Chissà come avrebbero reagito i vignettisti e i redattori di Charlie Hebdo di fronte allo “spezzone” istituzionale dell’imponente corteo organizzato a Parigi dopo il loro tragico assassinio.
Mi piace pensare che vi avrebbero dedicato vignette irriverenti e articoli più che sarcastici per sottolineare come, paradossalmente, alla marcia per la libertà e contro il terrorismo di domenica 11 Gennaio abbiano partecipato in prima fila una cinquantina fra capi di stato e di governo (o loro rappresentanti): gli stessi soggetti, cioè, che dichiarano le guerre, decidono le aggressioni militari, promulgano leggi di macelleria sociale, limitano la libertà di stampa, gestiscono il potere attraverso le tante declinazioni del terrorismo di stato.
Bisogna comunque riconoscere che la mossa del presidente francese Hollande è stata straordinariamente sagace. Le lunghe e drammatiche 48 ore parigine che hanno tenuto il mondo con il fiato sospeso avevano destato (e continuano a destare) parecchie perplessità nell’opinione pubblica globale: troppi i buchi e le amnesie dell’intelligence francese, parecchie le questioni ancora da chiarire nella dinamica e nei retroscena degli attacchi terroristici perpetrati dai fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly. Di fronte alla gravità della situazione, e in un momento di oggettiva difficoltà, Hollande è riuscito a radunare in brevissimo tempo una nutrita delegazione di potenti del mondo facendo appello ai valori repubblicani della Francia – liberté, égalité, fraternité – tradizionalmente assunti (non senza palesi ipocrisie) come valori fondanti della cosiddetta civiltà occidentale.
Di qui, la convocazione della marcia «repubblicana» alla quale hanno partecipato due milioni di persone a Parigi, tutte unite nella solidarietà alle vittime delle stragi, nel rifiuto del terrorismo e dell’oscurantismo religioso, nella difesa della libertà di parola. Eppure, in questa società globale fortemente mediatizzata, le parole e le immagini si sovrappongono in frullati indigesti dove si mischia tutto e il contrario di tutto. In quella giornata, la piazza di Parigi non passerà alla storia per l’enorme mobilitazione popolare, ma per la passerella di uomini politici tutti contriti di fronte alla tragedia. E così, in nome della libertà, dell’uguaglianza, e della fraternità, abbiamo visto procedere in corteo gente impresentabile, gente che nulla ha a che fare né con Charlie Hebdo e con il suo spirito antiautoritario, né con il rispetto di quei valori, figli dell’Illuminismo, che proprio la Francia cominciò a tradire quando la Rivoluzione divenne – ironia della storia – esercizio politico del Terrore.
Molte cose sono state dette (e molte se ne diranno) a proposito degli attacchi terroristici di Parigi.
Rispetto a l’11 Settembre 2001, che divenne lo spartiacque tra un “prima” e un “dopo” nella storia recente dell’umanità, mi sembra che la reazione generale dei media e dell’opinione pubblica sia molto meno viscerale e più improntata al vaglio critico dei fatti e dei contesti. A parte i soliti fascisti e i soliti razzisti, la narrazione basata sullo «scontro di civiltà» sembra attecchire molto meno. Forse memori delle ambiguità, delle bugie e degli errori del passato (basti pensare alle inesistenti armi di distruzione di massa che giustificarono la guerra all’Iraq), i cittadini del pianeta sembrano meno disponibili ad abboccare a tutto quello che gli si propina.
I fatti di Parigi sono diventati immediatamente oggetto di riflessione, di analisi più o meno argute, di ipotesi che aprono diversi interrogativi.
Forse, tra la posizione di chi pensa che sia stato tutto manovrato dall’esterno (nell’ambito di una collaudata strategia della tensione) e quella di chi ritiene, invece, che si sia trattato di un fatto totalmente ascrivibile ai soli fondamentalisti armati, non è irragionevole considerare – in maniera “intermedia” – che, da sempre, i terrorismi e i terroristi sono spesso alimentati dal potere politico o a esso funzionali (a posteriori o a priori).
Lo spezzone di politici che ha partecipato al corteo parigino rende plasticamente questo concetto: l’unico effetto che producono le avanguardie armate è il rafforzamento, materiale e simbolico, dell’ordine costituito.
Alberto La Via