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Roma: Stop Memorandum Italia-Libia

Roma: Stop Memorandum Italia-Libia

Il 15 ottobre, come gruppo Mikhail Bakunin FAI Roma&Lazio abbiamo deciso di scendere in piazza nel percorso della Rete Antirazzista e di Black Lives Matter Roma. È stata una giornata di lotta internazionale proposta da Abolish Frontex, dedicata principalmente a denunciare i crimini di Stato che, attraverso il Memorandum degli accordi Italia-Libia, si perpetrano in virtù dell‘esternalizzazione delle frontiere di molti paesi europei, in primis l’Italia. Inoltre è stata per noi, anche nel solco delle iniziative promosse dall’Assemblea Antimilitarista, un’occasione per amplificare le voci dei disertori di tutte le guerre, a cominciare da quelli provenienti da Russia, Bielorussia e Ucraina, dove il rischio di una guerra nucleare è più imminente. Attualmente ci sono molte guerre invisibili, esterne e interne ai confini nazionali, che vanno denunciate e contrastate. In diverse zone dell’Africa, ad esempio, per la scelta neocoloniale di paesi come l’Italia, chi fugge da queste realtà è minacciato di persecuzione e pena di morte sia nei paesi di provenienza che nei paesi limitrofi, strategici per la difesa della fortezza-Europa e che, di fatto, bloccano le migrazioni attraverso dei lager di frontiera. I confini dell’Europa vengono poi chiusi a chiunque possa potenzialmente rappresentare un problema, come i dissidenti russi, i militanti per i diritti umani in Afghanistan, i membri dell’opposizione turca o le persone in fuga dalla Siria. Nel 2015, per poter finanziare questi lager di frontiera, l’UE ha creato un fondo fiduciario per l’Africa, il cosiddetto EU Trust Fund for Africa: un presunto fondo di emergenza, inizialmente di 1,8 miliardi poi aumentato fino a 4,3 miliardi di euro, di cui oltre 4 miliardi provenienti dal fondo UE per gli aiuti e la cooperazione allo sviluppo.

Questi fondi sono stati distribuiti tra i paesi interessati alla rotta del Mediterraneo centrale: Libia, Mali e Niger nella regione del Sahel; ed Etiopia, Eritrea, Somalia e Sudan nel Corno d‘Africa.

Nonostante le gravi violazioni dei diritti umani di cui è stato accusato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, nel 2016 l’UE ha firmato il cosiddetto “EU-Turkey Deal”, un accordo con la Turchia che oltre a sigillare i confini al passaggio delle persone in fuga dalla Siria e dai paesi del Nord Africa, ha lo scopo di bloccare l’ingresso dei migranti in Grecia. In cambio il governo turco avrebbe ricevuto la somma di 6 miliardi di euro. L’accordo dell’Ue con la Turchia ha provocato drammatiche violazioni dei diritti umani, costando la vita a molti migranti siriani.

Aprire le frontiere e abbattere i lager dove vengono sequestrati, torturati ed uccisi i migranti è l’unica risposta che l’umanità può dare a questa violenza crescente. Le persone hanno diritto di migrare per vivere e devono poter raggiungere qualsiasi paese ritengano possa garantirgli una vita migliore. Le attuali politiche mondiali contrastano ferocemente la libera circolazione delle persone non appartenenti ai paesi ricchi, attraverso respingimenti, legali o illegali, attuati con i più sofisticati sistemi di controllo del territorio. L’Italia ha sempre avuto un ruolo centrale nell’esternalizzazione della propria frontiera ed è uno dei principali paesi beneficiari del fondo fiduciario per l’Africa. Per decenni è stato uno dei paesi europei col maggiore flusso migratorio proveniente dal continente africano ed ha per questo concentrato le sue politiche verso quei paesi d’origine o di transito sulla rotta del Mediterraneo centrale: Libia, Ciad, Niger, Tunisia ed Egitto.

Già dal settembre 2017 il governo italiano ha intensificato la pratica di esternalizzazione dei propri confini con la firma della cosiddetta Intesa Tecnica con la repubblica del Niger del presidente Mahamadou Issoufou. L‘accordo bilaterale di cooperazione nel campo della sicurezza tra Italia e Niger, firmato dall‘allora Ministro della Difesa Roberta Pinotti e dal collega nigerino Kalla Moutari, prevedeva un finanziamento pari a 50 milioni di euro da parte dell’Italia. In base a questo accordo, nel gennaio 2018, il Parlamento ha tracciato la nuova rotta delle missioni militari all’estero. Nonostante le Camere fossero sciolte, il governo approvò “urgentemente” il dispiegamento di truppe in Niger, Libia, Tunisia, Marocco e Repubblica Centroafricana. La missione italiana in Niger si concretizzò nello schieramento di un contingente forte di 470 militari, 130 mezzi terrestri, due aerei ed equipaggiamenti logistici. L’approvazione da parte dell’Italia di una missione in Niger aveva come chiaro obiettivo strategico il controllo dei flussi migratori e la complessa stabilizzazione della Libia, trasformando il Niger nella nuova frontiera meridionale d’Europa. Allo stesso tempo mirava al rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine e dei paesi del G5 Sahel o G5S (organismo di coordinamento e monitoraggio in fatto di politiche di sviluppo e sicurezza composto da cinque stati: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad; creato durante un summit del 15 gennaio 2014) tramite lo sviluppo e l’addestramento delle forze di sicurezza nigerine e la creazione in loco di lager per facilitare i rimpatri.

La Libia rimane tuttavia il paese principale per tali tipi di accordi. A cominciare dal trattato Italia-Libia siglato a Bengasi il 30 agosto 2008, approvato e reso esecutivo con la legge del 6 febbraio 2009, che all’art.19 comma 2 e 3 prevede espressamente aiuti e finanziamenti italiani ed europei per il contrasto dell’immigrazione irregolare che arriva e proviene dal territorio libico. Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia ha subito un crollo vertiginoso, soprattutto dopo gli accordi del governo Berlusconi con quello libico di Gheddafi e il conseguente susseguirsi di decreti in materia di immigrazione e sicurezza interna. Una legge, quella del 2009, che verrà poi estesa al Memorandum d’Intesa firmato il 2 febbraio 2017 dall’ex Primo Ministro Paolo Gentiloni (e dall’allora ministro dell’interno Marco Minniti) con il governo libico di Fayez al Serraj.

La stessa linea di Minniti fu mantenuta col Decreto Sicurezza Bis, il decreto legge n.53 del 14 giugno 2019, approvato definitivamente dal Senato il 5 agosto del 2019. Il provvedimento, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, regolamentava, tra le altre cose, la chiusura dei porti italiani alle navi delle Ong che soccorrono i migranti, stabilendo le sanzioni in caso di forzatura del blocco, come accadde a fine giugno dello stesso anno a Lampedusa, quando la capitana della Sea Watch, Carola Rackete decise di entrare in porto nonostante il divieto imposto dal ministero dell’Interno.

La ministra Luciana Lamorgese ha introdotto col decreto ‘immigrazione-sicurezza’ (d.l. 21 ottobre 2020, n. 130 convertito, con alcune modifiche, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 173.) una clausola securitaria che prevedeva la flagranza di reato differita per i richiedenti asilo che compiono atti di danneggiamento e vandalismo dei lager in Italia, col risultato di alimentare un meccanismo di continui transiti tra hotspot, CPA e CPR. Chi è disperato e ha subito vessazioni, torture e violenze di ogni genere, si ritrova imprigionato in questi non-luoghi, portandosi spesso dietro un tale trauma psicologico che conduce molte persone a sviluppare patologie di lunga durata come una depressione cronica o dei disturbi post-traumatici. Qualora invece riuscisse a mettersi alle spalle l’orrore dei lager, rimarrebbe comunque un/a cittadinx di serie B, congiuntamente alla propria prole nata in Italia (ma da genitori stranieri) che non potrà accedere automaticamente alla cittadinanza italiana, pur essendo nata e cresciuta in questo paese e che andrà incontro a tutta una serie di vincoli e di limitazioni nella propria vita quotidiana.

Gruppo Mikhail Bakunin FAI Roma&Lazio

gruppobakunin@federazioneanarchica.org

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