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Catalogna, Indipendenza Sì-No!

Catalogna, Indipendenza Sì-No!

Proclamata oggi l’indipendenza della Catalogna e subito sospesa… Questo articolo punta a capire il perché. Il mio cognome è catalano, sono di famiglia basca-catalana (esiliata in Francia durante il franchismo), madrelingua castigliana… Vivo a Napoli. Come Errico Malatesta, non odio le patrie, odio i patriottismi. Ci sono nazioni, intese come comunità culturali, ci costruiamo anche le nostre patrie partendo dalla lingua, dalle letture, dalle inclinazioni, dalle amicizie, dal vissuto, dal cuore, dal caso. Le mie patrie non hanno niente a che vedere coi confini, con una carta d’identità, con una residenza o un lavoro… Né spagnolista né catalanista, internazionalista.

DICHIARAZIONE DI INDEPENDENZA DELLA CATALOGNA

Dichiarazione del 2017

Il president della Comunidad Autónoma de Cataluña, Carles Puigdemont, compariva in Parlamento (camera regionale), il 10 ottobre alle 18:00 e ci si aspettava che nel rispetto della legge referendaria catalana (sospesa dal Tribunale Costituzionale) ed alla vista dei risultati, pronunciasse la DIU ovvero Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza della Catalogna. Alle 19:35, sotto un’uragano di applausi, diceva: “Giunti a questo momento storico, e in quanto presidente della Generalitat, assumo, presentando presentare i risultati del referendum davanti al parlamento e ai nostri concittadini, il mandato del popolo perché la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica.” Ma dopo aggiungeva: “E con la stessa solennità, propongo assieme al Govern che il Parlament sospenda gli effetti della dichiarazione di indipendenza perché nelle prossime ore si possa iniziare un dialogo senza il quale non è possibile giungere a una soluzione pattuita”.[NdR: l’autrice utilizza, per esempio, il catalano «president» e simili per indicare le istituzioni catalane, l’italiano «presidente» e simili per indicare le istituzioni spagnole]

Questa non è stata la prima dichiarazione unilaterale di creazione di uno Stato catalano, si deve infatti ricordare il 1931 e 1934, ma in entrambi i casi la faccenda si fermò qui. La prima volta tutto si risolse scendendo a patti con una cessione di autonomia alla Catalogna e la seconda volta con la repressione. In realtà non si era risolto niente giacché oggi la situazione è la stessa con la stessa domanda: come risponderà il governo spagnolo? Cercherà di risolvere il conflitto scendendo a patti come nel 1931? Magari con una cessione dell’IRPEF del 100 anziché l’attuale 50% di autonomia fiscale (il “patto fiscale” sarebbe l’equivalente del Concerto Economico in vigore per il Paese Basco e Navarra in virtù dei loro antichi fuero) o vorrà imporre la legge con la forza pubblica come nel 1934, sospendendo l’autonomia della Catalogna e processando i ribelli allo Stato delle Autonomie?

Se il President catalano con la sua aggiunta dopo la dichiarazione, vuole una terza via mai vista, scendere a patti ma per ottenere il riconoscimento dell’indipendenza e non per rinunciare a essa, direi che non ci riuscirà. Se vuole soltanto avere dichiarato l’indipendenza per non fare una brutta figura (perché non è in grado di affrontare i carri armati dello Stato spagnolo e la rovina economica provocata dall’apparato finanziario europeo, anche perché vuole anche fare parte di questo sistema capitalistico) ma intende in realtà ottenere il patto fiscale, forse ci riuscirà, forse no, perché il Presidente spagnolo è stato chiaro, non c’è niente da negoziare, farà applicare la legge. Per non dire ovviamente che Rajoy sicuramente prenderà male che voglia negoziare dopo di una chiarissima dichiarazione unilaterale di indipendenza

Dichiarazione del 1931

Ezquerra Republicana de Catalunya, partito fondato nel 1931 per presentarsi alle elezioni municipali come primo partito repubblicano, laico, di sinistra, riuscì a rompere l’astensionismo anarchico operaio e fu il più votato in Catalogna. Di conseguenza ,Alfonso XIII di Borbone si esiliò e fu proclamata la Seconda Repubblica Spagnola il 14 aprile 1931. Francesc Macià di ERC dichiarò subito la Repubblica catalana come “Stato integrante della Federazione Iberica” lo stesso giorno. Tre giorni dopo, rinunciò all’indipendenza in cambio dell’elaborazione di un progetto di Statuto di Autonomia. In quel momento si stabilì l’immediata creazione di un’istituzione di autogoverno, la Generalitat di Catalunya che fu costituita con un Governo presieduto da Macià e una Assemblea provvisoria.

Dichiarazione del 1934

È scoppiata la Rivoluzione delle Asturie o di Ottobre di contadini e minatori dopo la repressione attuata da un Governo di destra di uno sciopero generale convocato dalla socialista UGT in primavera (1933-1936). Il Partito Nazionalista Basco PNV, di destra, cattolico e di tradizione campanilista, non appoggiò la Rivoluzione operaia di sinistra, la quale fu soffocata in qualche giorno in Vizcaya. In Catalogna, alla morte di Francesc Macià nel 1933, Lluís Companys, di ERC, gli successe alla presidenza della Generalitat. Ci fu uno scontro tra il Governo centrale di destra e la Generalitat di sinistra in occasione dell’approvazione dal Parlament della Legge di Contratti di Coltivazioni favorevole per i contadini affittuari. La conservatrice Lliga Catalanista presentò ricorso in difesa dei possidenti e questa fu dichiarata incostituzionale, anche se il Governo finì col cedere a favore della Legge. Per cui la Rivoluzione di Ottobre scoppiò anche a Barcelona: Lluís Companys proclamò lo Stato Catalano dentro la Repubblica Federale Spagnola il 6 ottobre 1934. La Generalitat fu bombardata lo stesso giorno, Companys e tutto il Govern accusati del reato di ribellione e nel giugno 1935 condannati a 30 anni di carcere. Lo Statuto rimase sospeso fino alla vittoria del Fronte Popolare nel 1936, anno in cui Lluís Companys tornò a occupare la presidenza della Generalitat.

REFERENDUM ILLEGALE 2017 IN CATALOGNA: I OTTOBRE / CONSULTAZIONE ILLEGALE 2014: NOVE NOVEMBRE

Le schede elettorali

Il 9 novembre 2014, il Governo catalano presieduto da Artur Mas poneva, in catalano e in castigliano, due domande in una “Consultazione sul futuro politico della Catalogna”: “Vuole che la Catalogna sia uno Stato?” e “In caso affermativo, vuole che la Catalogna sia uno Stato indipendente?” (Con due possibilità di risposta Sì o No per chi avesse risposto Sì alla prima domanda nella parte sinistra della scheda).

Il president della Generalitat, Carles Puigdemont convocò a giugno 2017 un “Referendum di autodeterminazione della Catalogna” per il primo ottobre con una domanda in catalano, castigliano e “aranés” (lingua occitana parlata nella Valle do Arán al confine della Francia e dell’Aragona, protetta dagli Statuti di Autonomia della Catalogna del 1979 e dichiarata ufficiale in Catalogna quello del 2006): “Vuole che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?” (Con due possibilità di risposta : Sì o No).

Comparazione delle due consultazioni

Si può osservare che con la doppia impostazione del 2014 era consentito esprimersi sia a chi che voleva uno statuto diverso dell’indipendenza del nuovo Stato catalano rispetto alla Spagna (ad esempio uno Stato Libero Associato come quello di Porto Rico con gli Stati Uniti o un modello federalista, ecc.) sia a chi voleva direttamente l’indipendenza della Catalogna. Col referendum del 2017 invece non c’è altra scelta se non quella di rispondere direttamente alla domanda dell’indipendenza. É anche più ardito che la consultazione del 2014 poiché propone direttamente un cambiamento di regime dalla monarchia alla repubblica in caso di indipendenza.

Il 9 Novembre, nella consultazione (per definizione non vincolante rispetto a un referéndum) votavano tutti i catalani di più di 16 anni con residenza in Catalogna, inclusi quelli residenti all’estero ed i migranti che risiedevano in Catalogna.

Nel 2017, l’articolo 6 de la Legge di referendum approvata dal parlament a settembre e invalidata dal Tribunale Costituzionale, chiama al voto tutti i catalani con diritto di voto al Parlament quindi escludendo minorenni e migranti.

Il 9 Novembre, l’adesione delle amministrazioni comunali fu altissima, parteciparono nella consultazione 942 dei 947 municipi de Cataluña. Il I ottobre è stata soltanto del 74%: 720 municipi. La participazione nel 2014 è stata di 2.344.828 persone. L’90,91% votò Sì-Sì, il 10,02% Sì-No e il 4,49% No.

La partecipazione nel 2017 è stata di 2.262.424 persone, il 37,8% di un ipotetico censimento elettorale, cioè meno del 27% della popolazione poiché gli stranieri ed i minorenni non votavano. L’astensione dal voto sarebbe stata del 58%. Il 90% delle schede sono state per l’indipendenza, 2.020.144. Il No ottiene 176.666 voti, il 7% del totale. Lo 0,89% sono stati voti nulli ed il 2% bianchi. L’ex-presidente della Generalitat Artur Mas aveva ribadito che era cruciale che andasse a votare più gente il primo ottobre rispetto al 9 novembre; non è stato così. È anche vero che, per colpa della chiusura di alcuni collegi elettorali dalle forze dell’ordine, circa 670.000 persone che vi erano registrate potrebbero non aver potuto votare, ma non si sa con certezza perché la gente poteva anche votare quasi senza controllo in qualsiasi altro collegio elettorale, pure più volte. Infatti, secondo la Generalitat, il 96% dei collegi era aperto.

È difficile interpretare poiché non c’erano garanzie di censimento, di votazione e di scrutinio, però dai risultati si può dedurre che si sono mobilitati quelli che volevano l’indipendenza. Soprattutto nel 2017 per un referendum vincolante pur nell’illegalità.

Gli anarchici: Indipendenza della catalogna Sì – No

Ma vogliamo essere ancora più arditi? Nel 2014 il No nella parte destra della scheda non includeva la casella per rispondere alla seconda domanda. Si poteva soltanto rispondere Sì + Sì o Sì + No o No. Tuttavia gli anarchici propugnarono la via rivoluzionaria del No + Sì. No a un nuovo Stato. Sì all’indipendenza. Fino a spingere a rettificare la scheda con la penna o fabbricare la propria scheda come si vede nella foto con la proposta No a un nuovo Stato, Sì a un paese di Assemblee confederate. Vedere foto delle due schede ufficiali e della scheda alternativa degli anarchici. La risposta degli anarchici fu la stessa nel 2017.

DALLA LEGALITÀ ALL’ILLEGALITÀ

Il referendum del 1931 in Catalogna

La Costituzione del 1931 approvata il 9 dicembre per il Parlamento instaurava uno “Stato integrale” in cui “una o varie province limitrofe” potevano “organizzarsi in regione autonoma per costituire un nucleo politico-amministrativo dentro lo Stato spagnolo” (per conciliare posizioni di unionisti e federalisti tra il fallimento della I Repubblica 1873-1874). La Commissione capeggiata da ERC si riunì a Núria per stendere uno statuto di autonomia. Lo Statuto di Núria che definiva la Catalogna come uno “Stato autonomo dentro la repubblica Spagnola” fu approvato ad agosto tramite un referendum in Catalogna col 99% di Sì. Il Parlamento lo approvò a settembre 1932 malgrado una forte campagna della destra contro il “separatismo catalano”, eliminando però del testo il diritto di autodeterminazione e gli articoli di sovranità (creazione di una cittadinanza catalana, diritto di incorporare nuovi territori, il catalano come unica lingua ufficiale). La Catalogna diventava una “regione autonoma dentro lo Stato Spagnolo” con due lingue ufficiali. A novembre 1932 ci furono le prime elezioni della Comunità Autonoma – o Autonomia – della Catalogna.

Il referendum del 1979 in Catalogna

La Costituzione del 1978 andò più lontano creando lo Stato delle Autonomie (tutte le province dovevano raggrupparsi in comunità autonome) ma sempre nell’interno di una “patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli” esigendo poi assieme al “diritto all’autonomia delle ‘nazionalità‘ e regioni che la compongono”, “la solidarietà tra tutte loro”. Lo Stato ha la competenza esclusiva in materie di interesse generale o che oltrepassano il territorio della Comunità Autonoma, e in materie di legislazione basica.

La Costituzione autorizza lo Stato a cedere competenze alle Comunità Autonome se ne esprimono la volontà ma nessuna in esclusiva, possono soltanto portare le proprie modalità di svolgimento ed esecuzione. Ogni Comunità autonoma ha un proprio Governo (la Generalitat per la Catalogna) con un Presidente (il President) e Assessorati (gli assessori sono l’equivalente regionale dei ministri) del Governo (Govern). Il suo Tribunale Superiore di Giustizia dipende dal Tribunale Supremo. Lo Statuto di Sau fu approvato tramite un referendum in Catalogna il 25 ottobre 1979 (88,14% di Sì). Il Parlamento spagnolo lo approvò a dicembre però con emendamenti che erano un passo indietro rispetto allo Statuto di Núria: ad esempio creava un delegato del Governo in ogni Comunità autonoma. La competenza di educazione, prima esclusiva, diventava soltanto piena.

Il referendum del 2006 in Catalogna

Col passo degli anni, bisognava riformare gli Statuti di autonomia dopo del loro svolgimento. Così lo Statuto catalano riformato fu approvato dal Parlament a settembre 2005 con l’unica opposizione del PP (Partito Popolare). Parlava dello “svolgimento di uno Stato plurinazionale” in riferimento alla Spagna e nell’articolo 1 dichiarava: “La Catalogna è una nazione”, una parola di diritto esclusivo per la Spagna nella Costituzione. Emendato dalla Commissione Costituzionale del parlamento, il preambolo (quindi senza forza di legge) affermò con carattere descrittivo (e non definitorio) che “il Parlamento della Catalogna ha definito la Catalogna come una nazione” ma soltanto gli articoli sono vincolanti, l’articolo 1 non cambia rispetto allo Statuto del 1979: “La Catalogna, in quanto nazionalità, esercita il suo autogoverno costituendosi in Comunità Autonoma, conformemente alla Costituzione e al presente Statuto”. La cessione dell’IRPEF passava al 50%. Il Parlamento approvò lo Statuto riformato il 31 marzo 2006 coi voti contro di PP, EA e ERC che rifiutava gli emendamenti). Ciononostante, l’art. 3 proclamava “La Generalitat è Stato”; l’art. 5 “l’autogoverno della Catalogna si fonda sui diritti storici del popolo catalano”; l’art. 6 sulle due lingue ufficiali “il diritto e il dovere di conoscerle” (mentre prima questo dovere riguardava soltanto il castigliano); l’art. 8 introduceva la parola “nazionali”: “La Catalogna, definita come nazionalità nell’articolo 1, ha per simboli nazionali la bandiera, la festa e l’inno”. Per cui il PP presentò un ricorso di incostituzionalità. Nel referendum di giugno 2006 in Catalogna, vinse il Sì con il 73,9% dei voti (20,76% per il No).

Proposte di referendum fallite e consultazioni popolari illegali in città catalane

La lunga attesa della sentenza del Tribunale Costituzionale TC, accompagnata di dibattiti accesi, ha provocata una spirale nazionalista della quale segniamo i dati più rilevanti per quanto riguarda le consultazioni popolari illegali :

A marzo 2007, ERC ha proposto un referendum di autodeterminazione per il 27 maggio, data delle elezioni municipali. Voleva dimostrare ai suoi elettori che la sua partecipazione al Govern non diminuiva il suo “catalanismo” ed avere la meglio su CiU che, nell’opposizione, poteva strappargli il voto nazionalista.

Joan Puigcercós, presidente di ERC stabilisce una nuova sfida: la Catalogna voterà l’indipendenza dopo delle elezioni autonome di ottobre 2010. CiU, che era nell’opposizione, appoggiò la spirale.

Il sindaco di Arenys de Munt (8.000 habitantes), Carles Mora, convocò una consultazione sull’indipendenza della Catalogna che si svolse il 13 settembre 2009 nella parrocchia, organizzata da un’entità privata e senza accesso ai registri elettorali. La partecipazione fu del 41% del censimento stimato. Votarono anche migranti e maggiori di 16 anni. Il risultato fu di 2568 voti (96%) a favore. Non essendo vincolante, costituiva un voto sentimentale ed un avvertimento rivolto al Tribunale Costituzionale.

Ci furono nuove consultazioni “sovraniste” il 13 dicembre in 161 municipi, tra cui Girona, unica capitale di provincia e sempre a carico di movimenti fuori dei partiti.

A giugno 2010, il TC dichiarò l’incostituzionalità dell’14 articolo dello Statuto catalano: la “nazione” catalana, la preferenza e l’obbligo della lingua catalana; il Potere giudiziario catalano, la relazione “bilaterale” Generalitat-Governo centrale. I catalani non capirono come mai si vietava uno Statuto approvato dal Parlamento e dopo referendum in Catalogna. Non si afferma nella farsa democratica che risiede là la sovranità del popolo? Il CEO segnò nel barometro di ottobre che l’independentismo aveva raggiunto il record del 25% di opinioni favorevoli. Di conseguenza, il democristiano catalanista CiU ricuperò la Generalitat nelle elezioni autonome di 2010 con Artur Mas a favore di un referendum di separazione ma a lunga scadenza e che prometteva il patto fiscale (l’egemonia di CiU dal 1980 fu soltanto interrotta dal Tripartito di sinistra con presidenza socialista de el PSC nel 2006-2010 con appoggio di ERC e ICV).

Il Parlament proclamò a marzo 2011 che il diritto all’autodeterminazione era irrinunciabile, questo coi voti di CiU, ERC y SI, furono contro PSC y PP. Barcelona tenne una consultazione il 10 aprile 2011 per il “diritto di decidere”. Votarono 257.645 cittadini (21% di partecipazione) e vinse il Sì col 91%.

Il partito al capo del Govern, Convergència Democràtica de Catalunya, nel suo Congresso di marzo 2012, decise la via dello “Stato proprio” per la Catalogna adducendo la sentenza del TC e i suoi tagli nello Statuto catalano. Lo sparo di partenza fu la festa della Catalogna, la Diada, il 11 settembre, in cui oltre alla tradizionale sfilata, ci fu una marcia in favore dell’indipendenza organizzata dall’ Assemblea Nacional de Catalunya (ANC).

Il successo schiacciante della mobilitazione di massa creò una dinamica travolgente: il Comune di Vic (capitale di territorio), approvò il 17 settembre una mozione di Esquerra Republicana (ERC), Candidatura dUnitat Popular (CUP), Iniciativa-Esquerra Unida, e Solidaritat (SI), con essa il municipio si dichiarava “territorio catalano libero e sovrano”. Fu anche votato da consiglieri comunali di CiU.

Artur Mas annunciò il 25 settembre 2012 in Parlament elezioni anticipate al 25 novembre e lanciò una sfida mai sentita proponendo la convocazione di una consultazione perché i catalani decidessero se volevano costituire “uno Stato proprio” dentro l’Unione Europea: “Se si può fare tramite referendum perché il Governo lo autorizza, meglio così. Altrimenti, va fatto lo stesso”. Il Parlament approvò il 27 settembre 2012 la proposta di CiU e ERC di tenere una consultazione per l’autodeterminazione “prioritariamente” durante la prossima legislatura coi voti di CiU, ICV, ERC y Solidaritat, l’astensione dal voto del PSC, i voti contro dei partiti di destra spagnolista PP e Ciutadans (C’S).

Artur Mas fu investito un’altra volta president nel 2012 con un governo di coalizione con ERC con il quale aveva pattuito un referendum di autodeterminazione con la scadenza massima del 2014. La CUP, indipendentista e anticapitalista otteneva rappresentanti nelle sue prime elezioni autonome. Il Parlament approvò il 23 gennaio che la catalogna era “soggetto politico e sovrano” (sebbene nella Costituzione la sovranità risieda nel popolo spagnolo) con 81 voti a favore (CiU, ERC, ICV y 1 de CUP) e 41 contro (PSC, PP y C’S). 5 socialisti del PSC erano assenti rompendo con la disciplina di partito.

A febbraio 2012, i 14 deputati del PSC (tranne un’astensione) non obbedirono per la prima volta alla consegna di voto socialista approvando in Parlamento la mozione di CiU e quella di ICV (ampiamente rifiutate) che sollecitavano al Governo perché negoziasse con la Generalitat una consultazione popolare di autodeterminazione.

La Legge della Catalogna di consultazioni popolari, a iniziativa del Govern nel 2013, approvata nel 2014 per il Parlament, fu dichiarata incostituzionale nel 2015 tra il ricorso del presidente Zapatero. Il presidente della Generalitat, Artur Mas, convocò allora per il 9 novembre 2014 per la prima volta in Catalogna una consultazione popolare illegale.

La Giornata Elettorale del I Ottobre

Alle 8:30 del mattino, la Polizia Nazionale e la Guardia Civil (carabinieri) cominciarono a sgombrare i collegi elettorali che aprivano alle 8:00. Complessivamente furono chiusi 319 dei 2316 seggi previsti. Usarono la forza per rompere le catene umane provocando 844 feriti e contusi, di cui due portati in ospedale. Una settimana prima la procura (Fiscalía Superior de Cataluña) aveva ordinato a la polizia autonoma (Mossos d’Esquadra) di impedire la votazione. Ma non si sono mossi. Si giustificano dicendo che hanno chiuso 225 collegi ma senza usare la violenza contro cittadini che disobbedivano in modo pacifico. Sarà, ma ricordiamo comunque con quanta violenza caricarono per sgombrare gli indignati anche pacifici del 15-M dalla Piazza di Catalogna nel 2011 provocando 33 feriti ed arrestando 20 persone. La moderata Asociazione Professionale Indipendente di Procuratori hanno accusato i Mossos di mettere.a repentagli lo Stato di diritto. Si comportano pure da “polizia politica”!

Il Giorno Dopo

Mariano Rajoy ha ricevuto i suoi due soci del fronte comune contro il “sovranismo”, il socialista Pedro Sánchez, segretario generale del PSOE e il conservatore Albert Rivera, presidente di Ciudadanos. Rivera sollecitò l’applicazione del articolo 155 della Costituzione, il che significa sospendere l’autonomia della Catalogna, con l’obiettivo di convocare elezioni autonome, criticando senza fare nomi l’immobilismo del Governo nonché la volontà di Sanchez di aprire un dialogo con chi vuol dichiarare unilateralmente l’indipendenza.

Diversamente dalla strategia di Ciudadanos di anticipare le mosse del Govern, Rajoy ha scelto la strategia reattiva, cioè reagire con la legge quando il reato si è commesso, per questo l’intervento delle forze dell’ordine dopo dell’inizio della giornata elettorale oppure non volere applicare il 155 prima che si produca la DIU.

Sánchez si oppone alla DIU ma ha espresso il suo dispiacere per l’uso della forza ed si mostra reticente al 155, preferendo altre alternative legali come l’attuazione del Tribunale Costituzionale. Il leader socialista sollecitò un “processo di negoziazione col Govern della Generalitat”.

Il president del Govern, Puigdemont, sollecitò al Governo una mediazione (con la speranza dell’appoggio dell’Europa) per “porre un termine alla violenza poliziesca e creare un clima disteso”. Però Rajoy ritiene che Puigdemont non abbia legittimità per negoziare dopo essersi messo nell’illegalità. La DIU fu rimandata di qualche giorno rispetto ai due giorni previsti della legge referendaria per aumentare la pressione sul Governo.

Il messaggio dell’Eurocamera lo stesso 2 nel pomeriggio non lascia però dubbi, dati i riferimenti all’unità costituzionale della Spagna: “La votazione di ieri in Catalogna non è stata legale”. “E se si organizza un referendum in conformità alla Costituzione, il territorio che abbandona uno Stato membro si troverebbe fuori dall’Unione Europea”. “La Commissione ritiene che questi siano tempi per l’unità e la stabilità, non per la divisione e la frammentazione”. Nemmeno una frase di condanna della violenza.

Ma quale violenza? direbbe il ministro spagnolo degli Esteri, Alfonso Dastis: La questione della violenza cosiddetta eccessiva… non negheremo che c’è stata nelle imagini. Ma siamo d’avviso che non è una violenza innescata dalla polizia se non quando i suoi compiti sono stati ostacolati. Non voleva fare altro che eseguire gli ordini dei tribunali. Ci dispiace questa violenza ma anche l’uso politico che se ne vuol fare”. Tutto “per la legge e con la legge”, parole di Rajoy, il che promette carri armati…

CACEROLADAS” DELLA SOCIETÀ CIVILE

Tra le associazioni della società civile, indipendentisti e trasversali politicamente, abbiamo la maggiore, l’Assemblea Nazionale Catalana ANC, con più di 80.000 membri. Anche Òmnium Cultural (fondata durante il franchismo per promuovere la lingua e la cultura catalane) che annovera 67.000 membri e Súmate (Raggiungiti), la cui caratteristica è essere costituita da catalani di lingua castigliana. Tra le spagnoliste, abbiamo Concordia Cívica (2017), la più recente, e Societat Civil Catalana, battezzata dai suoi rivali “ANC unionistao “anti-ANC”, la più nutrita, che dal 2014, concentra tutte le sensibilità contro l’indipendentismo ed il nazionalismo in Catalogna, soprattutto costituzionalisti, quindi del PPC, del PSC, e di Ciutadans. C’è anche la terza via tra catalanismo e spagnolismo, anche trasversale politicamente, Tercera Vía, nata dopo il 8 novembre, per cercare una soluzione alla questione catalana basta sull’accordo e sul dialogo.

La notte del I ottobre, oltre alla grande festa Piazza di Catalunya, ci furono concerti di pentole per protestare contro la violenza della polizia e a favore dell’indipendenza. Continuarono l’indomani durante lo sciopero generale. Tanti catalani escono ogni giorno sul balcone con una pentola in mano per farsi sentire dal 20 settembre, giorno in cui cominciarono gli arresti e le perquisizioni per impedire il referendum.

Gli anti indipendenza si sono fatto sentire dopo il referendum di fronte all’imminente DIU. È stata convocata per cellulare una “Cacerolada a Puigdemont” per le ore 21 horas del 4 ottobre durante il suo discorso in octubre TV3. Il concerto di pentole si è sentito particolarmente nel municipio operaio di Sant Adrià de Besòs di Barcelona, nel municipio socialista dell Hospitalet, non soltanto nel quartiere di Sant Antoni, nel centro di Barcelona. Per la prima volta, forse, molti hanno sentito la voce di chi non ha votato ma fa comunque parte di una maggioranza silenziosa, quella contro l’indipendenza. Domenica 8 ottobre, dietro la parole d’ordine Recuperem el Seny – Recuperiamo il buon senso – Societat Civil Catalana convocò una manifestazione di massa per il centro di Barcellona, tra mezzo milione e un milione di dimostranti. Inoltre, in questi giorni, si stanno lanciando iniziative tramite i social, ad esempio #Parlem – #Parliamo – che invita i cittadini a andare al Comune della loro città vestiti di bianco sabato 7 ottobre, senza colore d’appartenenza e quindi anche senza bandiere né stelle (senyera indipendentista), né rojigualda (bandiera spagnola rossa e gialla) al contrario del “paro de país” convocato dalla Generalitat oppure dalle manifestazione di appoggio alla Guardia Civil e alla Nazionale.

SCIOPERO GENERALE O SOSPENSIONE DI PAESE

C’era uno sciopero generale già convocato per martedì 3 dai sindacati CGT, Intersindical Alternativa de Catalunya (IAC), Intersindical CSC y COS, fondamentali in settori come trasporti o educazione. Dopo la giornata di referendum, UGT (socialista) y CCOO (comunista) fecero soltanto un appello per protestare contro gli eccessi di violenza del I ottobre, non per lo sciopero così da non appoggiare di nessuna maniera la DIU.

La piattaforma Taula per la Democràcia (Tavolo per la Democrazia), costituita dai sindacati maggioritari CC OO y UGT, ANC e di Òmnium Cultural, tra altre entità nazionaliste, e anche di datori di lavoro, convocò una “sospensione del paese” per rispondere fermando la Catalogna alla “violenza usata dalle forze dell’ordine dello Stato”: “Osservate la consegna del tavolo della democrazia. Nessuno ce la farà contro le istituzioni catalane e le libertà nazionali”. Appunto, è stata appoggiata dal presidente della Generalitat, Govern e Parlament, istituzioni culturali e sportive, ecc. CCOO e UGT chiesero una sospensione pattuita coi padroni tramite permessi retribuiti. Entrambi i sindacati fecero un appello a “partiti e Governi” per “incanalare la situazione” della Catalogna verso “una scenografia di dialogo” “per la via della negoziazione politica e istituzionale per raddrizzare il conflitto” tra Govern e Governo.

Mannaggia, non serviva nemmeno aderire a un sindacato né fare opposizione politica, bastava cantare insieme l’inno catalano dei Segadors e si risolvevano tutti nostri problemi di sfruttamento e quant’altro! Ormai lo sappiamo grazie ai nazionalisti! Il nazionalismo ha la grande capacità di destare entusiasmi ingannevoli in nome di un’unità patriottica che risolverà tutti i problemi. Il catalanismo è riuscito a cancellare la lotta di classe a favore di una collaborazione di classe per un nuovo Stato catalano como se tutto fosse “estelada” (bandiera catalana indipendentista) contro “rojigualda” (bandiera spagnola). Le loro guerre, i nostri sfruttati, morti e feriti: oggi guerra del nazionalismo catalano contro il nazionalismo spagnolo. Sempre a beneficio del capitale. Inutile dire che non è questa la società senza classi, libera, ugualitaria bensì una truffa.Non è questa l’autodeterminazione che appunto non si delega a nessuno, bensì una domanda capziosa ed escludente. Non è questo il diritto di decidere delle nostre vite. Vogliamo decidere, tutt* e su di tutto però, ma sicuramente non della creazione di un nuovo Stato.

Autodeterminazione significa che non deleghiamo l’autodeterminazione ai partiti. Che non ci fidiamo affatto dei sindacati riformisti che cercano soltanto di scendere a patti col potere di turno (istituzioni o padroni), fino ormai ad applaudire le istituzioni e mettere in discussione lo sciopero andando a braccetto coi padroni a fare “sospensione retribuita”. Non vi viene qualche dubbio quando vedete dirigenti di banca con giacca e cravatta per le Ramblas di Barcelona ripetendo a coro la consegna de la CUP (anticapitalista e indipendentista): “Le strade saranno sempre nostre?” Ma nostre di chi? Non certamente degli oppressi, non di tutti. Di “noi catalani”, cioè chi parla catalano, chi fa parte dell’elite da secoli, dei nazionalisti i cui antenati fondarono la Lliga regionalista ed erano gli oppressori… non dei “charnegos” come vengono chiamato gli operai di Murcia o i braccianti di Andalusia.

Gli anarchici scioperarono il 3. Per l’autodeterminazione della Catalogna e dei lavoratori, due proteste in una. Picchetti della CNT, 2.000 persone all’incirca circondarono la sede del PP catalano con la parola d’ordine : “Colpevoli del Jobs Act, della militarizzazione della città e della miseria delle lavoratrici”. Fu letto un comunicato di rifiuto delle riforme del lavoro e la perdita continua di diritti per la classe operaia assieme a la preoccupazione per le azioni dei vari corpi repressivi dello Stato”. Dopo lo sciopero del 3 ottobre, la CNT lancia un appello per allargare la lotta sociale per abbattere questo modello politico e economico. Molto condivisibile la dichiarazione dei “Secretariados Permanentes del Comité Regional de Catalunya i Balears y del Comité Confederal”: “Non lottiamo per cambiare bandiera bensì per un Cambiamento Sociale con le maiuscole che ci consenta di ritrovare le redini delle nostre vite e tutto ciò che ci stanno strappando.” “Contro ogni Stato. Per la libertà. Per la rivoluzione sociale!”

Monica Jornet*

*Gruppo Errico Malatesta-FAI e Groupe Commune del Paris-FA


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