La Meloni attacca le pensioni

Riducendo i coefficienti di calcolo si abbassa l’importo dell’assegno previdenziale

Quando scrivevamo mesi fa che il Governo Meloni avrebbe disatteso tutti i suoi impegni elettorali in materia di pensioni, muovendosi non solo nell’alveo della legge Fornero ma addirittura peggiorandola, ci siamo presi svariate offese, non ultima quella di essere prevenuti e non obiettivi.

Ai cantori del governo di destra dovremmo invece portare dei fatti, basti l’esempio di un lavoratore, o lavoratrice, di 67 anni che va in pensione con un CUD da 30.000 euro e un montante contributivo accumulato di oltre 283 mila euro.

Ai fini dell’assegno pensionistico, visto che i contributi versati non torneranno di sicuro nelle tasche del lavoratore o lavoratrice che sia, vale il coefficiente di rivalutazione. Ebbene, la manovra di Bilancio abbassa il coefficiente e se prima, a parità di anni versati, avrebbe preso 1250 euro al mese con il nuovo coefficiente invece, nel 2025-2026, percepirà un assegno da 1.225 euro, con una perdita di 25 euro al mese per tredici mensilità annue.

Sia sufficiente il classico “conto della serva” per rinfrescarci la memoria senza dimenticare il progressivo innalzamento dell’età pensionistica e la volontarietà dell’uscita dal lavoro per la Pubblica amministrazione che porta l’età pensionabile a 70 anni. 

L’aumento dell’aspettativa di vita, ammesso poi che la tendenza non sia invertita, determina l’aumento degli anni lavorati, il ritardo della pensione ma anche la futura riduzione degli assegni pensionistici.

Nei fatti spingono la forza lavoro a ritardare l’uscita dal lavoro per la forte sperequazione tra l’importo della busta paga e il futuro assegno; inoltre oggi scopriamo che la manovra di Bilancio introduce dei coefficienti per abbassare ulteriormente i costi delle pensioni.

Per lustri, la novella del sistema contributivo come espressione di equità è servita a imporre un sistema di calcolo vantaggioso per le casse statali, oggi scopriamo nuovi interventi per decurtare ulteriormente un assegno che se calcolato con il vecchio sistema (in rapporto alle retribuzioni degli ultimi anni) sarebbe per altro più alto.

Prima della riforma degli anni Novanta il calcolo della futura pensione era assai semplice: bastava guardare ai contributi versati, all’importo della retribuzione e alla aliquota di rendimento pari al 2 per cento annuo. Per calcolare la pensione era quindi sufficiente una semplice operazione:

2% di € 30.000 (ipotesi di reddito medio annuo) x 40 (ipotesi di anzianità contributiva) = € 24.000

I sistemi successivi sono divenuti sempre più complessi e contorti per produrre alla fine un solo risultato: aumento dell’età pensionabile e riduzione dell’importo dell’assegno previdenziale.

E sui coefficienti al ribasso del Governo, con decurtazione dell’assegno pensionistico, prendiamo in prestito, speriamo non ce ne vogliano, lo schema esplicativo del centro studi Cgil giusto a confermare che all’elettorato hanno solo fatto promesse mai realizzate e, sempre per usare un proverbio, le bugie hanno le gambe corte.

Federico Giusti

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