Valditara, ministro dell’istruzione e del “merito”, continua imperterrito nella sua azione tesa a scardinare definitivamente la scuola pubblica e a consegnarla nelle mani della Confindustria; lo fa introducendo il cavallo di Troia della sperimentazione della filiera tecnologico-professionale col DM 240/23 anticipatorio del DDL 924 ancora in fase di approvazione. Un anno in meno di durata del corso di studi, che da quinquennale diventa quadriennale, ore esternalizzate alle imprese, crescita smisurata dell’alternanza scuola lavoro e introduzione di fatto dell’apprendistato. A ridurre di 1 anno il percorso di studi ci hanno provato, anni fa, prima Luigi Berlinguer e poi la Moratti, ma hanno miseramente fallito.
Valditara ci riprova ora con l’ardore del missionario, quindi con messaggi forse anche troppo espliciti, come quando in Calabria ha esposto gli obiettivi della filiera: “Far nascere un’offerta scolastica tecnico-professionale per la formazione di tutte quelle maestranze che saranno necessarie sia per la costruzione del Ponte sullo Stretto ma soprattutto per la gestione e lo sviluppo di quelle straordinarie potenzialità che questa opera genererà per il territorio”.
Poiché il DDL 924 non è stato approvato in tempi congrui con l’inizio delle iscrizioni al primo anno delle scuole superiori, Valditara, per sfornare la sua sperimentazione, ha dovuto ricorrere al DPR 275/1999, il cosiddetto “regolamento dell’autonomia” di Berlinguer; questo non potrebbe essere di buon augurio visto che mostra già una debolezza iniziale.
Quindi in sostanza Valditara coniuga il risparmioso obiettivo berlingueriano della riduzione a 18 anni con la svendita della scuola ex pubblica all’industria. Che le cose stiano in questo modo lo dimostrano i complimenti e gli elogi fatti da Confindustria al DDL 924 durante l’audizione parlamentare del 5/12/2023 dove, tra i punti più significativi, Confindustria individua:
“L’esplicito collegamento tra istruzione tecnico-professionale e mercato del lavoro, con un riconoscimento – ampio e condivisibile – del ruolo educativo delle imprese nella sperimentazione, sia attraverso le docenze di soggetti del mondo del lavoro e delle professioni (articolo 1, comma 6, lettera e) sia con le attività di co-progettazione dei percorsi PCTO (alternanza scuola-lavoro) e apprendistato (articolo 1, comma 7, lettera b).”
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In sostanza la filosofia di Valditara è molto semplice: il diploma serve per trovare lavoro e quindi creiamo un ponte o meglio un miscuglio tra scuola e industria in modo che trovare lavoro sarà più facile perché mentre si studia già si lavora. Peccato che al nostro sfuggono tre questioni essenziali:
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la scuola è una istituzione e l’industria no, quindi non si possono mischiare;
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la scuola ha in primis il dovere istituzionale di formare il cittadino fornendo una istruzione di base a largo raggio che, tra le altre cose, fornisca anche un orientamento sui possibili percorsi lavorativi;
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inserire direttamente in ambito lavorativo gli studenti già a 15 anni, senza che abbiamo acquisito conoscenze di base approfondite anche sui diversi aspetti della tecnologia, creerà soggetti privi di retroterra culturale e quindi di flessibilità intellettuale destinati a rimanere manodopera di basso livello che si adatterà difficilmente ai frenetici sviluppi della tecnologia stessa.
Occorre quindi opporsi fino in fondo a questo subdolo piano di privatizzazione e distruzione definitiva della scuola pubblica; infatti se questa, che per ora passa come sperimentazione, dovesse prendere piede, affosserebbe gli attuali istituti tecnici e professionali quinquennali e si aprirebbe una sorta di concorrenza sleale con gli attuali licei che entrerebbero in crisi.
Bisogna inoltre pensare alla crisi occupazionale che si originerebbe tra il personale della scuola. Infatti, anche se il DM 240/23 a parole garantisce il mantenimento degli organici, in realtà, mentre il personale di ruolo non verrà licenziato e andrà a smaltimento, per molti anni rimarrà disoccupata buona parte degli oltre 200mila precari che attualmente con supplenze annuali mandano avanti la scuola italiana.
Vediamo adesso a che punto è il DDL 924, senza la cui approvazione la sperimentazione è priva di una vera copertura: il 28 dicembre 2023 il Senato ha approvato il testo emendato del DDL AS 924-A concernente l’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale, il provvedimento è ora passato al vaglio della VII commissione della Camera.
Rispetto al testo originario gli emendamenti accolti sono pochi e hanno praticamente lasciato inalterato l’impianto complessivo.
Vale però la pena di segnalare l’emendamento della maggioranza 1.59 secondo cui gli allievi/e che si iscrivono per l’anno formativo 2024/2025 a un percorso IeFP (Istruzione e Formazione Professionale), una volta diplomati, avranno accesso diretto agli ITS (Istituti Tecnici Superiori) Academy, potranno sostenere l’esame di Stato presso un istituto professionale, statale o paritario, in deroga non solo al previo sostenimento dell’esame preliminare, ma anche alla prevista frequenza dell’apposito corso annuale di cui all’articolo 15, comma 6, del DLgs 226/2005.
In sostanza i percorsi IeFP vengono equiparati in tutto a quelli dei tecnici e dei professionali aderenti alla filiera che dopo 4 anni prevedono la possibilità per gli allievi di accedere direttamente all’esame di stato onde poter proseguire anche con percorsi universitari o di AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale) oltre che accedere direttamente agli ITS Academy.
Si tratta quindi di una iscrizione al buio pochè non è garantito che alla Camera non vengano apportate modifiche a quanto sopra. Senza contare che per avviare la filiera servono ulteriori decreti che esplicitino l’iter procedurale e che attualmente non ci sono.
Intanto Valditara va avanti a pezzi e bocconi e pubblica il decreto per mettere in piedi “l’osservatorio nazionale per l’istruzione tecnica e professionale” composto di 15 “esperti” in istruzione tecnica e professionale, osservatorio che include rappresentanti del Ministero, delle organizzazioni sindacali e datoriali, delle Regioni, dell’ANCI, dell’UPI, di Unioncamere, dell’INVALSI e dell’INDIRE.
Valditara non si contenta della filiera tutta tesa a produrre manodopera su misura (quello che chiamano il capitale umano), vuole esasperare la dualità del sistema di istruzione italiano erede della riforma fascista di Gentile del 1923 riportandolo alle origini. Infatti “la più fascista delle riforme”, come la definì Mussolini, rimase in vigore nelle sue linee essenziali anche dopo l’avvento della Repubblica, fino a quando il parlamento italiano, con la legge 31 dicembre 1962 n. 1859, abolì la scuola di avviamento professionale creando la cosiddetta scuola media unificata. E infatti è proprio questo il punto: Valditara sotto mentite spoglie vuole reintrodurre per i tecnici ed i professionali l’avviamento professionale tramite l’apprendistato a 15 anni e l’aumento smisurato dei PCTO. A questo punto mancherebbe solo un ultimo tassello per regredire completamente al 1923: chi segue il percorso della filiera 4+2 non dovrebbe potersi iscrivere all’Università.
Quindi divisione tra licei (che devono formare la classe dirigente), istituti tecnici e professionali quinquennali che si vogliono far sparire e il nuovo avviamento professionale chiamato ora filiera 4+2 che deve formare manodopera più o meno qualificata, questo è il piano.
In questa ottica Valditara ha dato il via anche al liceo del Made in Italy.
Lo scorso 20 dicembre il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge «per la valorizzazione, la promozione e la tutela del Made in Italy». Questo provvedimento ha introdotto il cosiddetto “liceo del Made in Italy” ed è entrato in vigore l’11 gennaio. Entro 90 giorni da questa data, quindi entro l’11 aprile 2024, su proposta del Ministero dell’Istruzione e del Merito dovrà essere approvato un regolamento con due obiettivi: definire gli orari degli insegnamenti previsti nei cinque anni del nuovo liceo e stabilire i risultati di apprendimento per gli studenti che lo frequenteranno. La stesura di questo regolamento dovrà rispettare alcuni criteri fissati dalla legge. Tra le altre cose, gli studenti dovranno imparare due lingue straniere e sviluppare «competenze imprenditoriali idonee alla promozione e alla valorizzazione degli specifici settori produttivi del Made in Italy». Alcune delle conoscenze specifiche trasmesse dal nuovo liceo dovranno riguardare «principi e strumenti per la gestione d’impresa» e «tecniche e strategie di mercato per le imprese del Made in Italy».
Quindi secondo Valditara questo nuovo liceo dovrà formare i futuri imprenditori che daranno lavoro a chi esce dalla filiera 4+2 e qui si chiude il cerchio: la scuola deve divenire serva dell’industria, servire solo a formare imprenditori e maestranze, il resto non ha importanza. In attesa dell’approvazione di questo regolamento, è stata prevista una procedura provvisoria in vista del prossimo anno scolastico, quello 2024-2025. Lo scorso 29 dicembre il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha così pubblicato un piano di studi con gli orari degli insegnamenti relativi solo ai primi due anni del nuovo liceo.
Vista la fretta e l’improvvisazione con cui è stato messo in piedi questo liceo e visto che manca ad oggi addirittura il regolamento con il piano di studi definitivo, è sconsigliabile l’iscrizione a questo liceo nelle pochissime scuole che hanno aderito, perché è una iscrizione al buio.
Nonostante la pressione operata da Valditara sui dirigenti scolastici e le scorrettezze commesse da alcuni di essi per far digerire ai collegi dei docenti la sperimentazione della filiera e del liceo made in Italy e nonostante i proclami entusiasti del ministro che sbandiera l’adesione di 171 istituti alla filiera, tra cui inserisce anche scuole italiane all’estero e scuole private, possiamo affermare che queste sperimentazioni risultano un sonoro fiasco. Il 12 gennaio era il termine, per le scuole, per aderire alle sperimentazioni, ma i dati diffusi sul numero di scuole che hanno aderito evidenzun clamoroso flop.
Infatti il numero totale di istituti tecnici e professionali statali in Italia è 3477 a cui però vanno sommati i percorsi Iefp per un totale di circa 4000 unità. E su 4000 istituti, ci sono state solo 171 adesioni alla filiera, cioè solo un misero 4,2% del totale.
Per quanto riguarda il liceo Made in Italy, i dati ufficiali parlano di 120 adesioni, cioè solo il 24% degli attuali licei delle scienze umane che avevano i requisiti hanno aderito.
Dopodichè bisogna vedere le iscrizioni alle classi prime dei nuovi indirizzi, iscrizioni che si concludono a metà febbraio. E non è detto che questa misera percentuale sia mantenuta col numero delle classi che verranno attivate in base alle iscrizioni.
Claudio Galatolo
segretario regionale toscano Unicobas Scuola e Università