Papa Francesco, venerdì 20 giugno, ha voluto incontrare il padre e le due nonne di Cocò Campolongo, il bambino di tre anni ucciso e bruciato, nel gennaio scorso, insieme al nonno a Cassano all’Ionio dalla ‘ndrangheta. Durante l’ennesimo show propagandistico, il re del Vaticano ha dichiarato:« Mai più vittime della ‘ndrangheta. Non deve mai succedere una cosa del genere nella società.[…] Bisogna spendersi perché il bene possa prevalere, educare le coscienze. Ce lo chiedono i nostri giovani, bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare». Bergoglio ha voluto incoraggiare i sacerdoti di Cassano a lavorare “con le famiglie e per la famiglia” in un tempo che ha definito “difficile sia per la famiglia come istituzione, sia per le famiglie, a causa della crisi.[..] Quando non si adora il Signore si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza e la vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune[…] Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati». Data l’esistenza di numerose scomuniche latae sententiae, come aver effettuato o procurato un aborto, essere iscritti a un partito comunista o votarlo, appartenere a una loggia massonica, professare eresie in disaccordo con l’insegnamento dogmatico della Chiesa, ecc. la scomunica contro i mafiosi non sarà altro che un vuoto pronunciamento, che servirà solo alla Chiesa per non ammettere la sue responsabilità sul fenomeno sociale e la coincidenza della sua visione con quella mentalità mafiosa di cui la Chiesa è parte in causa, vista la consustanzialità con essa: religione e violenza trovano situazioni e spazi nei quali convivere e costruire durature condizioni di equilibrio e la religione è usata come sostegno di quei particolari codici elaborati nel tempo per ridurre e rendere inoffensivi gli scrupoli etici. Infatti neanche due settimane dopo l’anatema, a Tresilico, una frazione di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, la tradizionale processione della Madonna delle Grazie, con un corteo aperto da sacerdoti e amministratori locali, ha fatto “l’inchino” sotto la finestra dell’abitazione di Peppe Mazzagatti, l’anziano capobastone della cosca che porta il suo cognome agli arresti domiciliari per motivi di salute. Il sindaco Domenico Giannetta ammette orgogliosamente la storica connivenza: “durante la processione è stata ripetuta una gestualità che va avanti da oltre 30 anni.” Le organizzazioni criminali di stampo mafioso non avrebbero potuto ricoprire un ruolo plurisecolare se, oltre alla connivenza di settori dello Stato e di parte consistente delle classi dirigenti, non avessero beneficiato del silenzio, dell’indifferenza, della sottovalutazione e anche del sostegno dottrinale di una teologia che trasforma degli assassini in pecorelle smarrite da recuperare piuttosto che da emarginare dalla Chiesa e dalla società. “La mafia non esiste, l’hanno inventata i comunisti per confondere la povera gente” disse pubblicamente don Giovanni Stilo, sacerdote calabrese che godette sempre del sostegno della Chiesa e della Democrazia Cristiana. “Don Stilo boia, don Stilo assassino, don Stilo boia clerico-fascista” fu scritto sui muri di Africo, di Gioiosa Jonica, di Locri, sulla facciata delle stazioni ferroviarie, sulle case più in vista della statale 106. L’identificazione della Chiesa con il tradizionalismo è una delle cause della mancata presa di distanza dai mafiosi, tradizionalisti per eccellenza nel senso di difensori armati degli interessi delle classi dominanti e dei valori di ordine, famiglia e fede in cui la Chiesa si riconosce. Le stragi che portarono alla morte dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano motivato condanne istituzionali, tra queste anche quelle provenienti da settori del mondo cattolico, soprattutto dopo l’anatema contro i mafiosi di papa Wojtyla ad Agrigento nel 1993. Ma l’arresto del 1997 di padre Frittitta, il carmelitano palermitano che si era recato nel covo di Pietro Aglieri per confessarlo e comunicarlo, e soprattutto la difesa del suo comportamento da parte di ampi settori delle gerarchie cattoliche, dimostra come ancora oggi la fede cattolica sia assolutamente adattabile alla “religione della famiglia” anche nella versione mafiosa. Quando le organizzazioni criminali di stampo mafioso hanno potuto contare sul silenzio della Chiesa, sulla sua benevolenza culturale e dottrinale, sull’appoggio dei politi e degli uomini dello Stato che avrebbero dovuto combatterle, sulla condivisione del loro operato da parte di ampi strati sociali dei territori interessati, il comportamento della Chiesa è stato legittimante per i mafiosi. E poiché nella costruzione della loro ideologia essi avevano bisogno di non essere percepiti come volgari delinquenti e assassini, la Chiesa ha contribuito a consolidare questa loro auto-rappresentazione e a veicolarla in ampi strati della popolazione. Il silenzio è il riconoscimento di una sedimentazione degli insegnamenti della Chiesa sul costume, sulla mentalità, sul senso civico, sui valori privati e pubblici della società, sulla scelta dell’anticomunismo che nella storia ha caratterizzato il suo atteggiamento al tal punto da coprire qualsiasi ignominia pur di non favorire il nemico ideologico, e non ha condotto attacchi diretti come ha fatto per gli abortisti, i divorziati e i propugnatori dell’eutanasia. Le mafie, a loro volta, non hanno mai attaccato alcun dogma della Chiesa, non hanno avvertito nessuna necessità di farlo. Accanto alla doppia morale tipicamente cattolica, si costituiscono storicamente due Chiese con due ordinamenti e comportamenti diversi, motivate dallo stesso vertice cerchiobottista e dalla stessa cultura. Mafie e religione hanno alimentato un costume che privilegia la base culturale dello spirito predatorio e di appropriazione dei beni pubblici, intimando una morale della rassegnazione, dell’ubbidienza, della complicità e dell’omertà, con tutto quel che ne consegue per la riproduzione di comportamenti dominati dal familismo, dal patrismo e dal maschilismo. Una forma di giusnaturalismo in cui la legge dell’onore, della famiglia viene imposta con il sangue, in base alla quale si può ammazzare ed essere un rispettabile timorato di dio. Durante i due anni di condanna nel 1967 per estorsione e associazione a delinquere per i frati cappuccini del convento di Mazzarino, dove il Vaticano si schierò dalla parte dei frati non sospendendoli, dove fu indetto in tutti i conventi francescani del mondo un digiuno di una settimana in segno di protesta e dove fu distribuito un opuscolo in tutte le chiese d’Italia in difesa dei frati mafiosi, era stata pubblicata una statistica dei morti ammazzati nel secondo dopoguerra dalla mafia siciliana tra i dirigenti sindacali dei contadini e dei bracciati: ben quarantasette avevano perso la vita e sacrificato se stessi per opporsi alle leggi dei mafiosi, ma nessuna vittima tra gli uomini della Chiesa. La Chiesa cattolica ha rivestito un ruolo “organante” della storia italiana, ne ha plasmato i caratteri economici, sociali e culturali, ne ha determinato senso comune e mentalità, ne ha formato classi dirigenti e fornito la primordiale acculturazione delle classi popolari: nessuna storia della criminalità organizzata è esaustiva se pone la Chiesa fuori da essa e l’intreccio tra mentalità e il sentire religioso. La Chiesa non è fuori, non è estranea da questa storia dei rapporti tra istituzioni, società e mafie, ma ne rappresenta uno dei tratti più complessi e inquietanti.
‘Gnazio