Lo sciopero del 27 ottobre è per sua stessa natura una mobilitazione generale su una piattaforma che riguarda l’assieme delle lavoratrici e dei lavoratori occupati e disoccupati, italiani ed immigrati, etc. Ovviamente è su questa caratteristica, sulla capacità di coinvolgere non solo il tradizionale lavoro dipendente, ma il lavoro precario, quello autonomo/subordinato e i movimenti a difesa dell’ambiente, del welfare che dobbiamo porre l’accento.
All’interno di questa prospettiva è d’altro canto necessario avere idee chiare su quali obiettivi ci proponiamo per i contratti in scadenza e, in particolare, visto che chi scrive opera in questo settore, di quello della scuola. Partiamo, com’è necessario quando si parla di contratti, dai dati.
TRO E CONTRO LA BUONA SCUOLA
Banalità di Base
Il blocco dei contratti nella scuola ha determinato fra il 2010 e il 2017 la perdita media in totale per ogni lavoratrice o lavoratore di 12.000 euro: si va dai collaboratori scolastici – i peggio pagati – che perdono a seconda dell’anzianità di servizio dagli 8.000 agli 11.000 euro, ai maestri delle scuole elementari e materne che perdono dai 10.000 ai 16.000 euro, ai docenti delle scuole medie che perdono dai 12.000 ai 18.000 euro, a quelli delle scuole superiori che perdono dai 12.000 ai 19.000 euro.
D’altro canto, nonostante gli stupidi luoghi comuni diffusi a piene mani dall’avversario, i docenti delle scuole italiane sono ai primi posti per orario e carichi di lavoro e gli ultimi per retribuzione nel contesto europeo. Questi dati si comprendono appieno se si tiene conto del fatto che la spesa per la scuola pubblica, come per altro l’assieme del welfare, in Italia, è fra le più basse in Europa con l’effetto che la formazione delle giovani generazioni è condannata a un degrado crescente malamente mascherato da continue riforme ed aggiustamenti che non fanno che aggravare la situazione.
È bene, a questo punto, ricordare che la spina dorsale di ogni contratto è la quantità di risorse disponibile, la sua ripartizione sulla base dei profili e dell’anzianità, la relazione fra quota di paga base e quota variabile del salario che viene previsto.
Per quel che riguarda il contratto prossimo venturo è inoltre evidente che dovrà affrontare, dal punto di vista normativo, le novità susseguitesi in questi anni – in particolare la “Buona Scuola” – e che il governo tenterà in ogni modo di rendere coerente il contratto alla scuola nuovo modello. Agire sul contratto, di conseguenza, è condizione ineludibile se si vuole combattere effettivamente il modello di scuola che in questi anni è venuto formandosi.
Perché la questione salariale è pienamente una questione politica?
Da decenni ormai la politica dei diversi governi per quel che concerne le retribuzioni del personale della scuola – e non solo – ha una costante: ridurre molto la paga base ed incrementare, ovviamente in misura decisamente minore, la parte di retribuzione legata a prestazioni aggiuntive o comunque a discrezione dei dirigenti. L’obiettivo immediato, sin troppo trasparente, di questa politica delle retribuzioni è evidente: favorire una guerra di tutti contro tutti per ritagliarsi una fetta di salario accessorio mentre il salario reale medio, come abbiamo visto, cala a picco.
Ciò avviene però all’interno di un processo di impoverimento, precarizzazione ed aziendalizzazione della scuola pubblica che consegna al sistema delle imprese il comando sulla scuola e garantisce una formazione di qualità solamente alle classi dirigenti.
È chiaro infatti che nel momento in cui i singoli istituti, privati delle risorse necessarie (non si parla forse di “affamare la bestia” nella letteratura neoliberista?), sono costretti a cercare risorse dai privati, e visto che, come è ovvio, chi paga l’orchestra sceglie la musica, si determina il fatto che gli interessi privati dominano sempre di più la scuola. Nello stesso tempo l’aumento del potere dei dirigenti rende gli istituti scolastici sempre più simili, e negli obiettivi (recuperare risorse) e nella forma e nelle modalità organizzative (forte gerarchizzazione del lavoro), ad imprese private.
Contratto scuola, narrazioni e realtà effettuale
Proviamo ora a fare una simulazione immaginando di valutare la questione senza essere parte in causa e sulla base dei dati disponibili anche al grande pubblico. Partiamo da un articolo de “Il Fatto Quotidiano” del 9 settembre 2017 intitolato “Scuola, in 7 anni ‘scippati’ 12 mila euro a lavoratore”. Invitiamo naturalmente tutte e tutti a leggerlo, qui ci limitiamo a rilevare che riporta dei dati interessanti e dettagliati su quanto hanno perso negli ultimi 7 anni mediamente i lavoratori della scuola.
Se quindi ci si proponesse semplicemente di riallineare la retribuzione a quella di 7 anni addietro e di recuperare quanto già perso sarebbe necessario, con ogni evidenza, chiedere un forte incremento salariale, a tenersi bassi del 10%.
La ricerca in questione è stata commissionata dalla FLC-CGIL del Piemonte, il cui segretario propone, al contrario, di incrementare le risorse per la contrattazione d’istituto e cioè sul salario variabile e di ricondurre nella contrattazione i 500 euro del buono premiale. Colpisce, insomma, lo scarto impressionante fra presa d’atto della situazione e modestia e incongruenza delle rivendicazioni che ne conseguono.
Vale la pena a questo punto di tenere conto della situazione degli stipendi dei docenti delle scuole europee, dalla quale risulta con ogni evidenza che le retribuzioni medie degli insegnanti italiani sono poco più che la metà di quelli tedeschi ed inferiori a quelle degli insegnanti di nazioni certo non ricche quali la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo e, sia pur di poco, la Francia.
È interessante rilevare che questi dati sono stati elaborati dalla UIL Scuola che, peraltro, ha firmato, assieme a CGIL e CISL, un accordo con il governo che prescinde totalmente dai dati che la stessa UIL Scuola diffonde.
Se guardiamo poi un’altra leggenda metropolitana e cioè la tesi che le basse retribuzioni degli insegnanti italiani sono in relazione ad un eccesso di occupati nella scuola, scopriamo che, sull’assieme della popolazione, gli insegnanti sono meno della media di quelli dell’Unione Europea e straordinariamente meno rispetto a quelli svedesi o inglesi.
La piattaforma dei sindacati concertativi
Vediamo ora cosa ci propongono CGIL-CISL-UIL con l’accordo sulla contrattazione del pubblico impiego firmato col Governo.
In cambio di una riattivazione della concertazione fra governo e sindacati istituzionali, hanno accettato aumenti medi, lordi, divisi fra paga base ed accessoria, a regime di 85 euro. In concreto, meno di un terzo di quanto, come abbiamo visto, sarebbe il minimo per recuperare quanto abbiamo perso in questi 7 anni.
La logica che sottende quest’accordo è di comprensione sin troppo facile: si tratta molto semplicemente per i sindacati istituzionali di recuperare un ruolo in quanto partners di governo e padronato e, a questo obiettivo, viene sacrificata qualsiasi altra esigenza – in primo luogo quelle dei lavoratori.
Un inverno lungo più di due anni
Nei più di due anni che sono seguiti allo sciopero contro la Buona Scuola nel maggio del 2015, i lavoratori della scuola sembrano essere piombati in un letargo assoluto. Eppure è questo il momento in cui dobbiamo lanciare una campagna sul contratto che preveda la diffusione di una documentazione puntuale, la presentazione di proposte che dobbiamo discutere nelle assemblee di scuola, il maggior numero possibile di assemblee nelle scuole nonostante le mille difficoltà che la normativa frappone, la costruzione di momenti di approfondimento e di iniziative di propaganda il più possibile efficaci.
Uscire dal letargo
Lo sciopero generale che stiamo costruendo dovrà quindi nella scuola stimolare una ripresa d’iniziativa forte dopo due anni di desolante passività che hanno fatto seguito alla mobilitazione del maggio 2015 contro la “Buona Scuola”. Allora, infatti, il governo impose l’ennesima riforma nonostante l’opposizione della grande maggioranza dei lavoratori della scuola. L’effetto è stato quello di determinare l’idea che fosse inutile agire ed il conseguente sbandamento – per altro favorito o quantomeno non contrastato dai sindacati concertativi che, come abbiamo visto, si sono accontentati di risorse miserevoli per il prossimo contratto in cambio della restaurazione, appunto, della concertazione e quindi del loro ruolo e del loro potere.
Un caso sin banale di scambio fra gli interessi delle organizzazioni sindacali istituzionali e gli interessi dei lavoratori, uno scambio che può funzionare solo nella passività dei lavoratori, favorita anche da una legislazione antisciopero già ora vessatoria e in tendenza ancora peggiore.
Che fare?
È a mio avviso evidente che per quanto riguarda la scuola, come per l’assieme dei lavoratori, si tratta di trarre insegnamento dallo sciopero dei trasporti del 16 giugno, legando la denuncia della situazione e la proposta di una piattaforma radicalmente alternativa a quella dei sindacati istituzionali ad una ripresa del conflitto e al coinvolgimento del maggior numero possibile di forze.
Si tratta insomma, per un verso di essere una minoranza, come siamo – ci piaccia o meno – ma non minoritaria, al contrario capace da un lato di esprimere le esigenze della grande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori, e, dall’altro lato, di operare ad allargare il fronte della mobilitazione nella chiarezza degli obiettivi e, nel contempo, nella capacità di confrontarci e definire iniziative comuni con tutti coloro che sono disponibili.
Cosimo Scarinzi