Christine de Pizan. Una pensatrice protofemminista

Perché non sono mai le donne a scrivere di donne? Perché sono sempre e solo gli uomini a spendere fiumi di inchiostro in trattati, poesie, elogi e spregi su questo oggetto-donna reso artificiosamente così misterioso, stereotipato, caricaturale da sembrare senza voce, coscienza, parola?

Questo il punto di partenza della riflessione di Christine de Pizan, nata a Venezia nel 1364 e trasferitasi in Francia nel 1369 al seguito del padre Tommaso da Pizzano, astronomo e astrologo di corte di Carlo V. De Pizan trascorre più di un decennio tra gli agi di corte, immersa nella cultura: il padre (contro il volere della madre) le offre un’istruzione pari a quella dei suoi fratelli maschi e de Pizan vive fin dall’infanzia in un ambiente intellettualmente stimolante, circondata dall’amore per il sapere e dai libri della biblioteca reale del Louvre, alla quale la giovanissima Christine ha libero accesso.

Cresce così questa straordinaria scrittrice, poeta e pensatrice bilingue (trilingue considerando il latino), profonda amante di musica, poesia e letteratura, ma anche di storia, filosofia e medicina. De Pizan non è solo una scrittrice, ma quella che viene riconosciuta come la prima storica laica e la prima scrittrice di professione del continente europeo, dedita a opere in prosa e in versi.

Val la pena ricordare quelli che la stessa de Pizan riconosce come i due momenti di svolta della sua vita, che dopo il 1390 cambierà radicalmente (donandole però, proprio tra le difficoltà, l’ennesimo impulso creativo e rinnovatore): nel 1380, infatti, la morte di Carlo V comporta per la famiglia de Pizan la perdita dei privilegi e dei favori di corte e l’inizio di un periodo di ristrettezze economiche, amplificatesi dopo la morte del padre Tommaso. Successivamente, nel 1390, avviene la morte del marito di Christine e padre dei suoi tre figli, notaio e segretario di corte sposato dieci anni prima su indicazione del padre. Christine De Pizan sceglie di non sposarsi più né di entrare immediatamente in convento, una scelta per l’epoca coraggiosa e controcorrente.

Dopo la morte del marito de Pizan dovrà compiere quella che lei definisce una metamorfosi, descrivendola in modo così incisivo da delineare con le parole la scena di una metamorfosi non solo simbolica, ma quasi fisica: una trasformazione di senso, di postura, di immaginario che la conduce all’attività di copista e calligrafa, prima, e di autrice letteraria di professione, poi – ma anche, come si diceva, una trasformazione corporea. De Pizan racconta infatti di aver sognato la Fortuna che le toccava il corpo in ogni sua parte per rinforzarne le membra e donarle vigore, parola che scelgo non a caso: “allora diventai un vero uomo”, ci dice infatti de Pizan per sintetizzare il suo passaggio a una vita sempre più adulta, autonoma, indipendente – che al tempo era, lo sappiamo, riservata agli uomini. È sintomatico il fatto che una personalità “progressista” come quella di de Pizan identifichi la sua emancipazione economica e culturale con le categorie del maschile, descrivendoci questa metamorfosi intellettiva e biografica – incisa nella carne – come un “diventare uomo”. Da notare, peraltro, che la sua emancipazione è dettata da esigenze eccezionali e contingenti: non ci sono velleità rivoluzionarie, desideri di rottura dello status quo e di liberazione sistemica delle donne e dei secondi sessi, ma “solo” una valorizzazione e una messa in luce della possibilità di emancipazione in caso di necessità.

De Pizan con i suoi scritti e il suo pensiero partecipa alla cosiddetta “querelle des femmes”, una locuzione novecentesca utilizzata per indicare il dibattito intellettuale sviluppatosi tra il Duecento e il Settecento nel continente europeo, e in particolare in Francia, che prevede riflessioni sull’uguaglianza dei sessi (oggi forse diremmo “di genere”) e sui loro rispettivi ruoli, compiti e inclinazioni. Nella produzione di de Pizan, che morirà nel monastero francese di Poissy intorno al 1430, il suo peculiare percorso biografico si intreccia con la consapevolezza storica e culturale, con la sua sensibilità protofemminista e con il suo talento letterario. La sua ultima opera, composta nel 1429 dopo più di un decennio di silenzio, è dedicata alla contemporanea Giovanna d’Arco: quello di de Pizan è il primo poema sull’eroa francese e l’unico a essere stato composto prima della sua uccisione.

De Pizan scrive tra il 1404 e il 1405 l’opera per cui è maggiormente nota: si tratta de La città delle dame (o delle donne), una contro-narrazione rispetto ai miti, agli stereotipi e alle imposizioni sessiste e misogine di tutte le epoche. Ne La città delle dame la protagonista Christine dialoga con    tre dame Ragione, Giustizia e Rettitutine e l’autrice de Pizan (che poi sono la stessa persona), intreccia le loro voci con le molte storie di donne che si sono distinte per la loro intelligenza, sagacia e tenacia – ma anche e forse soprattutto per la loro ostinazione, un tema che attraversa tutto il testo.

L’opera descrive in tre libri l’edificazione di una città di donne, nel senso di: fondata da donne, abitata da donne, pensata per donne. Il primo libro si apre con una scena di solitudine. Christine, la protagonista, si trova nella sua stanza e, durante una pausa dallo studio, inizia la lettura di un libro che pagina dopo pagina rivela idee sessiste e misogine sulla “natura viziosa” delle donne: nonostante non riconosca queste caratteristiche nelle donne che la circondano, si mostra consapevole del fatto che pensieri di questo tipo la portano al disprezzo delle donne, a partire da sé e dal suo corpo – ricordiamo a questo proposito la metamorfosi verso il maschile sopracitata. Appaiono in questo frangente le tre dame Ragione, Giustizia e Rettitudine, inviate dalla Provvidenza per trarla in salvo dalla sua ignoranza: come le viene fatto notare, infatti, è proprio l’ignoranza (nel senso di non-conoscenza) ad averla resa succube delle opinioni e credenze altrui – e infatti noi oggi diremmo: tutte e tutti interiorizziamo idee patriarcali, seppur con gradi diversi di consapevolezza, resistenza e capacità di decostruzione. Ma le tre dame hanno anche un altro scopo: vogliono fare in modo che le donne abbiamo un posto sicuro, e costruiranno per loro una città. Anche qui tornano temi cari al discorso femminista odierno: abbiamo un posto sicuro? Le strade che attraversiamo sono sicure? E le case che abitiamo? Che cosa impariamo in famiglia, a scuola, nelle piazze? Siamo davvero al sicuro dalla violenza delle mani e dei coltelli? E da quella delle parole? Perché non costruiamo una città a nostra misura, dopo secoli in cui la filosofia e la società ci dicono che “L’uomo è misura di tutte le cose”? Che “L’uomo è misura di tutte le cose” ce lo dice Protagora nel V secolo a. C., ce lo ribadisce ogni centimetro del mondo in cui viviamo (per approfondire consiglio la lettura di “Invisibili. Come il mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano” di Caroline Criado – Perez). E noi?

E noi dunque, dicevamo, con de Pizan costruiamo una città a misura di donna. Ognuna delle tre dame ha un compito e ogni libro narra una fase di costruzione della città delle donne, alternando l’analisi di stereotipi sessisti e misogini con la loro confutazione, che avviene sia a livello teorico sia attraverso l’elenco di esempi di donne intelligenti, forti, perseveranti, ostinate: Christine viene invitata a scavare un fossato “con la zappa della sua intelligenza”, asportando metaforicamente detriti e pregiudizi. Stereotipi, credenze e    imposizioni patriarcali vengono passate in rassegna e man mano confutate dalle tre dame, con il risultato che l’opera procede alternando e integrando tesi (uno stereotipo, un pregiudizio, una convinzione misogina), antitesi (confutazione della tesi supportata da argomentazioni ed esempi di vite di donne) e sintesi (la tesi che si compenetra con l’antitesi, in una dinamica protodialettica, e l’esito: la costruzione di una porzione di città).

Nel primo libro, Christine domanda a Ragione “se Dio volle mai onorare l’intelligenza femminile delle alte scienze.” Infatti, dice, “Gli uomini affermano che le donne hanno scarse capacità intellettuali”. Risponde Ragione: “Figliola, per tutto quello che ti ho detto prima puoi capire che è vero proprio il contrario. E per spiegartelo con maggior chiarezza ti darò qualche esempio come prova. Te lo ripeto, e non dubitare del contrario, che se ci fosse l’usanza di mandare le bambine a scuola e di insegnare loro le scienze come si fa con i bambini, imparerebbero altrettanto bene e capirebbero le sottigliezze di tutte le arti, così come essi fanno”. (Cito a memoria dal libro primo)

Nel primo libro Ragione dirigerà i lavori per le fondamenta e le mura della città con l’aiuto di guerriere, sapienti e intellettuali delle quali si ricordano le straordinarie vite; nel secondo libro Rettitudine costruirà edifici e strade e inizierà a popolare la città con profete e donne dedite alla famiglia; infine, nel terzo, Giustizia accoglierà altre abitanti – tra le quali sante, vergini, martiri e quella che de Pizan indica come Regina dei Cieli, accolta tra principesse, regine e dame (de Pizan, come altre pensatrici – e pensatori – è figlia del suo tempo!). Si può pensare a queste tre fasi di edificazione della città delle donne come a una metafora per indicare tre fasi di ristrutturazione del Sapere: la decostruzione di idee imperanti e dogmatiche (scavare il fossato), la formazione di nuove conoscenze (fondamenta e mura) e, infine, il prender vita e la diffusione di un nuovo sapere (edifici, strade, abitanti) – un sapere originale, divergente, ostinato; un sapere ribelle, scomodo, dirompente. Perché anche il Sapere maschile, quello con la S maiuscola, nasce da persone umane, troppo umane. E non è infallibile. Quindi quando Christine afferma “Mi meraviglio molto dell’opinione di alcuni uomini, secondo cui essi non vorrebbero che le proprie mogli, figlie o parenti imparassero le scienze, per paura che i loro costumi ne vengano corrotti”, la dama innanzitutto commenta “Da questo puoi capire che non tutte le opinioni maschili sono fondate sulla ragione”.

Ecco il punto di partenza: togliere i detriti, scavare il fossato, e gettare nuove fondamenta.

Serena Arrighi – Gruppo Germinal Carrara

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