Lo stato è il problema

da “Dittatura e Rivoluzione” di Luigi Fabbri

Lo Stato, – cioè l’istituzione governativa, che fa le leggi e le impone con la forza coercitiva, con la violenza o la minaccia della violenza, – ha una sua vitalità propria, e costituisce con i suoi componenti stabili o elettivi, coi suoi funzionari o magistrati, coi suoi gendarmi e con i suoi clienti, una vera e propria classe sociale a parte, divisa in tante caste per quante sono le ramificazioni del suo potere; e questa classe ha degli interessi suoi speciali, parassitari od usurai, in conflitto con quelli della restante collettività che lo Stato pretende di rappresentare.

Questa enorme piovra è la nemica naturale della società, dalla quale succhia il suo alimento. Anche in regime capitalistico, dove lo Stato è l’alleato naturale e la garanzia materiale, armata, del privilegio economico, non sono i soli lavoratori coscienti a vedere nello Stato un nemico; ma sente per lui dell’avversione anche una parte della borghesia, la quale nel governo vede un concorrente che le ruba col fiscalismo una parte de’ suoi benefici e le impedisce di sviluppare ed esercitare oltre certi limiti la sua funzione sfruttatrice. Basti ricordare, a tal proposito, certe filippiche contro lo Stato di Bastiat, di Spencer, ecc. i quali pure furono tutt’altro che anarchici.

Questi scrittori borghesi però non giungono alle ultime conclusioni della loro critica; considerano bensì lo Stato un male, ma un male necessario. Si capisce che essi lo reputano necessario…. a difendere contro i lavoratori il privilegio della proprietà. Cotesti sociologi borghesi vogliono semplicemente restringere e limitare le funzioni dello Stato a quelle di guardia armata della proprietà; e quindi si guardano bene dal patrocinarne l’abolizione.

Ma essi cadono in grave errore. Lo Stato, essendo il depositario della maggior forza fisica e materiale, ha troppo potere nelle mani per adattarsi ad essere il semplice guardiano dei capitalisti, e stare al loro guinzaglio. Il capitalismo ha bensì nello Stato un alleato altrettanto potente di lui, che con lui divide le spoglie dello sfruttamento e dell’oppressione a danno delle classi soggette; ma lo Stato dà all’occorrenza prove d’indipendenza dal suo alleato, e non è raro il caso – in circostanze speciali e quando la stupidaggine dei sudditi lo permette – ch’egli cerchi negli stessi sfruttati o in certe loro categorie un aiuto a danno di una parte della classe sfruttatrice, per mantenersi al potere contro dei rivali da questa preferiti.

Naturalmente sono baruffe che presto si accomodano a danno dei lavoratori. Capitalismo e Stato non tardano a ritornare amici, come i proverbiali ladri di Pisa. Ma questo non comprendono i socialisti autoritari; o per lo meno, pur comprendendolo, dai passeggeri conflitti fra Stato e Capitalismo han derivata forse in parte la loro illusione di servirsi utilmente dello Stato nella lotta contro lo sfruttamento, ed anche di farne in avvenire, dopo averlo conquistato, il supremo gestore della proprietà socializzata. Grave errore è questo – uguale, sebbene in senso opposto, all’errore dei critici borghesi dello Stato – anche se loro intenzione è di limitare i poteri del governo, di eliminarne alcune sue attuali attribuzioni, di colpirne la piovra in alcuni suoi tentacoli: e ciò, anche se loro speranza è che la funzione dello Stato scompaia, dopo che abbia con la forza della sua autorità soppresso il privilegio economico.

Intenzione illusoria e vana speranza!

Colpire la piovra statale in alcuni tentacoli, lasciando vivi gli altri, significherebbe vederla rinascere ognora più minacciosa; non colpirla direttamente alla testa, ma limitarsi ad assalire il Capitalismo suo alleato, sarebbe un dannarsi al lavoro di Sisifo. «Se il Capitalismo fosse distrutto e si lasciasse sussistere un governo, questo governo mediante la concessione di ogni sorta di privilegi, lo creerebbe di nuovo, poichè. non potendo contentare tutti, avrebbe bisogno di una classe economicamente potente, che lo appoggerebbe, in cambio della protezione legale e materiale che ne riceve».

«Non giova il dire (scriveva Errico Malatesta più di venti anni fa) che quando non vi saranno più classi privilegiate, il governo non potrà che essere l’organo della volontà collettiva; i governanti costituiscono essi stessi una classe, e tra loro si sviluppa una solidarietà di classe ben più potente di quella che esiste nelle classi fondate sui privilegi economici. È vero che oggi il governo è servo della borghesia, ma più che perché Governo, lo è perché i suoi membri sono borghesi; del resto in quanto è Governo, esso, come tutti i servi, inganna il suo padrone e lo ruba.

«Chi sta al potere vuole restarci e vuole a qualunque costo far trionfare la sua volontà, e poiché la ricchezza è strumento efficacissimo di potere, il governante, se anche non abusa e non ruba personalmente, fomenta intorno a sé il sorgere di una classe che deve a lui i propri privilegi ed è interessata alla sua permanenza al potere. I partiti di governo sono nel campo politico quel che sono le classi proprietarie nel campo economico.

«…Proprietà individuale e potere politico sono i due anelli della catena che avvinghia l’umanità..Non è possibile liberarsi dall’una senza liberarsi dall’altro. Abolite la proprietà individuale senza abolire il governo, e quella si ricostituirà per opera dei governanti. Abolite il governo senza abolire la proprietà individuale, ed i proprietari ricostituiranno il governo.

«Quando Federico Engels, forse per parare la critica anarchica, diceva che sparite le classi lo Stato propriamente detto non ha più ragion d’essere e si trasforma da governo degli uomini in amministrazione delle cose, non faceva che un vacuo gioco di parole. Chi ha il dominio sulle cose ha il dominio sugli uomini, chi governa la produzione, governa il produttore; chi misura il consumo è il signore del consumatore.

«La questione è questa: o le cose sono amministrate secondo i liberi patti degli interessati e dagli interessati stessi, e allora è l’anarchia, o esse sono amministrate secondo la legge fatta dagli amministratori e allora è il governo, è lo Stato, e fatalmente riesce tirannico».

Si direbbe che perfino nelle costruzioni ideologiche – dove è assai più facile che nella realtà pratica conciliare l’inconciliabile – sia impossibile immaginare una completa emancipazione economica ed una vera libertà dei lavoratori sotto la tutela dello Stato!

In questa verità consiste la base fondamentale, la caratteristica principale dell’anarchismo. Ecco perché gli anarchici non sono caduti – meno rare eccezioni – durante la guerra ultima, nell’errore di dimenticare che la pace dei governi non avrebbe mai potuto essere la pace dei popoli; e che in realtà se gli anarchici erano contrari alla guerra, ciò fu non perché essa era una guerra, ma perché non era la loro guerra, – non era la guerra santa per la libertà e per il proletariato.

Luigi Fabbri

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