionario, come squallido ed arrivista è sempre stato. Come anarchici ribadiamo il rifiuto di ogni revisionismo storico, ORA E SEMPRE RESISTENZA, CHIUDIAMO I COVI DEI FASCISTI SERVI DEI PADRONI E DELLA REAZIONE
Gruppo Mikhail Bakunin – FAI Roma & Lazio