All’arrembaggio del futuro / Casa dolce casa? / Salute, Assistenza e Profitto

All’arrembaggio del futuro
Sono stati pubblicati quattro testi
#1 Sanità: la solidarietà non ha prezzo
https://www.facebook.com/iniziativalibertaria/photos/a.351471606485/10156675458806486
#2 Patriottismo e militarizzazione
Nonostante il periodo di restrizioni, specialmente in FVG dove hanno calcato la mano senza logica e necessità, non abbiamo smesso di incontrarci seppur virtualmente.
Riuscire a confrontarsi, non smettere di fare ricerca e provare a fare sintesi c’ha permesso di continuare una forma di resistenza intellettuale che ci ha aiutati e tutt’ora ci aiuta a rimanere lucidi.
Se è innegabile che la gravità dei decessi con tutto il suo portato affettivo ed emotivo non ha potuto non suscitare in ognuno di noi angoscia e preoccupazione è altrettanto vero che lasciarsi trascinare in una dimensione spesso in bilico tra l’isteria e l’irrazionale bisogno di una “protezione superiore” ha peggiorato di molto le cose; soprattutto ha mescolato le carte facendo il gioco di chi ha un evidente responsabilità in tutta questa situazione scaricandola verso il basso, distogliendo lo sguardo, reclamando una sorta di “infantilizzazione” di massa.
Derive patriottarde, appelli simil-patetici a “unità e coesione con i nostri leader”, capri espiatori di volta in volta trovati fra chi già patisce le conseguenze di scelte istituzionali ad ogni livello, sono solo alcuni degli effetti di questa condizione.
Abbiamo elaborato collettivamente dei testi, suddivisi per tematiche (sanità, militarismo, economia, filantropia capitalista ecc.) che speriamo possano essere un contributo utile anche fuori dalla nostra cerchia di compagne e compagni, amic* e simpatizzanti.
Verranno pubblicati a distanza di qualche giorno per poi essere racchiusi in un unico pamphlet agile in PDF da poter far girare oltre FB e i social.
Ci rendiamo conto che si tratta di informazioni e analisi parziali e inevitabilmente contingenti, non sapendo quando la pandemia in Italia, in FVG e nel pordenonese verrà effettivamente ad esaurirsi e quanti e quali altre informazioni ed eventi cambieranno.Tuttavia crediamo possano essere uno spunto per utilizzare strumenti che ci appartengono e metterli in gioco nel verificare poi se saremo stati capaci di leggere il presente e proporre alternative per l’immediato futuro.
Perché un’unica certezza abbiamo, oltre alle chiare responsabilità, e cioè che dopo questa pandemia globale nulla potrà rimanere come prima: spetta a noi scegliere se ripiegare lo sguardo all’indietro, subendo passivamente le decisioni che dall’alto vorranno ancora imporci con tutto il disastro che ne è seguito o se volgerlo verso il futuro con la determinazione necessaria a riprenderci bisogni, territori e libertà per gettare le basi di una società ecologica e libertaria.Buona lettura
Iniziativa Libertaria-Pordenone
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Casa dolce casa?
Restare a casa: da quando sono scattate le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, la parola d’ordine è stata questa. Il Governo è stato solo capace di intimare comportamenti individuali, quasi che, invece che una norma di prudenza, stare a casa fosse la cura, quella che non si trova, come non si trova il posto letto, il respiratore, la banale mascherina, addirittura il flacone di amuchina.
Per il resto, il Governo si è mostrato solo incapace di gestire una situazione determinata da anni di tagli alla sanità pubblica, colpevole di non aver riconosciuto tempestivamente le necessità e i provvedimenti da adottare, divorato dalla smania di mantenere il ritmo produttivo per non scontentare imprenditori e confindustria.
Per imporre le restrizioni pazzesche che sono state adottate, quelle con cui tutt+ dobbiamo fare i conti, è stata creata fin da subito la comunicazione retorica della casa come luogo sicuro. I più squallidi guru televisivi hanno fatto a gara fin dai primi giorni ad esaltare la bellezza dello stare a casa e le gioie della famiglia. Casa e famiglia come luogo sicuro e protetto.
Ma è proprio così?
In Italia ci sono oltre 50000 persone che non hanno casa, 360000 persone vivono senza servizi igienici di base nelle proprie abitazioni, mentre il disagio abitativo nelle città italiane è all’11,3% (dati del 2015). Anche a Livorno, l’emergenza abitativa è una questione centrale, a fronte di persone prive di casa, sfrattate, collocate in sistemazioni precarie o costrette a risolvere il problema con le occupazioni.
Con che coraggio si intima di stare a casa a chi la casa non ce l’ha? E non ha nemmeno il comodo divano dove leggere un buon libro, il soffice tappeto dove accoccolarsi con i figli, la cucina attrezzatissima dove dilettarsi da chef? Sono questi i buoni consigli che vengono propinati, anche a tutti coloro che lo sfruttamento ha precipitato nella povertà e nel disagio.
Stare a casa, stare in famiglia, al sicuro.
Ma la casa e la famiglia non sono un luogo sicuro; è proprio tra le mura domestiche che si consuma l’80% delle violenze sulle donne. Perchè il violento, lo stupratore, l’assassino ha le chiavi di casa e la maggior parte delle violenze avviene proprio in contesto domestico per mano di qualcuno di famiglia. Con che coraggio si intima di stare a casa a tutte quelle donne e a quei minori che si trovano murate vive in casa insieme ai loro aguzzini? Tra il 9 e il 31 marzo ci sono stati 8 femminicidi compiuti in casa.
Ed anche in situazioni meno drammatiche la retorica della casa diventa grottesca per coloro che (soprattutto le donne) nello spazio domestico sono sottoposte ad uno sfruttamento ancora maggiore del solito, costrette al telelavoro, oltre al carico di bambini e anziani in un periodo in cui le scuole sono chiuse e i servizi sono ancora più ridotti di sempre. Oppure le badanti, costrette a non abbandonare mai il posto di lavoro, che per loro è, appunto, la casa.
Gli avvisi ufficiali che passano costantemente su ogni canale di comunicazione invitano a restare a casa e spesso non danno altre indicazioni di carattere igienico o sanitario. Ma la casa non può certo garantire alcuna miracolosa immunità dal virus, anzi essa può diventare, specie nelle ultime settimane di isolamento, uno dei principali luoghi di contagio, insieme ad ospedali e RSA. Anche perché le ASL cercano di evitare il più possibile i ricoveri ospedalieri, e gran parte dei malati positivi al covid-19 spesso restano nelle abitazioni a meno che non necessitino di un ricovero in terapia intensiva. Senza un servizio sanitario effettivamente diffuso sul territorio in grado di provvedere alla vigilanza dei singoli casi, e senza una cultura della salute anche le case rischiano di essere pericolosi luoghi di contagio.
Infine c’è la disastrosa situazione delle carceri, dove 63000 persone vivono già in terribili condizioni igieniche e di sovraffollamento aggravate dalla pandemia che si sta diffondendo negli istituti penitenziari. Queste condizioni hanno portato tra il 9 e il 12 marzo a rivolte nelle carceri. Le parole scritte sugli striscioni erano chiare: “indulto”, “amnistia” e “libertà”. Lo Stato ha risposto facendo intervenire l’antisommossa, i GOM, l’esercito. Ci sono stati 14 morti tra i detenuti. La propaganda di polizia parla di 14 casi di overdose, ma è sicuro che alcuni detenuti in gravi condizioni non sono stati curati e sono morti durante o dopo il trasferimento in carceri di altre città. Mentre continuano le proteste tra i detenuti ci sono agitazioni in corso anche nei CPR, i lager per migranti, come a Gradisca dove i reclusi avevano messo in atto uno sciopero della fame chiedendo libertà. Questa è la situazione nelle “case” di reclusione.
Con la retorica della casa come luogo sicuro si è tentato di mascherare la disorganizzazione, l’incapacità, il fallimento della classe dirigente, del Governo, dell’organizzazione capitalista della società. Una retorica condita con tricolori, droni, mitra spianati e rinnovati appelli alla fede e alla superstizione. Una retorica che ha coniugato il nulla della gestione sanitaria con una formidabile operazione repressiva delle libertà individuali e collettive a cui dobbiamo rispondere con tutte le nostre risorse.
Federazione Anarchica Livornese
federazioneanarchica.org
Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico.noblogs.org

Salute , Assistenza e Profitto

Per parlare dell’emergenza sanitaria in atto è necessario fare la distinzione tra il virus Sars-CoV-2 e il Covid-19 ricordando alcune date dei momenti importanti che hanno segnato l’evolversi dell’infezione. Con il termine Sars-CoV-2 si identifica il coronavirus che ha cominciato a manifestarsi causando “malattie polmonari anomale” alla fine dell’anno 2019, coinvolgendo maggiormente nelle prime settimane di gennaio la città, più popolata della parte orientale dello stato cinese e perno per il commercio e gli scambi, Wuhan.

Il 7 gennaio viene isolato il virus (2019-nCoV), tre giorni dopo viene sequenziato geneticamente e la Cina ne condivide la scoperta con la comunità scientifica internazionale. Il numero dei contagiati, non numeroso, era circoscritto alla zona di Wuhan. Il 21 gennaio, le autorità locali cinesi e l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) annunciano che il nuovo coronavirus, dopo aver fatto un “salto di specie” (dall’animale all’uomo), ora si trasmette da uomo a uomo. Nel frattempo viene isolata la città di Wuhan e si interrompono i festeggiamenti del capodanno cinese. In Italia si comincia a parlare di contagio perché il 29 gennaio due turisti cinesi (originari di Wuhan) vengono ricoverati allo Spallanzani di Roma, ospedale con specifiche competenze sulle malattie infettive. Il 30 gennaio l’OMS eleva il pericolo dell’epidemia da moderato ad alto, senza però allertare gli stati ad adottare provvedimenti. L’11 febbraio viene dato un nome alla malattia: l’OMS sceglie Covid-19, dove Co e vi ne identificano l’appartenenza alla “famiglia” dei coronavirus, d per indicare una malattia (disease) e con 19 si sottolinea l’anno della scoperta. Intanto è cambiato anche il nome del virus in Sars-CoV-2 perché il patogeno è parente del coronavirus responsabile della SARS. Per la vicenda italiana la data centrale è il 21 febbraio, quando emergono diversi casi nel lodigiano che coinvolgono persone che non provengono dalla Cina portando le autorità a chiudere alcune località della Lombardia e del Veneto (le prime zone protette). Nei giorni seguenti i numeri dei contagiati cresce in Italia, in Iran e nella Corea del Sud, ma questo non porta ancora l’OMS a dichiarare una situazione di pandemia. Nelle prime settimane di marzo si registra, in Italia, un aumento preoccupante del numero di contagi e decessi che induce il governo italiano ad estendere misure restrittive a tutto il territorio nazionale. I provvedimenti sono aumentati gradatamente fino al “lockdown” del 25 di marzo. Il direttore dell’OMS l’11 marzo, da Ginevra, aveva dichiarato la pandemia.

Si può riconoscere, in queste rapide note, come sia veloce il grado di contagio e come ci sia stato un alto grado di impreparazione. La scoperta dell’esistenza dei coronavirus è datata 1960 e negli ultimi decenni si sono manifestate epidemie, anche gravi, che avevano prodotto linee guida indicando su cosa investire e come prepararsi: terapie intensive (nei posti letto e nelle attrezzature necessarie) e stoccaggio di dispositivi protettivi. All’apparire dell’epidemia in Europa, l’unico stato che aveva una discreta preparazione era la Germania. La mancanza di investimenti nella prevenzione è la conseguenza di politiche europee che hanno destinato fondi in base all’ “efficienza economica” nazionale, a cui si sono aggiunte scelte specifiche adottate da ogni singolo stato che sono: l’efficacia del sistema nazionale, lo sbilanciamento a favore della sanità privata, la competenza e la correttezza di chi ha il compito di gestire la spesa sanitaria, etc.

Gli stati che hanno ora un numero di casi controllabili, ci sono riusciti per mezzo della chiusura dei confini e delle limitazioni di tutte le attività lavorative. Chi invece ha numeri elevati, sconta la mancanza di strumenti, mezzi e personale che sommata all’impreparazione ha portato a concentrare malati nelle strutture esistenti (i pronto soccorso, gli ospedali pubblici o privati e le rsa) elevando così il contagio tra degenti, operatori sanitari ed assistenziali. Non va dimenticato che persone esposte al pericolo di contagio sono i medici di base, il personale sanitario carcerario, in quanto prima risposta alle richieste di cura; ed i lavoratori impegnati a trattare i decessi (servizi necroscopici, autoptici e pompe funebri).

In questo periodo siamo stati “informati” attraverso la comunicazione di continui dati che riguardavano i numeri di contagiati in terapia, deceduti e dimessi. Ma in una condizione di impreparazione anche le statistiche prese in considerazione sono falsate dalla mancanza di valutazioni complete sui decessi da Covid-19, che avrebbero dovuto prevedere test a tampone su malati domiciliari, in case di riposo, in hospice, ecc. L’elaborazione dei dati fatte dalle AUSL di competenza sono verosimilmente incomplete; mancano le comunicazioni alle procure dei referti di morte; l’INAIL non ha reso noto i numeri riguardanti infortuni, decessi e assenze per malattie professionali.

In piena emergenza, con i casi che man mano lievitavano, le misure adottate sono state: l’obbligo di restare chiusi in casa (contando che tutti ne siano provvisti), rimanere distanziati tra individui (trascurando l’impraticabilità nelle carceri e nei centri permanenti per il rimpatrio); uscire solo per necessità; chiusura dei cicli produttivi non indispensabili. Una ulteriore nota dolente riguarda i DPI (dispositivi di protezione individuale) che sono subito risultati insufficienti anche nei luoghi lavorativi più esposti. La loro produzione ha mostrato un’ aspetto della globalizzazione, fabbricati in pochi stati per ridurne i costi e adesso il loro prezzo è lievitato e si acquistano solo con pagamento diretto. L’attuazione delle misure emergenziali ha rivelato una continua prova di forza tra l’autorità statale e quella regionale, diatriba già in atto prima dell’emergenza e che lascia poche possibilità ad auspicabili progetti di federalismo solidale tra le regioni. Per sopperire alla mancanza di personale e rafforzare il controllo sociale viene messo in campo anche l’esercito (si vuole così giustificare le spropositate spese militari?), al tempo stesso non si investe in un possibile progetto che dia alla protezione civile una presenza di cittadini preparati ed autonomi ad intervenire nei casi di necessità.

Questa emergenza porta con sé non poche problematiche, sia di tipo sanitario, che economico e sociale. Al sistema sanitario si chiede di conoscere in tempi rapidi contagio e contagiati. Queste conoscenze vengono associate alla tecnologia digitale per permettere di tracciare spostamenti e contatti degli “infetti”. Così viene implementata la società del controllo (già in piena crescita) che sarà sempre più difficile mettere in discussione. Sempre associata alla questione sanitaria, si è aperta la ricerca di un vaccino che vede laboratori privati e pubblici coinvolti su due piani di interesse: uno più umanista e correlato alla ricerca, l’altro puramente economico visto l’introito monetario di ritorno che porterà la scoperta. Il Consiglio europeo per la ricerca (Cer) ha finanziato la sperimentazione di un vaccino con l’azienda tedesca Cure-Vac; ha dato compiti di coordinamento all’azienda biofarmaceutica francese Dompè del progetto Exscalate 4Cov per individuare farmaci specifici per contrastare l’infezione da coronavirus. In questo progetto partecipano istituzioni e centri di ricerca, tra cui il Cineca di Bologna ed ENI che presta il sistema di calcolo (HPC5) più potente al mondo e le competenze di modellazione cellulare.

Il sistema economico è messo a dura prova dal rallentamento produttivo e dalle misure di contenimento preoccupandosi della perdita di profitto e minimizzando le proprie responsabilità nella difficile situazione attuale. La veloce proliferazione del virus Sars-CoV-2 è dovuta a due fattori: la continua fagocitazione degli habitat da parte dell’industria agro-alimentare (alla continua ricerca di produttività), l’aumento di abitanti negli agglomerati urbani e la loro velocità di spostamento congiuntamente alle merci sul pianeta terra.

Si rende da subito necessario ragionare sulle trasformazioni che questa inedita situazione porterà nella società, che non dovrà ricadere solo sulla parte più debole della società. Anche se gli strumenti che conosciamo, assemblee, coordinamenti e manifestazioni, verranno vietati e ostacolati siamo chiamati a ragionare, praticare opposizione e sperimentare esperienze che vadano verso lo scambio dei saperi, il mutuo appoggio e l’autogestione. Un pericolo che può insinuarsi nella società viene dall’inasprimento delle pratiche autoritarie e repressive. Bisognerà confrontarsi e vigilare sulle modalità di controllo sociale (modello asiatico?) che sta avanzando. Come soggetti che svolgono i più svariati lavori, dobbiamo partecipare attivamente nella valutazione e nell’attuazione di tutte le misure per la nostra sicurezza e proponendo cambiamenti nei cicli di produzione. Lottare per strumenti che vadano dal reddito alla salute che siano di integrazione sociale e non di esclusione. Per quanto riguarda la salute, estendere il concetto di gratuità di cura (fuori da logiche stato/privato) e lavorare per organismi scientifici autonomi non ricattabili dagli interessi d’azienda. Possiamo cambiare modi e stili di vita ma non possiamo annullare l’umanità. Possiamo avere paura ma non vivere nel terrore. Non desideriamo tornare alla normalità, perché nella normalità è insito il problema; la scelta saggia è cambiare strada.

Assemblea delle Anarchiche e degli Anarchici Imolesi

Fonti per lo scritto:

https://www.wired.it/scienza/medicina/2020/03/21/storia-coronavirus-tutte-tappe-contagio-cina-

covid19/

https://www.cattaneo.org/2020/04/01/gli-effetti-del-covid-19-sulla-mortalita/

https://coronavirus.gimbe.org/

https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/04/04/sanita-tagli-italia/

Corriere della sera venerdi 10 aprile 2020

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