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Iran: le donne lottano in autonomia

Iran: le donne lottano in autonomia

Smascherare la falsa solidarietà di chi sostiene l’oppressione

Sono due settimane che non riesco a staccare gli occhi dagli schermi del mio portatile e del mio cellulare, gli unici mezzi che mi collegano all’Iran in questo momento. Ho passato innumerevoli ore a guardare i video delle proteste nella mia città natale dove ho vissuto, riconoscendo alcune strade, negozi e luoghi – scene familiari, vividi ricordi di grandi o piccole rivolte del passato.

È sempre più difficile riuscire a lavorare o a dormire senza svegliarsi con il battito cardiaco accelerato. È snervante guardare le proprie sorelle che vengono picchiate dalla polizia e da teppisti in borghese, dalla sicurezza della propria casa qui in Europa. Non puoi partecipare alla loro lotta; il senso di colpa e la solitudine sono tutto ciò che riempie le mie giornate adesso.

Tuttavia, unirmi alle manifestazioni organizzate dai gruppi di esuli in Europa mi farebbe sentire ancora più colpevole. Colpevole di essere in linea con coloro che hanno costantemente lavorato per rafforzare l’oppressione sugli iraniani e intensificare il loro dolore. Questi stessi gruppi stanno organizzando manifestazioni che fingono di sostenere le proteste, ma che in realtà si appropriano di una lotta originale, utilizzandola per ricevere ulteriori finanziamenti dai loro padroni.

Tra i principali gruppi di opposizione che organizzano raduni in esilio c’è il MEK [Mojahedin-e Khalq – Mojahedin del popolo iraniano], un sorta di setta, finanziata da sauditi, Israele e neo-conservatori statunitensi, addestrata dal Mossad. Negli ultimi anni hanno costantemente esercitato pressioni sui politici dell’UE e degli Stati Uniti per imporre ulteriori sanzioni all’Iran. Insieme ai loro capi hanno cercato di sostenere che le sanzioni colpiscono solo le élite al potere, ma in realtà le sanzioni hanno distrutto milioni di vite iraniane. Contrariamente a quanto sostengono, il Paese non è stato in grado di acquistare medicine vitali come i farmaci chemioterapici per il cancro e gli agenti di coagulazione del sangue per gli emofiliaci. Le consegne del vaccino COVID-19 sono state ritardate per mesi a causa dell’embargo, costando decine di migliaia di vite.
In un discorso a una convention del MEK, l’ex avvocato di Trump, Rudi Giuliani, che ha sostenuto    questa setta per anni, ha descritto l’effetto delle sanzioni come segue:

“Le sanzioni stanno funzionando… vediamo giovani uomini e donne che dicono: datemi un po’ di cibo, vediamo uomini che cercano di vendere i loro organi interni per 500 dollari americani. Questo è il tipo di condizioni che portano alla rivoluzione, se Dio vuole, una rivoluzione non violenta!”.

E in effetti le sanzioni hanno reso le rivolte più frequenti, ma con minori probabilità di successo. I lavoratori non sono più in grado di partecipare agli scioperi, per paura di morire di fame. Milioni di persone sono semplicemente troppo povere per organizzarsi. La maggior parte degli iraniani non può permettersi di mobilitarsi per settimane o mesi. Coloro che impongono le sanzioni all’Iran non vogliono che le rivoluzioni progressiste abbiano successo, cercano la guerra civile, scontri periodici ed un continuo attrito.

Nelle manifestazioni in tutta Europa e negli Stati Uniti, i monarchici che mirano a riportare in patria il figlio dello Scià sono visibilmente attivi. Insieme al MEK, hanno chiesto più sanzioni e persino un intervento militare in Iran, e i loro leader appaiono spesso nei media israeliani di destra. Questi fascisti pan-iraniani si definiscono ariani e lodano il re spodestato, Mohammadreza Pahlavi, per la repressione sui curdi ed altri popoli dell’Iran. 
E c’è anche la tanto celebrata icona “femminista”, Masih Alinejad. In questi giorni la si vede su quasi tutti i canali televisivi occidentali che invitano “femministe” di destra e di sinistra del mondo a sostenere le donne iraniane.

Si lamenta di come “le persone che hanno protestato per la morte di George Floyd stiano ora trascurando la lotta delle iraniane” e poi afferma che glx iranianx sono felicx delle sanzioni e ne chiedono altre.

I giornalistx che intervistano questa sedicente leader non si preoccupano di cercare su Google il suo nome per vedere la sua foto mentre stringe la mano a Mike Pompeo, scoprendo che ha ricevuto pubblicamente circa 500.000 dollari in fondi per legittimare le sanzioni, oltre ai soldi che guadagna attaccando il logo della sua “campagna” online ai video delle proteste, vendendoli alle agenzie di stampa e ai media.

Ognuno di questi gruppi ha un esercito di troll che non tardano a molestare chiunque si opponga alle loro menzogne o abbia un’opinione leggermente diversa mediante gli insulti sessisti e le minacce di morte. Per loro, chiunque osi dissentire è un apologeta del regime, un traditore e merita l’impiccagione. La sinistra è il loro bersaglio principale. Prendono di mira praticamente tutti, dagli artisti ai registi che osano lavorare sotto la repubblica islamica, alle ragazze hijabi che di recente hanno dato il via a una campagna contro l’obbligo dell’hijab.
Le donne iraniane non hanno bisogno della solidarietà di queste bande. Da anni lottano autonomamente contro l’umiliante polizia morale. Sono state sbattute in prigione, hanno rischiato la vita e hanno rinunciato alla loro vita al sicuro.

Hanno persino mandato avanti le proprie azioni con proprie simbologie. Tutta la loro vita è resistenza, sono riuscite a far arretrare gli integralisti religiosi un passo alla volta.

In una strada trafficata di Teheran, Vida Movahedi è diventata un simbolo della sfida all’Hijab obbligatorio, stando tranquillamente in piedi su una cassetta di metallo sventolando il suo foulard bianco su di un bastone. Si è rifiutata di allinearsi o di parlare con “finte attiviste” come Massih Alinejad. Fahrad Meysami, un’insegnante imprigionata per aver protestato contro la legge sull’Hijab, nel 2019 ha iniziato un lungo sciopero della fame in carcere, rischiando la propria vita, per chiedere lo scioglimento della polizia morale. Ma dopo che i politici stranieri e le cosiddette organizzazioni per i diritti umani hanno iniziato a usare la sua lotta per legittimarsi, ha inviato una lettera aperta, denunciando tutti, compreso il presidente degli Stati Uniti.

Queste scene di attivismo non ricevono mai l’attenzione dei media occidentali mainstream, che alla fine non Fano altro che dare al al regime ulteriori scuse per reprimere le reali lotte nel paese. I “combattenti per la libertà” in esilio lo sanno bene, ed è per questo che ogni volta che un movimento dal basso si sviluppa in Iran questo è lo scenario che cercano di attuare: Si affrettano a rivendicare il movimento per sé: Il MEK dice di aver inviato i suoi membri clandestini a organizzare le proteste, il figlio di Pahlavi ha rilasciato una dichiarazione a loro sostegno e persone come Massih Alinejad si filmano mentre piangono esortando i manifestanti a continuare a lottare. In cambio, il regime soffoca violentemente il movimento, collegandolo ad agenti stranieri che cercano di destabilizzare il Paese. Il risultato è che le persone vengono ferite, uccise e imprigionate. La Repubblica islamica e l’opposizione in esilio sono entrambe felici e i loro punti di vista accolti.
 Mi rifiuto di unirmi a persone che rappresentano l’immagine sputata della Repubblica islamica in termini di fascismo, corruzione e totalitarismo. Lavorano a braccetto con il governo iraniano per polarizzare il Paese lungo linee religiose e creare un’altra Siria. Loro ed il regime della Repubblica islamica stanno cercando di distruggere ogni possibilità di un’azione collettiva e progressista.

Preferisco sentirmi in colpa per aver abbandonato le mie sorelle, piuttosto che schierarmi con chi vuole far morire di fame le iranianx o bombardarlx.

Francamente, nessuna di queste forme di solidarietà in esilio ha comunque un impatto significativo sullx iranianx in loco.

Le celebrità nei social media possono cercare di costruirsi un’immagine di sé preoccupata ed attiva, postando tweet e video a sostegno delle proteste iraniane affermando che “il mondo è al vostro fianco”, ma l’ispirazione proviene da fonti diverse dai media mainstream e dalle celebrità.

Lo slogan progressista “donna, vita, libertà”, che ora riecheggia nelle strade delle città iraniane, proviene dal Rojava, ma nessuno dex cosiddettx attivistx, gruppi di opposizione e celebrità che “sostengono” le proteste ne fa menzione. 
Solo i movimenti progressisti possono essere realmente solidali tra loro, e questo è un fatto che questi falsi guerrieri odiano riconoscere.



Mona Omidi




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