Agire e comunicare solidarietà per i profughi al confine polacco-bielorusso

La situazione dei profughi ai confini tra Polonia e Bielorussia, dopo aver attratto brevemente l’attenzione dei grandi media, è oggi scomparsa dai radar della grande informazione. Eppure, come si può notare dalle informazioni che arrivano dalla rete, la situazione non è certo cambiata; anzi sembra peggiorare. A parte le crescenti difficoltà dei profughi dovute soprattutto al peggioramento climatico stagionale, il 25 gennaio le autorità polacche inizieranno a costruire un muro, lungo 180 km, al confine tra Polonia e Bielorussia che dovrebbe essere completato entro 5 mesi, presentato dal governo e dai media come un’iniziativa contro l’immigrazione illegale”. Alla sua costruzione parteciperanno elementi del genio militare britannico e aziende internazionali.

La recinzione in fase di costruzione è un ulteriore elemento della “Fortezza Europa”, un sistema che impedisce la libera circolazione delle persone. Ma oltre a questo vi è il problema ecologico: gran parte del confine tra Polonia e Bielorussia attraversa foreste primarie che dovrebbero essere rigorosamente protette, mentre la costruzione del muro prevede il taglio di enormi distese di foresta con la conseguente distruzione dell’habitat di molte specie viventi.

Tornando all’aspetto “umano” della faccenda, la situazione è terreno fertile per l’odio verso lo straniero in Polonia e, in generale, in tutta Europa. Un altro elemento di oppressione, disumanità e crudeltà sono gli affollatissimi centri di detenzione polacchi; le migliaia di persone che sono riuscite a passare il confine, sono state intercettate dalle forze di polizia e rinchiuse in queste strutture senza supporto legale e medico (sanitario generale e psicologico soprattutto), lasciate in condizioni di vita terribili. All’inizio di Dicembre è avvenuta una rivolta nel centro di detenzione di Wedrzyn come risposta al trattamento disumano e alla mancanza di prospettive, di cui non si è avuta pressoché notizia dai mass-media.

Tuttavia, molte persone e gruppi (legati al movimento anarchico) sono entrati in azione, nonostante le difficoltà sempre crescenti, i pericoli e la mancanza di mezzi, tra cui molti legati al movimento anarchico. Esiste già da mesi una rete di diversi gruppi organizzati al confine polacco-bielorusso, sia all’interno della struttura “Grupa Granica” che come gruppi autonomi “No Border”; chiedono aiuto per le loro azioni e per proseguire l’opera di informazione sulla vicenda, oltre a fare pressione sui governi dei loro paesi affinché rilascino una dichiarazione di accoglienza dei rifugiati nei loro territori. Di seguito l’intervista a un compagno che vive in Polonia da alcuni anni.

Umanità Nova – d’ora in poi UN: Ciao, ti puoi presentare?

Compagno di Cracovia – d’ora in poi CC: Ciao. Vivo a Cracovia da più di dieci anni e faccio parte della Federazione Anarchica di Cracovia. Nella Federazione Polacca alcune compagne e compagni sono particolarmente impegnati sulla questione e, anche prima che ci fosse questa emergenza, avevano creato un gruppo “No Border” che si occupava specificamente delle immigrazioni verso l’Europa. Poi ad Agosto è scoppiato il caos al confine tra la Polonia e la Bielorussia e loro hanno iniziato ad attivarsi anche in quelle zone.

UN: Prima di Agosto, si poteva avere un qualche sentore di quello che stava per accadere?

CC: Onestamente no: la cosa è precipitata a partire dalla repressione del tentativo insurrezionale in Bielorussia e dalle conseguenti restrizioni che l’Europa ha affibbiato al governo bielorusso. Lukasenko si è trovato abbastanza isolato a livello internazionale ed in difficoltà all’interno. Allora ha fatto questa mossa come ritorsione – almeno questa è l’idea che ci si fa da queste parti. Insomma, Lukasenko ha creato ad arte questa crisi dei migranti per fare pressione sull’Europa e lo ha fatto in maniera molto rapida. Per farvi capire: le compagne ed i compagni che vi dicevo prima si occupano da anni dell’immigrazione. Fino a questo momento i percorsi migratori passavano per la Grecia o per la Croazia o altrove. Il confine polacco-bielorusso non era mai stato un percorso migratorio se non per piccoli numeri di persone. La questione esplosa in così poco tempo al confine tra Polonia e Bielorussia evidenzia che si è trattato di un fenomeno costruito ad arte: da un momento all’altro si sono create dal nulla in Bielorussia un gran numero di agenzie turistiche che davano ai migranti senza visto la possibilità di entrare nel paese governato da Lukashenko; sono stati creati voli aerei che prima non esistevano minimamente, ad esempio dall’Iraq o dalla Turchia verso la Bielorussia. Molte persone hanno creduto che così facendo avrebbero potuto avvicinarsi in un colpo solo ai confini dell’Unione Europea, senza i lunghi tratti a piedi che implicano i percorsi migratori tradizionali.

UN: Una volta esplosa la faccenda, come vi siete mossi, come movimento anarchico e non solo?

CC: Le compagne ed i compagni dell’area “No Borders” erano ovviamente pronti/e e si sono mossi/e subito: hanno iniziato col raccogliere materiale e fondi, soprattutto beni di prima necessità. La faccenda si è fatta sempre più difficile: ad Agosto il tempo meteorologico era ancora accettabile ma con l’arrivo dell’autunno e, successivamente, dell’inverno, le cose sono diventate sempre più tragiche. La zona di confine interessata è un’enorme foresta vergine, enormemente difficile da attraversare perché mancano completamente le strade e persino i sentieri. Sono millenni che quella foresta è disabitata dagli uomini. Non ci sono punti di riferimento ed è facilissimo perdersi. Il rifornimento di scarpe, vestiario, sacchi a pelo, ecc. resistenti alla pioggia ed alla neve è stato fondamentale all’inizio e lo è ancora oggi – in quanto le temperature sono sotto lo zero da almeno un mese. Oltre a questo, con i fondi recuperati è stata affittata una casa nei pressi del confine e si utilizzano alcune auto. Fanno girare un numero di telefono di emergenza per poter essere contattati: va tenuto presente che spesso, chi riesce a passare viene rispedito dall’altra parte della frontiera dalle forze di polizia polacche ed allora questo numero, che si passano tra di loro, è fondamentale per essere aiutati. Ogni volta che compagne e compagni incontrano un gruppo di persone che sono riuscite a passare la frontiera gli chiedono di passare il numero a chi è restato indietro, spiegando che non appena in territorio polacco devono farsi trovare e comunicare una lista delle cose di cui hanno bisogno. In ogni caso le persone che in simili condizioni hanno un telefono carico con Internet attivo sono una minoranza: nella maggior parte dei casi, le compagne e i compagni cercano di pattugliare i margini del confine per rintracciare i profughi prima delle forze dell’ordine.

UN: Come siete organizzati? Quali sono le vostre prospettive politiche in questa azione di solidarietà?

CC: A turni. Dei gruppi restano nella casa che funge anche da magazzino. Altri, sempre a turno girano più a ridosso del confine cercando di intercettare i profughi: quando questo avviene, si comunica al magazzino le necessità e parte un auto con i soccorsi richiesti. Ovviamente anche le compagne e i compagni devono arrivare a piedi nella zona, con un sacco a pelo per i soccorsi immediati, perché le auto, anche con targa locale, verrebbero comunque fermate lì vicino. Si è poi deciso di limitarsi a fornire ai profughi l’aiuto materiale e lasciarli liberi di scegliere la propria strada, di proseguire il viaggio come essi desiderano.

UN: Le altre realtà associative di solidarietà come si comportano invece?

CC: Ultimamente non ci sono vere differenze perché la situazione è assai peggiorata e non solo per il numero dei morti al giorno. All’inizio le altre realtà, oltre a svolgere il lavoro di primo soccorso, cercavano di inserirli in un processo di legalizzazione del loro ingresso, specie con richieste di asilo, dato che la Convenzione di Dublino, firmata anche dalla Polonia, prevede che se una persona entra nel territorio polacco occorrerebbe prendere in considerazione le sue richieste, accoglierla in un centro e solo se la richiesta di asilo è respinta rimandarla al paese di origine. La polizia, però, si comporta in maniera del tutto illegale – e non solo su questo punto – e questi loro tentativi di stampo legalitario sono falliti.

UN: Perché le compagne ed i compagni hanno invece preso questa posizione?

CC: Perché non ci interessa rendere “legale” niente e nessuno, per non dire del fatto che statisticamente i tentativi in tal senso vanno a buon fine in un piccolo numero di casi. In ogni caso, ora la situazione è stata compresa da un maggior numero di persone e, comunque, il numero di morti sta aumentando a tal punto che, come dicevo, oramai un po’ tutti puntano al soccorso immediato e lasciano libere le persone di scegliere in che modo proseguire il proprio viaggio.

UN: Oltre ai gruppi di matrice anarchica, quali associazioni si muovono sul terreno? Che rapporti ci sono?

CC: C’è innanzitutto una ONG che si chiama Granica che opera da molto tempo sulla questione della migrazione, sempre nell’ottica legalitaria che dicevo prima. Ci sono anche molte organizzazioni cattoliche, e anche molte persone dei posti interessati hanno creato spontaneamente reti di supporto. All’inizio, ripeto, c’era un po’ in tutte queste altre realtà un’ottica del tipo “cooperiamo con le forze dell’ordine”, “facciamo rispettare la legge” che adesso decisamente non funziona granché. Chiaramente questa differenza d’impostazione ha fatto sì che non ci fosse un coordinamento delle compagne e dei compagni con queste associazioni solidaristiche ma nemmeno un rapporto di conflittualità: si lavora in parallelo e quando si può ci si aiuta. Anche perché tutte e tutti rischiano tantissimo nel fare questa opera di solidarietà.

UN: Parlaci della questione della repressione nei confronti delle iniziative solidali.

CC: Occorre tenere presente che al governo c’è un partito di destra ultracattolico di cui il presidente è espressione, con una maggioranza che gli ha permesso di cambiare molti aspetti della Costituzione. Il grosso della repressione è stato ad ottobre/novembre, ora si è un po’ scemata: hanno creato una zona cuscinetto che va dai tre ai dieci chilometri intorno al confine. Precedentemente era territorio polacco “normale” e se ti ci trovavano dentro non potevano farti niente: con la zona cuscinetto invece multe salatissime e se ti trovavano in compagnia di migranti favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – dai cinque ai sette anni di galera. Adesso hanno fatto un po’ di marcia indietro per fortuna. Dalle testimonianze delle compagne e dei compagni, molto dipende anche dalle singole realtà delle forze dell’ordine che incontri: c’è chi è molto “soft” e chi interpreta alla lettera – ed anche oltre – le ordinanze repressive.

UN: Hai accennato a gruppi che operano una repressione molto dura e, a dir la verità, qui in Italia giungono notizie persino di una sorta di “squadroni della morte” che opererebbero contro i migranti. Tu che sai dirci in merito?

CC: Purtroppo è vero, esistono anche questi gruppi sia in Polonia sia in Bielorussia. Una testimonianza diretta ci ha parlato di profughi che vengono spinti a forza dentro le acque ghiacciate – il che data la situazione significa morte quasi sicura di lì a poco. Tra l’altro, per superare il confine è necessario attraversare spesso fiumi e ruscelli; la gente muore in questo modo a prescindere dagli “squadroni della morte”. Morti poi che sono quasi certamente tantissimi, oltre quelli che dice il governo polacco: le testimonianze degli abitanti della zona parlano di moltissimi cadaveri che trovano in continuazione.

UN: Che sapete del lato bielorusso?

CC: Che la situazione è ancora peggiore, dato che la repressione seguita al tentativo di rivoluzione è stata feroce e quindi ci sono pochissimi gruppi organizzati. In generale il movimento anarchico e quello di opposizione presenti nel paese, sono in ginocchio con molti militanti fuggiti o in galera con molti anni da scontare. Di conseguenza le notizie peggiori dal punto di vista che dicevamo prima ci arrivano da quel lato lì della frontiera. Notizie che ci arrivano sia da testimonianze dirette sia da comunicazioni sul numero di emergenza.

Intervista Redazionale

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