Industria bellica e movimento antimilitarista
La macchina della morte è uno dei principali assi di crescita dell’economia capitalista. Non si tratta di una scelta spontanea dettata dal mercato, è piuttosto un indirizzo preciso delle istituzioni politiche nazionali e internazionali. Per chiarire questo concetto, riporto di seguito passi di relazioni e comunicati in merito alla macchina della morte: l’industria bellica.
L’industria bellica è il primo settore a cui rivolge l’attenzione Mario Draghi nella sua relazione sulla competitività europea (aprile 2024) “Nel settore della difesa, …, la mancanza di scala sta ostacolando lo sviluppo della capacità industriale europea, un problema riconosciuto nella recente Strategia europea per l’industria della difesa. I primi cinque operatori negli Stati Uniti rappresentano l’80% del suo mercato più ampio, mentre in Europa ne costituiscono il 45%. Questa differenza deriva in gran parte dal fatto che la spesa per la difesa dell’UE è frammentata. I governi non appaltano molto insieme – gli appalti collaborativi rappresentano meno del 20% della spesa – e non si concentrano abbastanza sul nostro mercato: quasi l’80% degli appalti negli ultimi due anni proviene da paesi extra-UE. Per soddisfare le nuove esigenze di difesa e sicurezza, dobbiamo intensificare gli appalti congiunti, aumentare il coordinamento della nostra spesa e l’interoperabilità delle nostre attrezzature e ridurre sostanzialmente le nostre dipendenze internazionali.”
La strategia europea per la difesa è stata presentata dalla Commissione Europea nel marzo 2024. Lo scopo è garantire la preparazione industriale nel settore della difesa nell’Unione europea attraverso una visione chiara e a lungo termine. Il documento presentato dalla Commissione Europea afferma che: “Dobbiamo disporre di sistemi e attrezzature di difesa pronti quando sono necessari e nelle quantità necessarie.
La strategia definisce diverse nuove azioni finalizzate a:
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incoraggiare i paesi dell’UE a investire di più, meglio, insieme e a livello europeo, grazie a nuovi programmi per acquistare e collaborare più facilmente in Europa.
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rendere l’industria europea della difesa più forte, più reattiva e più innovativa. Saranno adottate misure anche per sostenere la ricerca, stimolare gli investimenti e lavorare su problemi inerenti alle catene di approvvigionamento. In questo contesto aprirà a Kiev un ufficio per l’innovazione nel settore della difesa.
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finanziare le operazioni per approntare l’industria della difesa, attraverso un nuovo programma europeo per l’industria della difesa da 1,5 miliardi di euro e discutendo le esigenze in materia di difesa per il prossimo bilancio a lungo termine dell’UE.
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collaborare con partner di tutto il mondo – l’Ucraina ad esempio potrà partecipare ai programmi dell’UE nel settore dell’industria della difesa.”
Anche le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, lette il 31 maggio 2024 all’assemblea dei soci della banca, si occupano di industria bellica: “Politiche comuni sono necessarie nel campo ambientale, della difesa, dell’immigrazione, della formazione, e in altri ancora.
L’impegno finanziario sarà ingente: per le sole transizioni climatica e digitale e per aumentare la spesa militare al 2 per cento del PIL, la Commissione europea stima un fabbisogno di investimenti pubblici e privati di oltre 800 miliardi ogni anno fino al 2030.
Perseguire un piano così vasto a livello nazionale comporterebbe duplicazioni di spesa e la rinuncia alle economie di scala. Incontrerebbe ostacoli nella capacità fiscale di più paesi, con il rischio di compromettere la necessaria ampiezza dell’impegno e di accentuare la frammentazione del mercato unico.
E poiché molti progetti riguardano beni pubblici comuni quali l’ambiente e la sicurezza esterna, un ammontare di investimenti insufficiente danneggerebbe tutti i paesi e tutti i cittadini dell’Unione.
È pertanto necessario, nell’interesse collettivo, realizzare iniziative a livello europeo.”
Il programma che si delinea è particolarmente complesso e si articola su diversi piani: le scelte di bilancio pubbliche, la produzione e distribuzione di armi, sistemi d’arma e munizioni, il che implica interventi sulle infrastrutture e la logistica, il finanziamento cioè, come dice Draghi in un altro passo della relazione citata, “del gap di investimenti dovrà essere coperto da investimenti privati. L’UE dispone di risparmi privati molto elevati, ma sono per lo più incanalati nei depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita come potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Questo è il motivo per cui il progresso dell’Unione dei mercati dei capitali (UMC) è una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività”.
La lotta contro la macchina della morte quindi deve partire dagli impianti produttivi e dai nodi della logistica sul territorio: un movimento sta crescendo su questi temi, sia in generale contro la produzione e il traffico di armi, sia in particolare contro singoli aspetti come la logistica militare che sostiene l’aggressione israeliana contro il popolo palestinese. Bisogna comunque rendersi conto che la nostra lotta non è solo contro i traffici illegali verso stati in guerra, è soprattutto lotta contro il nuovo modello di sviluppo legato alla macchina della morte.
Fermare la macchina della morte non significa solo fermare la principale causa delle guerre, significa costringere i governi a una diversa politica di bilancio, che metta al centro i bisogni delle popolazioni e non i profitti delle lobbies dell’industria bellica e dei circoli militari. La lotta contro la povertà, per un reddito decente e per la riduzione dell’orario di lavoro non potranno non trarre beneficio dalla messa in discussione dei piani degli strateghi della morte.
In questa lotta chi è addetto alle produzioni di guerra ha un ruolo importante. È importante che chi lavora si renda conto di che cosa produce, e si organizzi e intervenga per cambiare queste produzioni, è importante rendersi conto che oggi l’industria bellica è attraversata dai processi di ristrutturazione, delocalizzazione ed esternalizzazione come ogni altra industria; non è quindi più un rifugio sicuro. Tutto questo è importante ma non è sufficiente.
È necessario che il movimento pacifista e antimilitarista nel suo complesso si renda conto della centralità che ha oggi l’industria bellica nei piani di morte dei governi, come lo hanno le operazioni di bilancio e gli investimenti che la alimentano. È necessario che il movimento pacifista ed antimilitarista si liberi da una sorta di feticismo che vede la guerra nei suoi strumenti: anche in questo caso, le cose finiscono per rappresentare le persone e le relazioni tra di esse. La crescente minaccia di guerra si concretizza nella nuova base, nelle produzioni di morte e nei traffici illegali, nella propaganda militarista nelle scuole. Questi fenomeni sono il prodotto delle relazioni di dominio che innervano questa società e generano la guerra, relazioni garantite dal ruolo dei governi. Nonostante quello che ci raccontano i pacifisti istituzionali, la macchina della morte in Italia è prosperata all’ombra dell’articolo 11 e della costituzione “più bella del mondo”. A partire dai territori, a partire dalle fabbriche della guerra e dai nodi della sua logistica, dobbiamo costruire una mobilitazione generale contro i governi e i loro piani di morte.
Tiziano Antonelli