Intervista a Just Casas, militante della CNT di Terrassa e docente di Storia contemporanea dell’Università Autonoma di Barcellona.
Domanda: Qual’è la posizione della CNT catalana di fronte al movimento per la sovranità della Catalogna?
Risposta: Come previsto dal nostro Statuto, la CNT riconosce che è la gente che deve decidere dove e come stare. E’ chiaro che è una norma che vale per tutta la Spagna. Come organizzazione non abbiamo fatto una campagna particolare sul problema dell’indipendenza della Catalogna. Non siamo né a favore, né contro le domande fatte nello scorso referendum, poi ritenuto illegale dallo Stato spagnolo. Non abbiamo dato indicazione né per il no, né per il sì a favore della nascita di uno Stato catalano.
D.: Come risponderebbe la CNT di fronte ad un’ipotetica indipendenza della Catalogna?
R.: Per noi non ci sarebbe nessun problema particolare. Resteremmo dentro la Confederación Nacional del Trabajo che comprende tutte le organizzazioni regionali della Spagna. Quando sia necessario andremo a Madrid, o altrove, per le riunioni. Sarebbe eguale alla situazione attuale.
D.: Come si comporta l’ambiente militante della CNT di fronte alla rivendicazione indipendentista?
R.: In pratica si riflette il sentimento generale. Chi parla catalano, in maggioranza, è a favore dell’indipendenza. Chi parla castigliano è diviso tra una minoranza pro indipendenza e una maggioranza contraria. Vi è poi un settore intermedio per cui, tutto sommato, la cosa non ha grande rilievo. Insomma la lingua ha un notevole peso nelle scelte della militanza della CNT in Catalogna.
D.: L’indipendenza darebbe l’opportunità di creare una società più giusta?
R.: Sì. Penso che esista questa possibilità. Un nuovo Stato catalano dovrebbe stabilire delle nuove leggi, delle nuove regole del gioco. E avrà necessità di avere un certo consenso popolare. Attualmente il popolo non lotta solo per l’indipendenza, ma per un altro tipo di società. Una futura Costituzione potrebbe essere l’occasione per migliorare le condizioni di lavoro e di vita sociale. Sia che restassimo o meno nell’Unione Europea. Saremmo sempre nel continente europeo e nel mondo occidentale. Nel bene e nel male. Resti comunque chiaro che un nuovo Stato catalano non è una nostra finalità.
D.: Qual’è stata la gestazione storica dei nuovi movimenti sociali in Catalogna?
R.: Occorre risalire al 1986, anno dell’entrata della Spagna nell’Unione Europea. Da qui partono massicci investimenti stranieri in Spagna. Circa la metà sono destinati alla Catalogna. E ciò per vari motivi: 1. La favorevole situazione geografica; 2. Una migliore rete di infrastrutture nelle industrie, nei servizi e nel campo finanziario; 3. I pochi ostacoli di tipo fiscale; 4. Una certa tradizione di investimenti industriali esteri, iniziati già negli anni Venti e Trenta.
D.: C’è un momento chiave di tale processo?
R.: Credo si possa trovare nel grande ruolo svolto, a livello mondiale, da Barcellona nel 1992, con le Olimpiadi. E mentre l’economia funzionava quasi nessuno era per l’indipendenza.
D.: E poi, cos’è successo?
R.: Si verificò una graduale ma costante, a partire dalla fine degli anni Ottanta, perdita del livello di vita e dei diritti sociali. E in Catalogna si riduce il livello di investimenti di capitali. Inoltre, fatto molto importante, entra in crisi il settore dell’edilizia, un comparto che sembrava poter trainare tutta l’economia. Attorno al 1997-98 si vedono chiaramente i segni di una crisi incombente. E, fatto significativo, non esiste un modello economico di ricambio. Un po’ alla volta, prima in settori singoli, poi sempre più diffuse appaiono contestazioni del modello capitalista.
D.: Qual è stato il ruolo dei sindacati maggioritari (Comisiones Obreras e UGT) in questo scenario?
R.: La loro posizione era di complicità col sistema capitalista che non mettevano mai in discussione. Mentre dilagava la crisi perdevano credibilità, soprattutto negli ambienti giovanili dove la precarietà e la disoccupazione erano sempre più gravi. Al contrario la CNT non si è fatta inglobare dal sistema capitalista e ora può agire in diversi settori di disagio e ribellione sociale.
D.: Come pesano le classi medie nel nuovo movimento soberanista?
R.: Dopo decenni di miglioramento costante del proprio potere economico, la classe media catalana conosce davvero la crisi. Il suo futuro appare frenato e addirittura problematico. Per mantenere le posizioni nella società si orienta verso un nazionalismo più deciso. Già c’erano istanze soberanistas, ma erano marginali. Nel giro di pochi anni sono diventate delle protagoniste evidenti della scena politica e pubblica in generale.
D.: Il movimento indipendentista ha assorbito, in Catalogna, energie che nel resto della Spagna hanno alimentato altri movimenti?
R.: Di sicuro. Il taglio degli stipendi e dei servizi è stato portato a termine, anche in Catalogna, in pratica senza alcun pacto social. Ciò ha alimentato le speranze che un futuro Stato catalano possa rinegoziare i livelli salariali e i servizi sociali. Naturalmente si dovrà lottare anche in futuro all’interno di un eventuale Stato. Che sarà da criticare e, se possibile, allo scopo di migliorare la situazione dei lavoratori e della società in generale.
(Estratti, a cura di Claudio Venza, da una recente intervista pubblicata sul sito www.observatoridelconflictosocial di Barcellona)