Solidarietà senza confini. Roma 4 ottobre per una Palestina libera

La mobilitazione dal basso

Nelle ultime settimane in Italia si è costituito un movimento socio politico nazionale come non se ne vedevano da quasi 20 anni.

L’ondata di indignazione e insorgenza ha preso l’abbrivio dall’ormai intollerabile genocidio del popolo palestinese e dagli atti di pirateria e rapimento ai danni degli equipaggi della Global Sumud Flotilla perpetrati dallo stato di Israele. Ma nel suo progressivo ingrossarsi e prendere forza, questa ondata ha inevitabilmente inglobato un numero gigantesco di realtà sociali, sindacali, lavorative, studentesche e giovanili inclusive di ogni condizione sociale e personale, fascia di età e origine.

Una gigantesca convergenza, finalmente unitaria e dialogante pur mantenendo le singole specificità ed identità.

Il primo travolgente segnale di questo potente flusso dal basso è stato lo sciopero generale nazionale del 22 settembre e la formazione di presidi solidali permanenti nelle stazioni ferroviarie e negli snodi logistici e commerciali di moltissime città. Quello romano si è installato nei pressi della stazione Termini in Piazza dei Cinquecento, ribattezzata simbolicamente Piazza Gaza.

La mobilitazione popolare ha preso corpo in ben 100 città italiane, scese in piazza la sera del 1º ottobre e nel pomeriggio del 2, alla notizia delle intercettazioni e degli arresti compiuti illecitamente dalle forze militari israeliane nelle acque internazionali antistanti le coste palestinesi e in quelle territoriali di competenza gazawi. È poi culminata nello sciopero generale nazionale e nei numerosi cortei cittadini del 3 ottobre, fino al grande corteo nazionale del 4 ottobre a Roma e alle manifestazioni di sostegno svoltesi contemporaneamente in altre città.

Il corteo capitolino del 4 ottobre, indetto dalle associazioni palestinesi in Italia e dai sindacati di base, non ha solamente espresso in modo inequivocabile la solidarietà alle vittime dell’olocausto palestinese ma ha puntato il dito contro l’economia di guerra imposta dall’imperialismo capitalista di cui il governo Meloni e le finte opposizioni sono collusi strumenti. E soprattutto ha puntato il dito contro la loro complicità nel genocidio di un popolo inerme, schiacciato tra il tentativo di costituire una nuova teocrazia islamica per mano di Hamas ed suoi alleati geopolitici e le mire affaristiche delle multinazionali già in lizza per la costruzione della “Riviera di Gaza”, ad uso e consumo di ricchi sionisti senza scrupoli che pur di appropriarsi della striscia di Gaza e della Cisgiordania non esitano a trucidare uomini, donne, anziani, e bambini, definendoli “terroristi nemici di Israele”.

Tutti gli eventi di piazza hanno ottenuto il plauso e la solidarietà anche delle persone che, impossibilitate a partecipare attivamente agli eventi di piazza e all’astensione lavorativa, hanno solidarizzato con il movimento e le vittime del genocidio fin dal 22 settembre. A nulla è valsa la propaganda imperante che ha blaterato inutilmente e falsamente di profonda disapprovazione degli utenti dei servizi e delle attività pubbliche e private bloccate dalle mobilitazioni e dagli scioperi.

 

La partecipazione

Malgrado la Questura abbia messo in atto ogni possibile tattica di sabotaggio, il corteo si è svolto sostanzialmente in modo pacifico. Foto e riprese aeree avvalorano le stime degli organizzatori circa una reale partecipazione eccezionale all’evento. Se non ci sono state un milione di persone, la cifra effettiva ci si avvicina moltissimo.

La partecipazione totale alle mobilitazioni che si sono susseguite in questi giorni in tutta Italia si attesta su numeri enormi, mai raggiunti prima.

 

Il Gruppo Anarchico Bakunin

Il Gruppo Anarchico Bakunin ha partecipato a tutte le mobilitazioni di queste ultime settimane, in continuità con la propria azione di contrasto al genocidio del popolo gazawi, al massacro di tutte le vittime innocenti, al militarismo e alla teocrazia, denunciati fin dall’attacco del 7 ottobre 2023.

Il 4 ottobre ha manifestato con uno spezzone particolarmente partecipato (con molte decine di compagne e compagni) sfilando dietro lo striscione recante lo slogan “né dio, né stato, né guerra: liberə tuttə in libera terra!”.

Per un certo tratto anche il LEA (Laboratorio Ebraico Antirazzista) ha sfilato col suo striscione “nessunɛ sarà libero finché non lo saremo tuttɛ” accanto a quello del Bakunin, a riprova del rifiuto totale di posizioni antisemite, e della rivendicazione delle proprie idee antisioniste, antimperialiste, anticapitaliste e antinazionaliste e contro ogni forma di oppressione autoritaria e discriminatoria, in netta opposizione alla semplificazione del ragionamento binario: “antisionista = antisemita / Sionista = bravɛ cittadinɛ”, con cui la propaganda governativa cerca di manipolare l’opinione pubblica.

In particolare, il Gruppo Anarchico Bakunin ha, anche in quest’occasione, messo coerentemente in discussione tutto l’impianto del concetto di stato, di nazionalismo e di teocrazia, nell’ambito dello specifico dibattito politico.

Ne è una efficace sintesi lo slogan che ha adottato il gruppo per lo striscione portato in piazza fino a ieri pomeriggio, quando si è verificato ancora una volta il sempre più frequente interesse e avvicinamento di giovani, così come sta accadendo durante le iniziative e le conferenze organizzate presso lo Spazio Anarchico di Via Vettor Fausto, 3 Roma.

 

Non siamo con loro!

Particolare non trascurabile in tutto il movimento è la totale dissociazione da qualsiasi forma di violenza di stato, di discriminazione etnico-religiosa e di suprematismo di sorta, e la richiesta pressante di libertà e autodeterminazione del popolo palestinese, scevra da qualsiasi tentativo di ulteriore nuova oppressione (vedi il rifiuto del disarmo di Hamas e la sua controproposta gettata sul tavolo della trattativa “mediata” da Trump di affidare la gestione della striscia di Gaza ad un governo tecnocratico palestinese in cui il partito armato vuole avere un ruolo predominante).

Il fiume in piena di corpi e voci che ha travolto per lo più pacificamente Roma era costituito da una eterogenea compagine che attraversava ogni fascia di età, anche se in maggioranza di giovani e giovanissimi, origine, condizione fisica e sociale e considerando la portata del movimento convergente che si è spontaneamente formato in questi giorni, sarà impossibile negare che sia rappresentativo del paese REALE.

La propaganda governativa da ieri in poi non potrà più mistificare la realtà, berciando mendaci “l’Italia è con noi”.

NON LO SIAMO AFFATTO!

 

Lezioni di umanità da chi proprio non può fare il “week lungo”

I detenuti con permesso di lavoro del carcere di Bologna, la Dozza, hanno scioperato in solidarietà con la popolazione gazawa e cisgiordana.

Il loro comunicato, tra l’altro, recita:

“Per noi reclusi andare a lavorare è un momento di libertà dal contesto carcerario in cui viviamo. Nonostante ciò rinunciamo a un giorno di libertà e al nostro stipendio”.

 

Il “divide et impera” non funziona più

Durante le imponenti manifestazioni di questi giorni il rimando alle scelte di questo governo è stato molto forte: l’uso scellerato del PNRR in favore delle spese militari anziché sociali (sanità, istruzione, welfare e previdenza ne hanno pagato le conseguenze), la repressione e l’autoritarismo crescente (decreti sicurezza, leggi bavaglio etc), l’asservimento alle forze militariste, capitaliste ed imperialiste, la complicità nel genocidio palestinese.

A questo va sommata la creazione e persistenza della crisi russo-ucraina che ha portato alla guerra combattuta per procura in quei territori.

Da questo è nata l’insistente richiesta di dimissioni del governo Meloni.

 

Ma quale seguito avrà?

La forza motrice impressa dall’onda emotiva causata dall’ormai insopportabile persistere dell’olocausto palestinese si potrà evolvere in forza politica e sociale durevole? E per quanto tempo, prima di esplodere tra le mani di chi ne sta cavalcando l’onda lunga?

I sindacati ed i movimenti di base, grazie anche alla miopia della CGIL nel fallire clamorosamente tempismo e strategia politica con lo sciopericchio di venerdì 19 settembre, riusciranno a mantenersi in sella a questa tigre e avranno la capacità e la forza politica di gestire quello che sembra (e si spera) un punto di svolta di portata storica per l’Italia?

Di contro, il governo messo alle strette dalla crescente rianimazione della coscienza critica popolare come reagirà? I sistemi oppressivi messi in atto fino ad oggi, potrebbero diventare un’onda anomala di ritorno oppure un riflusso reattivo della popolazione ormai esausta per la crisi economica e sociale?

Questo movimento, paragonato a uno tsunami socio politico, deve ora trovare il modo di presidiare e mobilitare stabilmente ogni ambiente lavorativo, le scuole e le università, così come ogni altro ambiente e livello sociale e culturale.

Deve avere la forza di proseguire nel blocco degli snodi logistici e commerciali, dei trasporti di merci e rifornimenti da e per Israele.

Deve mantenere ogni centimetro riguadagnato nei confronti di quello che sembrava un ineluttabile strapotere di destra, invece scosso fin nelle sue fondamenta in 5 giorni. E che comincia a dare segni di cedimento con il balbettio di queruli figuri quali Tajani e Salvini e l’ormai inefficace e sconfessato vittimismo meloniano.

Nella convergenza dimostrata fermamente da tutte le eterogenee forze sociali e politiche che si sono organizzate dal basso e unite perché finalmente avvenga un cambiamento profondo in questo Paese, sembra essersi ridestata dunque la coscienza critica da troppo tempo sopita sotto la pesante coltre della precarizzazione di ogni aspetto della vita della popolazione.

Non si arriverà, forse, a un sistema libertario, ma c’è la concreta possibilità di ripristinare alcune fondamentali libertà e diritti erosi dal sempre più opprimente sistema autoritario messo in atto dal governo. E magari anche di ricostituire garanzie sociali, dignità economica e libertà colpite da attacchi che, dall’ascesa di Berlusconi in poi, hanno devastato le classi subalterne, a favore di un liberismo buono solo a rimpinguare potere e tasche capitalistiche.

Intanto altre 11 imbarcazioni hanno levato le ancore dall’Italia: la rotta segnata attraverso il Mediterraneo orientale punta verso la costa tra Gaza e l’Egitto, in un nuovo tentativo di rompere il blocco navale operato illecitamente da Israele. L’arrivo è previsto tra 4 giorni.

Il vento sta cambiando. E soffia sempre più forte come sulle vele della nuova flotilla.

 

Fricche, Melitea e Nestor

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