A proposito di scienza: razionalismo e anarchismo

di Tiziano Antonelli

La crisi pandemica ha provocato, fra le altre cose, un dibattito sul tema della scienza all’interno dei soggetti politici antagonisti e all’interno del movimento anarchico, che ha assunto spesso toni di tifo da stadio.
Di solito quanti seguono e ammirano la ricerca scientifica dall’esterno hanno più fiducia nei suoi risultati di coloro che vi prendono parte. Questo fenomeno è amplificato dalla nascita di lobbies che hanno per scopo di legare la ricerca scientifica ai decisori politici e alle istituzioni economiche, in modo da garantire ad essa un flusso continuo di finanziamenti ed impedire la nascita di un dibattito aperto sull’utilità di certi filoni di ricerca. Un esempio è il Patto trasversale per la scienza, che sta giocando un ruolo importante nel dibattito pubblico in Italia, con posizioni filogovernative, autoritarie ed elitarie.
Sono solo un dilettante di filosofia, è mia intenzione comunque contribuire a questo dibattito condividendo alcune riflessioni che ho sviluppato leggendo l’opera di Hans Reichebach “La nascita della filosofia scientifica”.
Hans Reichenbach (1891-1953) è stato esponente fra i più cospicui della filosofia della scienza e della filosofia empiristica della prima metà del secolo scorso; intraprese ricerche basilari intorno ai principi della relatività einsteniana e all’interpretazione della geometria, ai problemi della probabilità e dell’induzione, ai fondamenti della causalità e della meccanica quantistica, occupandosi anche estesamente di logica matematica e delle sue applicazioni nell’analisi della conoscenza scientifica.
Il libro da cui ho tratto ispirazione rappresenta il suo ultimo lavoro ed è un manuale introduttivo allo studio della filosofia della scienza fino alla metà del secolo scorso ed un quadro d’insieme delle posizioni di Reichenbach.
Fra l’altro, questo libro rappresenta un’energica presa di posizione contro il razionalismo.

Contro il razionalismo

Reichenbach definisce come razionalismo la corrente filosofica secondo cui la ragione di per sé è fonte di conoscenze relative al mondo fisico; a questa concezione va collegato anche l’aggettivo razionalistico. Il sostantivo e l’aggettivo non vanno però confusi con l’attributo “razionale”. Seguendo questa distinzione, possiamo affermare che la conoscenza scientifica è razionale, perché si raggiunge attraverso l’applicazione della ragione ai dati sensibili, ma non è razionalistica. Tale termine fa riferimento al metodo filosofico secondo cui le conoscenze sintetiche raggiunte attraverso la ragione sono indipendenti da ogni verifica empirica.
Reichenbach, per esemplificare le varie forme che assume il razionalismo, analizza i sistemi di alcuni filosofi, Platone, Cartesio e Kant, notando come, pur nell’evoluzione dell’approccio di pari passo con la conoscenza scientifica, questi abbiano in comune la ricerca di verità assolute, “sintetiche a priori” le definirà Kant, sul tipo di quelle su cui si basa la matematica e in particolare la geometria euclidea. L’approccio razionalistico di Kant supera quello dei suoi predecessori perché, nella ricerca della certezza, abbandona sia il mistico fondamento della visione delle idee, sia l’uso di proposizioni vuote. Kant basa il suo sistema sulla scienza del suo tempo, come fonte di certezza: nella sua riflessione, la conoscenza della natura aveva raggiunto la propria forma suprema con la fisica newtoniana, che idealizzò traducendola in un sistema filosofico; ritenne così di essere arrivato alla completa razionalizzazione del sapere. Il sistema filosofico elaborato da Kant può quindi essere considerato una sovrastruttura ideologica costruita su teorie fisiche basate su spazio, tempo e determinismo naturale assoluti.
Il crollo del modello di Newton e della sua fisica ha privato di ogni base scientifica il sistema kantiano, riducendolo a documento di un’epoca, a tentativo di appagare il bisogno di certezza.
Con l’avvento della fisica di Einstein e di Planck il pensiero di Kant ha perso ogni funzione in campo scientifico.
Proprio l’esempio di Kant ci mostra il rischio permanente che corre il filosofo della scienza e in generale quanti la seguono e la ammirano. Agli occhi di Reichenbach, il filosofo della scienza appare come il discepolo più fanatico del profeta; in questo ruolo, rischia di concedere alla conoscenza scientifica una fiducia maggiore di quella giustificata dai suoi risultati, raggiunti provvisoriamente mediante l’osservazione e la generalizzazione.
Questo atteggiamento è caratteristico dell’età moderna, caratterizzata dalla nascita della nuova scienza. La convinzione che la scienza possa risolvere tutti i problemi, si è diffusa e rafforzata a tal punto che la scienza ha finito per assolvere alla stessa funzione sociale svolta un tempo dalla religione e dalla Chiesa: la funzione di dispensatrice di certezze. In questo senso, la fede religiosa sopravvive come forma particolare nella misura in cui è compatibile con la scienza.
L’Illuminismo in particolare, di cui anche Kant fa parte, trasformò l’esperienza religiosa nel culto della ragione; fece del dio cristiano un matematico e uno scienziato onniscente.
Di pari passo, matematici, fisici, biologi, virologi ed ogni sorta di scienziati sono stati considerati come sacerdoti dotati dell’infallibilità, e i loro insegnamenti sono stati posti alla base del crescente autoritarismo, democratico o dittatoriale.
Come dice Reichenbach: “Tutti i pericoli della teologia, il suo dogmatismo e le sue autoritarie pretese legati alle promesse di certezza, riaffiorano nelle filosofie che sostengono l’infallibilità della scienza”.
Il razionalismo applicato alla questione sociale ha portato gravi danni, lutti e tragedie, come dimostra la storia del movimento operaio.

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