Non passa giorno senza che l’Expo ci stupisca con i suoi effetti speciali: l’ultimo in ordine di tempo è quello delle “liste di proscrizione”, una faccenda dalle tinte kafkiane che rivela quale sia la reale essenza della esposizione internazionale di casa nostra.
Ricostruire la vicenda non è cosa semplice data la pervicace ritrosia della grande stampa a dare un’immagine dell’Expo che non sia quella di una paciosa e festaiola kermesse al cui interno si aggirano famigliole stupefatte e torme di indaffarati volontari.
Ma veniamo ai fatti, secondo quanto è stato rivelato da alcuni organi di stampa non del tutto allineati.
Pochi giorni prima della apertura dell’Expo, alcune centinaia di persone (qualcuno parla addirittura di 500), assunte per lavorare all’interno del sito dopo avere effettuato i corsi di formazione oppure già accreditate per svolgere il loro lavoro di giornalista o interprete, si sono viste di punto in bianco ritirare il “pass” necessario per accedere all’area espositiva e, conseguentemente, sono state licenziate in tronco oppure non hanno potuto svolgere la loro professione.
A nulla sono valse le proteste e le richieste di chiarimenti sul perché della loro improvvisa esclusione. No pass? No lavoro!
Questa una delle testimonianze rilasciate a Radio Popolare di Milano: “Il 9 aprile sono stato assunto regolarmente da Coop Lombardia per lavorare al Supermercato del futuro, dentro Expo. Ho seguito la formazione teorica e l’addestramento pratico. Nessun problema fino al 30 aprile.
Chiamati dall’azienda, io e altri due ragazzi - che poi ho scoperto essere nella mia stessa situazione - restiamo in attesa fuori dall’ufficio del personale. Quando entro mi dicono: «Ci dispiace ma il nostro rapporto termina qui. Per ragioni a noi sconosciute la Questura ha negato il suo pass».
Sono cascato dalle nuvole, ho chiesto spiegazioni, hanno detto che la Polizia non gliene aveva date. Solo che aveva «respinto la richiesta». Così mi hanno licenziato seduta stante dicendomi che ero stato assunto per l’Expo e il fatto di non poter entrare era sufficiente a lasciarmi a casa”.
In assenza di motivazioni ufficiali e considerato che il malcapitato ha la fedina penale immacolata, una spiegazione potrebbe essere “ Da studente universitario ho partecipato alle proteste dell’Onda contro la riforma scolastica di Mariastella Gelmini e frequento spazi sociali”.
Ed ecco un’altra testimonianza raccolta ancora una volta da Radio popolare: “Avrei dovuto lavorare al Padiglione della società civile come “addetta al programma culturale”. Il giorno prima di cominciare mi è stato detto, dal datore di lavoro costernato, che il pass era bloccato dalla questura. Io sono incensurata! Ho lavorato a Roma per una cooperativa che si occupava di richiedenti asilo, ma non può essere una “macchia” !
Man mano che il numero dei “cacciati” si ingrossava, e che molti di costoro si rivolgevano a sindacati e autorità varie per fare valere le proprie ragioni, la questione ha iniziato a diventare di pubblico dominio in città.
Ed è qui che ha inizio il rimpallo delle responsabilità tra la Società Expo e la Questura.
La prima afferma di avere ricevuto da via Fatebenefratelli (sede della Questura di Milano) una serie di segnalazioni circa la presunta “inadeguatezza” degli espulsi a svolgere una attività all’interno dell’Expo, mentre la seconda si limita a invitare gli interessati a chiedere ragione dell’allontanamento alla Società Expo.
A quanto pare, la Questura avrebbe ricevuto dalla società Expo la lista dei nominativi degli addetti e a sua volta l’avrebbe ritornata al mittente segnalando i profili di pericolosità di singoli addetti basati su quanto risulta dalle informative conservate presso le questure locali.
Informative che – come dimostrano i due casi citati – non riguardano condanne o procedimenti penali in corso ma, più semplicemente, una condotta considerata “rischio”.
Ne consegue che se il signor XYZ è stato notato anni addietro mentre partecipava ad una manifestazione e questo risulta alla questura della città di residenza, ecco che parte la procedura di segnalazione.
Che poi il suddetto XYZ abbia ad oggi una fedina penale del tutto immacolata e che abbia partecipato ad una sola manifestazione in tutta la sua vita, poco importa. La segnalazione è partita e XYZ viene escluso dall’Expo
Nel frattempo stanno fioccando diffide e cause di lavoro nei confronti degli ex-datori di lavoro e della società Expo promosse sia dalla Cgil che dalla Rete di San Precario per violazione dello Statuto dei lavoratori e della legge sulla Privacy.
Dice la Cgil “Nessuna istituzione ci ha risposto su quali siano i criteri in base ai quali vengono negati o concessi i pass. Né è stato indicato quale ordinanza o disposizione di legge autorizzi Expo a fare questi controlli. E non è mai stato firmato alcun protocollo a riguardo”.
Viene a questo punto da chiedersi (ancora una volta, dopo la sporca vicenda dei contratti CNAI) a cosa siano serviti i vari “Protocolli” firmati ad occhi chiusi dalla Triplice sindacale che di tutto si erano occupati, meno che del fatto che si potesse mettere in atto una palese discriminazione di natura politica, esattamente come quella che ha avuto come oggetto una nota circolare del ministero della Pubblica Istruzione, che vieta l’ingresso nel sito espositivo a chi indossa vestiario con connotati politici o – comunque – in qualche modo “sospetti”.
Come ha commentato un avvocato di San Precario “Siamo ancora in uno Stato di diritto, anche un carico penale non può essere oggetto di discriminazione. Chi decide chi può essere assunto? La questura?”. Lo Statuto del 1970 all’articolo 8 recita : “È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”. “Si stanno rimpallando le responsabilità», continua l’avvocato, che ha chiesto di poter visionare gli atti della questura che hanno portato al licenziamento del suo assistito. Il fatto è che non ci sono carte scritte”.
Da parte del governo, il vice ministro degli interni Bubbico ha dichiarato a Radio popolare “Ci sono delle attività di prevenzione i cui criteri non possono essere resi noti perché perderebbero di efficacia”.
Una dichiarazione di rara vaghezza che apparentemente non chiarisce nulla, ma che in realtà conferma ancora una volta l’eccezionalità dell’Expo, dichiarato “sito di interesse strategico nazionale” al pari del cantiere TAV in Val Susa o delle discariche in Campania, quelle stesse discariche che, anni dopo, sono risultate come la causa dell’irrimediabile inquinamento della falda acquifera.
Uno strumento a disposizione dei governi per sottrarre “manu militari” il controllo della cittadinanza su un bene comune e del quale in questi ultimi anni si sta pericolosamente ampliando l’utilizzo.
Nel caso dell’Expo, un mezzo per assegnare uno status di extraterritorialità ad una porzione di territorio al cui interno si può fare di tutto: ad esempio stipulare contratti di lavoro in totale deroga a quelli attualmente vigenti sul territorio nazionale oppure utilizzare a man bassa il lavoro gratuito (spacciato come occasione che farà curriculum).
Oppure, ed è questo il caso, privare di un lavoro (quale che sia) coloro che, a insindacabile giudizio delle Questure, sono considerati “pericolosi” ed ai quali viene spiegato – papale papale - che nei loro confronti è stata posta in essere una palese selezione basata su (pre)giudizi di natura politica; cosa che, di questi tempi grami, per qualcuno può rappresentare la differenza tra il sopravvivere e l’annegare.
Altro che luogo per famiglie e scolaresche, altro che slogan tanto eclatanti quanto intrinsecamente falsi. L’Expo è la bieca prefigurazione di uno “Stato di eccezione” permanente al quale ci vorrebbero gradatamente abituare ma contro il quale ci dobbiamo invece opporre con tutte le nostre forze.