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Riders e sfruttamento

Riders e sfruttamento

Una delle ultime frontiere dello sfruttamento capitalistico è data dalla cosiddetta gig economy (“economia dei lavoretti”) definita dalla Treccani come “Modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali”.[1] Come esempi tipici possiamo citare gli autisti di Uber ed i riders (ciclofattorini) che ci portano a casa cibo e bevande per conto delle aziende di delivery (consegna a domicilio).

La gig economy è il sogno di ogni capitalista: una forma brutale di sfruttamento in cui i lavoratori, privi di ogni diritto, sono completamente isolati l’uno dall’altro e controllati da una piattaforma digitale, malamente retribuiti esclusivamente sulla base del lavoro svolto, licenziabili senza pietà. Ovviamente l’ideologia padronale rappresenta questo modello di organizzazione del lavoro come un mondo idilliaco in cui studenti o lavoratori dedicano ogni tanto una parte del loro tempo libero, divertendosi (magari pedalando allegramente in un delizioso pomeriggio primaverile) ed arrotondando il loro reddito preesistente con qualche lavoretto occasionale. Nella realtà dei fatti i lavoratori della gig economy vivono in genere solo di questo lavoro e spesso sono disoccupati di lungo corso o immigrati impossibilitati a trovare impieghi migliori.

Nel caso dei riders l’azienda fornisce una app per smartphone attraverso cui il lavoratore viene chiamato quando serve. Un complesso algoritmo decide chi chiamare e chi no creando una graduatoria basata sulla fedeltà e l’affidabilità. In poche parole: se sei disposto a rispondere sempre e comunque, a qualunque ora e  con qualunque tempo alle chiamate, scali ai vertici della classifica, se sei meno disponibile perdi posizioni. Se poi hai la sventura di ammalarti o (non sia mai!) decidi di scioperare finisci in fondo e non vieni più chiamato. Ovviamente il lavoratore non ha alcuna garanzia, viene pagato a cottimo con cifre risibili, non gode di ferie, malattie, assicurazioni sul lavoro, deve metterci la bicicletta di suo e persino comprarsi il borsone per le consegne!

Contrariamente ai sogni padronali questo brutale sfruttamento ha generato forti forme di reazione tra i lavoratori che sono andate via via consolidandosi a partire dal 2016 (proteste a Torino), sia con la formazione di numerosi comitati spontanei, sia appoggiandosi ai sindacati di base sia a CGIL-CISL-UIL, con la realizzazione di scioperi, colorate manifestazioni per le strade cittadine e riuscite campagne che hanno attirato l’attenzione della stampa.

È interessante notare che, in una società in cui l’immagine è tutto, i riders sembrano fruire di una spontanea corrente di simpatia da parte dell’opinione pubblica (cosa che ha anche influito sulle iniziative della magistratura, come vedremo) mentre le lotte dei lavoratori della logistica vengono violentemente represse dalla polizia e dai tribunali nell’indifferenza generale, come sta accadendo con il recente arresto di sindacalisti del Sicobas a Piacenza.

Tra i successi ottenuti dai ciclofattorini organizzati merita di essere ricordato l’accordo raggiunto nel 2018 tra la Riders Union di Bologna e alcune aziende per definire una serie di diritti minimi[2] e l’inquadramento, nei primi mesi del 2019, dei riders come lavoratori dipendenti nel contratto della logistica riconosciuto da una azienda di Firenze.[3] In effetti l’inquadramento dei ciclofattorini nel comparto della logistica sarebbe la soluzione più ovvia ma è duramente osteggiata dai padroni, che non intendono rinunciare ai loro lauti profitti.

Della questione si è interessata anche la politica e in particolare il Movimento 5 stelle che è stato prodigo di promesse, salvo partorire dopo lunga gestazione il consueto compromesso al ribasso (DL 3 settembre 2019 n. 101, convertito nella legge 128/2019). Ai lavoratori sono stati riconosciuti in via teorica alcuni diritti minimali come la tutela dei dati personali e il diritto alla non discriminazione. Viene stabilito che “L’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione sono vietate”. Viene riconosciuta l’assicurazione INAIL contro gli infortuni, il diritto a percepire un compenso minimo orario (con la conseguente proibizione del cottimo) e un’integrazione salariale nel caso di lavoro notturno, festivo o col maltempo.

Il punto fondamentale, cioè la natura giuridica del rapporto di lavoro, viene però pilatescamente lasciata irrisolta, per cui i ciclofattorini, secondo i casi, possono essere considerati lavoratori parasubordinati (co.co.co.), autonomi o subordinati! La decisione viene in definitiva demandata ad “accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”, che – guarda un po’ – possono persino derogare in peggio le norme di legge!

Ecco allora comparire, nel settembre 2020, un accordo capestro sottoscritto dal sindacato postfascista UGL e dall’associazione padronale Assodelivery che getta nuovamente i riders nel calderone del lavoro autonomo e reintroduce dalla finestra quel cottimo che la legge aveva buttato fuori dalla porta. Da notare che, sebbene persino il Ministero del Lavoro abbia stigmatizzato l’accordo considerando il sindacato privo della necessaria rappresentatività, il contratto mantiene pieno valore legale. Ciliegina sulla torta: l’accordo riconosce i diritti sindacali solo all’UGL stessa e non agli altri sindacati né tanto meno ai numerosi comitati di base.[4]

L’accordo ha suscitato forti reazioni tra i lavoratori, con proclamazioni di agitazioni e scioperi tra cui quello del 26 marzo. Nel frattempo anche la magistratura, pressata dall’attenzione dell’opinione pubblica, ha assunto iniziative ben più incisive della legge, riconoscendo la natura subordinata di tale lavoro (Cassazione, 2020) e infliggendo sanzioni alle aziende (clamorosa la richiesta della procura milanese secondo cui 60.000 riders vanno regolarizzati come parasubordinati perché “non sono schiavi”, febbraio 2021).[5]

Se il meccanismo di sfruttamento della gig economy è stato scosso, solo l’auto-organizzazione e la mobilitazione diretta e costante dei lavoratori sostenuta dalla solidarietà generale del proletariato può portare a conquiste durature e consolidarle nel tempo.

Mauro De Agostini

NOTE

[1] https://www.treccani.it/vocabolario/gig-economy_%28Neologismi%29/ .

[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/16/riders-lalba-di-un-nuovo-sindacato-a-bologna-la-prima-internazionale-e-la-carta-dei-diritti-torino-non-ci-sono-solo-i-tribunali/4295344/ .

[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/10/rider-a-firenze-i-primi-assunti-a-tempo-indeterminato-con-le-tutele-del-contratto-nazionale-della-logistica/5169206/ .

[4] Gionata Cavallini,    Il Ccnl Rider Ugl-Assodelivery Luci e ombre di un contratto che fa discutere, https://consulentidellavoro.mi.it/rivista-sintesi/articoli-in-evidenza/il-ccnl-rider-ugl-assodelivery-luci-e-ombre-di-un-contratto-che-fa-discutere/ .

[5] https://www.agi.it/cronaca/news/2021-02-24/uber-eats-procura-milano-indagine-fiscale-11532359 .

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