Max Stirner, all’interno della tradizione filosofica, ha una posizione assai particolare: nega alla radice la critica romantica della modernità. Questa diffusissima visione, nata per l’appunto all’interno del movimento romantico, vede la società moderna caratterizzata da valori puramente materiali: la produzione, il profitto, la merce e via discorrendo. Questa situazione precipiterebbe l’uomo in una condizione di completa alienazione, di perdita della sua essenza umana, lo renderebbe incapace di riconoscere il vero senso della vita e, di conseguenza, incapace di vivere un’esistenza degna di questo nome.[1] Max Stirner, invece, sostiene una tesi pressoché opposta: la società moderna non è affatto dominata da valori puramente materiali, ma resta in balia del sacro.[2] La produzione, il profitto, la merce e più in generale quelli che definiamo i valori “materiali” certamente esistono e condizionano pesantemente le nostre vite, ma il loro modo di operare è pressoché identico ai vecchi oggetti e riti sacri. Ciò che è accaduto con il passaggio dall’età medievale/moderna alla modernità non è stato un processo di più o meno completa desacralizzazione – una, magari parziale, parziale messa fuori gioco della potenza politica della mentalità religiosa – ma un semplice mutamento dell’oggetto sacralizzato: le forme del dominio sono rimaste praticamente le stesse ed il sacro resta a dominare le nostre esistenze. Si tratta di una tesi decisamente eterodossa rispetto alla diffusione della critica romantica della modernità, che, sia pure con varie sfumature e diverse valutazioni, è accolta in maniera pressoché unanime dalle correnti del pensiero politico contemporaneo.[3]
Nonostante questa sua radicale eterodossia, se viene analizzata alla luce di numerosi ed indiscutibili dati di fatto, la tesi stirneriana perde molto della sua apparente bizzarria. In quest’articolo, intendiamo valorizzarla proprio alla luce di un fenomeno del tutto contemporaneo, legato ai marchi aziendali ed alla pubblicità, confrontandolo con un tradizionale fenomeno di sacralizzazione: quello della sessualità attraverso l’istituto religioso del matrimonio. È notorio come, all’interno del Nuovo Testamento, la posizione più chiaramente sessuofobica – il sesso come malattia morale – sia quella dell’apostolo Paolo. Nonostante tutto, anche lui cede di fronte ad un processo di sacralizzazione della malattia morale della sessualità umana:
Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie ed ogni donna il proprio marito.(…) Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché Satana non vi tenti nei momenti di passione. (…) Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere. (…) Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato.[4]
Riassumendo l’argomentazione paolina, la sessualità è di per sé peccato, ma se la passione erotica trova soddisfazione dopo che l’uomo e la donna si sono sottoposti al rito religioso del matrimonio, la cosa smette di essere tale, anche se la castità completa è una condizione ancora migliore e, quando è possibile, è la vera strada da seguire. Il sesso è stato sacralizzato e, per ciò stesso, divenuto accettabile. Questa dinamica ideologica e sociale, in base alla quale un evento socialmente esecrabile in sé diventa improvvisamente del tutto accettabile per il solo fatto di venire sottoposto ad un rito religioso, è scomparsa con il moderno come comunemente si afferma? In altri termini, siamo davvero in una fase di desacralizzazione del mondo?
Vi invito a fare una semplicissima prova: digitate su google immagini “corporate paedophilia” ed appena apparirà la schermata della richiesta effettuata spererete immediatamente che nessuno vi stia alle spalle: penserebbe immediatamente che stiate navigando in un portale per pedofili del “deep web”. In effetti, molte delle immagini che compaiono sarebbero perfettamente congruenti a quest’ultimo, se non fosse – dal punto di vista di un pedofilo – per quegli scoccianti ed invadenti marchietti aziendali: si tratta, infatti, di foto pubblicitarie che utilizzano bambini e, soprattutto, bambine in pose erotiche.
Google ed i motori di ricerca si fanno complici della pedofilia? Potrebbero essere denunciati insieme ai siti che catalogano ed in cui sono inserite tali immagini? In effetti, per la legge italiana, chiunque consapevolmente – ed è difficile non notare il carattere erotico di tali foto e l’età dei modelli – procura a sé o ad altri e/o detiene materiale pedopornografico è punito con la reclusione fino a nove anni e con pesanti multe.[5] Ma i motori di ricerca non corrono alcun rischio: si tratta di immagini pubblicitarie presenti anche nelle nostre strade sui cartelloni da sei metri per tre. Nessuno li disturberà per ciò e, d’altronde, nessuno è mai intervenuto contro la pratica in questione che dura da numerosi anni, conosciuta come “corporate paedophilia” – “pedofilia aziendale” – e che viene messa in discussione da pochissimi.[6]
Eppure, in base al principio della letteralità della legge, la pedofilia aziendale dovrebbe essere un classico caso di “istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia” (articolo 414-bis c. p.). Per comprendere meglio la faccenda, vi invito ad un semplice esperimento mentale. Immaginate di presentarvi in una famiglia e che le facciate questo discorso: “Com’è carina la vostra figlioletta! Me la lasciate vestire in tenuta un po’ volgare, come dire, un po’ da prostituta, lasciate che la metta appoggiata in posa equivoca ad un auto in una strada notturna poco illuminata, me la fate fotografare facendole assumere un bel po’ di pose erotiche e mi permettete poi di divulgare le foto? Oppure, se preferite, mi permette di farla danzare in abbigliamento succinto intorno ad un palo da lap dance? Ah, ma sono due sorelline gemelle? Perfetto! Allora me le fate (s)vestire in lingerie, dopo di che le facciamo assumere un po’ di pose lesbicheggianti, che ne dite? Ovviamente vi pago…”
In questa situazione ipotizzata, il meglio che vi potrebbe capitare sarebbe quello di essere allontanati in malo modo dai genitori, se questi pensano che siate solo un po’ fuori di testa. Se però arrivassero a capire che fate sul serio, se vi va bene le prendereste di santa ragione e/o vi becchereste una denuncia per produzione e diffusione di materiale pedopornografico (nel qual caso rischiereste una pena ancora più grave della semplice detenzione: la reclusione fino a dodici anni ed una multa da 25.822 euro a 258.228 euro). Nel caso in cui, invece, per un qualunque motivo la famiglia accettasse le vostre proposte e la cosa venisse scoperta, correrebbe con voi lo stesso identico rischio.
Eppure, per produrre le foto pubblicitarie per cui si parla di corporate paedophilia – “pedofilia aziendale”, insomma l’uso di bambine/i in pose erotiche allo scopo di vendere una merce – qualcuno deve aver fatto esattamente questo, senza che le famiglie trovassero da ridire ed, anzi, oltre che intascare i soldi promessi hanno anche volentieri firmato una liberatoria – il tutto senza dire che spesso sono le famiglie stesse ad aver avviato la figlia al mestiere di modella pubblicitaria “specializzata”. Tra l’altro, come avete molto probabilmente immaginato, gli esempi dell’esperimento mentale di prima non sono scelti a caso e li abbiamo visti un po’ tutti sui cartelloni pubblicitari d’ogni genere e dimensioni, sulle riviste, ecc.
Basta un marchio a cambiare completamente le carte in tavola e, pur trattandosi della stessa ed identica cosa che dovrebbe quindi cadere sotto i rigori di una legge decisamente severa, fotografi e famiglie non ricevono mai la visita della polizia e nessun magistrato apre mai un inchiesta, pur di fronte ad immagini che, senza marchio pubblicitario, li farebbero agire immediatamente. Foto che, detto per inciso, spesso giganteggiano sei metri per tre davanti alle caserme delle forze dell’ordine e davanti ai tribunali.
Insomma, merce e pedopornografia, oggi, si atteggiano reciprocamente come, un tempo, matrimonio e sessualità: come la fede matrimoniale santificava per Paolo la diabolica malattia morale del sesso, oggi il marchio della merce santifica la pedofilia. Tra l’altro, la cosa più particolare è che la cosa è data per scontata: la presenza di un processo di compravendita di una merce e quella del suo marchio fa saltare del tutto il normalmente accettato e praticato principio della letteralità della norma.
Il tutto – va notato – avviene senza che ve ne sia piena coscienza: non c’è, infatti, alcun codicillo né esplicito né implicito che esenti fotografi, famiglie, stampatori, ecc. dai termini delle norme antipedofilia. È così e basta, a dimostrazione di come il carattere sacrale della merce e della sua compravendita pervada in profondità le menti e le relazioni sociali di una società che si pretende desacralizzata.
Enrico Voccia
NOTE
[1] Vedi DE PAZ, Alfredo, La rivoluzione romantica. Poetiche, estetiche, ideologie, Napoli, Liguori, 1984; DE PAZ, Alfredo, Europa romantica. Fondamenti e paradigmi della sensibilità moderna, Napoli, Liguori, 1994. Più genericamente https://it.wikipedia.org/wiki/Romanticismo .
[2] Vedi STIRNER, Max, L’Unico e la sua Proprietà, Milano, Adelphi, 1979.
[3] Il che, in parte, spiega anche la rimozione di Stirner – nonostante la sua oggettiva importanza come snodo storico del pensiero filosofico e politico ottocentesco – dalla riflessione accademica ed il fatto che, quando gli si riserva attenzione, lo si fraintende pressoché completamente: si pensi solo al suo abituale accostamento al praticamente opposto pensiero di Nietzsche. Vedi, in merito alla questione del preteso rapporto Stirner/Nietzsche COMIDAD, La Tirannia delle Parole, Napoli, 2005, www.comidad.org/testi/002testi.doc .
[4] Bibbia, Nuovo Testamento, Paolo, Prima Lettera ai Corinzi, 1.7.
[5] Vedi http://www.guidelegali.it/approfondimenti-in-penale-delitti-contro-la-persona-e-la-famiglia/la-pedofilia-entra-nel-codice-penale-italiano-pene-piu-severe-per-abusi-contro-minori-5288.aspx .
[6] Nella mia città – Napoli – ad esempio da decenni ero l’unico a porre in termini pubblici il problema: ora, di fronte all’ennesima, e non certo la peggiore, campagna pubblicitaria da pedofilia aziendale che campeggia sui muri della città, qualcun altro ha finalmente notato la cosa: http://www.napolitoday.it/cronaca/pubblicita-bambina-napoli.html .