Il “G20” è uno dei numerosi incontri internazionali che infestano il pianeta e che di solito servono a tutto fuorché a risolvere i suoi problemi globali. Prima del vertice di quest’anno, che si è tenuto in India, si è svolta (il 6 settembre) anche una riunione indetta da giornalisti che lavorano in alcuni dei paesi che fanno parte del G20, un incontro chiamato “M20 Media Freedom Summit”.
Gli argomenti trattati in questo incontro sono stati molti e la maggior parte hanno sicuramente una importanza globale non solo per gli addetti ai lavori ma anche per il resto della popolazione.
Molto spazio hanno avuto gli interventi riguardanti le ormai famigerate “fake news”: alcuni si sono lamentati della minaccia che la loro diffusione nei social media porta al lavoro dei giornalisti. Un attacco che avrebbe come scopo addirittura quello di distruggere la professione di giornalista, trasformando l’informazione e la comunicazione in un dibattito rissoso da bar. Altri hanno segnalato l’ennesima iniziativa, in questo caso promossa dall’inglese BBC, che avrebbe l’obiettivo di combattere le “fake news” attraverso un dialogo tra i produttori di notizie e le grandi piattaforme tecnologiche. Tra gli strumenti previsti una sorta di “allarme” che avverta gli addetti ai lavori nel caso le notizie false diffuse diventino di tendenza.
Altri interventi, più interessanti, hanno stigmatizzato la tendenza di alcuni politici (che spesso ricoprono incarichi governativi) a prendere di mira determinati giornalisti perché i loro articoli sono critici verso il loro operato. Non li invitano alle conferenze stampa o alle loro manifestazioni e a volte incitano i loro sostenitori sui social media ad attaccarli. Qualcuno ha ricordato che i problemi sorti quando nel 2013 vennero pubblicate su alcune testate giornalistiche le rivelazioni di Edward Snowden furono superati solo grazie a una collaborazione a livello internazionale che riuscì a battere chi avrebbe preferito il silenzio su quella vicenda. Per chi non lo ricordasse Snowden rivelò molti dei sistemi di controllo delle informazioni e della popolazione usati, più o meno legalmente, dai governi di tutto il Mondo. Qualcuno ha anche ricordato che i costi che devono sostenere coloro che vogliono fare informazione indipendente su Internet spesso rendono impossibile la loro esistenza se non ricorrendo a sponsorizzazioni che poi spesso influenzano le informazioni.
Tra gli interventi più interessanti quello di un giornalista che ha ricordato come la rivoluzione digitale portasse con sé una nuova speranza per la democrazia, per la condivisione della conoscenza, per la comunicazione senza confini e per la partecipazione dei cittadini. Oggi invece anche nelle democrazie elettive viene represso il giornalismo indipendente e lo strapotere delle piattaforme digitali stia deludendo quella speranza. Come dimostrato dalla storia di Wikileaks il cui fondatore Julian Assange sta oggi pagando un prezzo troppo alto per il suo impegno.
La cosa più significativa che però, in alcuni casi, è stata passata in secondo piano o è stata taciuta del tutto è che questa riunione, organizzata prima dell’apertura del summit proprio per portare le tematiche della libertà di informazione all’attenzione del G20, si sia svolta on-line (nove fusi orari differenti) e non dal vivo. Questo è avvenuto “a causa delle politiche restrittive del governo indiano – con visti per conferenze e visti giornalistici soggetti a livelli proibitivi di controllo” (da https://thewire.in/media/g20-m20-media-freedom-summit)
Basterebbe anche solo quest’ultimo fatto a dirla lunga sulla situazione della comunicazione e dell’informazione nel XXI secolo.
Tratto da pepsy.noblogs.org
Pepsy