In modo ricorrente un mondo di anime belle e democratiche si sforza di far dire a personaggi istituzionali inequivocabilmente fascisti di essere antifascisti. Siamo immersi nelle pratiche politiche di un governo fascista, che lo è in modo lampante per pensieri parole opere ed omissioni, ma a qualcuno basterebbe sentire qualche parolina magica per illudersi di vivere nel paese tutelato dalla costituzione più bella del mondo.
Questo idiota desiderio sembra talvolta assecondato dai fascisti al governo, che non esitano ad esempio a dichiarare, come ha fatto recentemente la Meloni, che Matteotti “fu ucciso dallo squadrismo fascista”. L’apprezzamento unanime verso questa dichiarazione lascia sbigottiti. A parte il fatto che una constatazione è cosa assai diversa da una presa di distanza, sfugge a certe anime belle che simili dichiarazioni in bocca a una fascista al governo possono avere un sapore rivendicativo e in certo qual modo sinistramente intimidatorio.
Qualche personaggio della destra, più guascone, svicola dalla richiesta di proclamarsi antifascista dicendo che dirsi antifascista è come dirsi antinapoleonico, non ha senso, non serve, dal momento che il fascismo non c’è più. Dispiace constatare che si tratta di una risposta azzeccata e che la banalizzazione del termine è la comprensibile risposta a chi stupidamente vuole banalizzare il significato politico dell’antifascismo.
Curiosamente poi accade spesso che nelle contestazioni antifasciste, la destra accusi di neofascismo, fascismo rosso, chi contesta, spostando il significato del termine verso quello di una generica intolleranza e contribuendo contemporaneamente a un depotenziamento lessicale e politico del termine fascista.
Quanto sono importanti le parole! A distanza di pochi giorni abbiamo sentito il papa usare il termine frociaggine, la Meloni usare il termine stronza in contesto istituzionale e naturalmente ciò ha suscitato scalpore. A dire il vero, il papa non ha fatto che sintetizzare il suo santo pensiero nonché la dottrina della Chiesa più volte ufficialmente e autorevolmente espressa riguardo all’omosessualità, e non solo dai suoi ipertradizionalisti predecessori Wojtyla e Ratzinger, ma anche da lui stesso medesimo, persino nella recentissima Dignitas infinita. È anche vero che probabilmente il suo pensiero non era rivolto tanto all’universo delle libere soggettività quanto alla “lobby gay” vaticana, ma qui ci interessa soprattutto sottolineare la scelta terminologica sguaiata, certi, poiché siamo persone di fede, che il dogma dell’infallibilità del papa è sacrosanto e che non si può certo dire, come fanno quei miscredenti in Vaticano, che il papa ha sbagliato.
La Meloni ha voluto evidentemente fare un’esibizione muscolare in contesto istituzionale, rivendicando per sé stessa un appellativo frequentemente rivoltole. Campagna elettorale, ha detto qualcuno, necessità di rinverdire il consenso dei suoi, sempre plaudenti ai gesti muscolari e quindi in trepida attesa di qualche atteggiamento aggressivo che non faccia sfigurare rispetto a Salvini, il quale ora, portandosi al seguito Vannacci, sta guadagnando in scorrettezza.
Ma è di parole che vogliamo parlare. E lo sdoganamento di termini che violano il politically correct ha un impatto non banale. Matteotti non solo fu assassinato, ma, come noto, l’assassinio fu rivendicato da Mussolini che davanti alla Camera dei deputati se ne assunse la responsabilità politica morale e storica dichiarandosi pubblicamente capo di una associazione a delinquere.
Non voglio fare paragoni che sarebbero solo improprie forzature, ma parlare di suggestioni, perché le parole sono evocative e la comunicazione non è mai casuale, tanto meno quella che vuole essere provocatoria. E allora, da parte della Meloni, controbilanciare l’ovvietà della dichiarazione che Matteotti fu ucciso dallo squadrismo fascista caricando l’altro piatto della bilancia con una violazione comunicativa del politically correct, rivendicandosi orgogliosamente come stronza in un momento istituzionale, è un gesto comunicativo che pure nella sua miseria e nella evidente sproporzione, evoca qualcosa e qualcuno.
L’audacia comunicativa finalizzata a rafforzare atteggiamenti discriminatori e razzisti, il disprezzo per il linguaggio politically correct e per quei pur minimi elementi di tolleranza sociale formalmente condivisi, il culto del “gesto energico”, il voler presentare questa violenza comunicativa come espressione della schiettezza del pensiero popolare, mentre invece si tratta della violenza con cui il potere ha sempre esercitato il dominio, l’esclusione, la discriminazione, l’ignoranza: anche questo rappresenta un esempio del dispiegarsi del fascismo che non va sottovalutato.
Patrizia Nesti