Le modalità erosive della postmodernità

Dagli Indignados a Podemos passando per i movimenti studenteschi italiani,‭ ‬abbiamo assistito ad una rapida sequenza di eventi che dovrebbero essere letti e colti,‭ ‬in una dimensione organica.‭ ‬Cosa accomuna queste situazione geograficamente distinte‭? ‬Prevale il senso di ricerca di un punto di rottura,‭ ‬ma gli strumenti di cui ci si dota per rintracciare l’ingranaggio chiave da inceppare,‭ ‬sono principi che assai poco fungono da veri e propri strumenti.‭ ‬Sensazioni,‭ ‬spinte emotive,‭ ‬quel profondo senso di incompatibilità manifestato e riproposto dentro e fuori dai confini europei.‭ ‬Ma qui sta il punto come costruire qualcosa nel momento in cui il rifiuto è il fondamento unico su cui costruire questo qualcosa‭? ‬Il rifiuto che parte dall’abbandono di ogni strumento decisionale,‭ ‬demandando alla collettivizzazione dell’incertezza,‭ ‬il rifiuto di ogni minima struttura permanente,‭ ‬la fobia dell’organizzazione e il rifiuto di apprendere da qualcun altro,‭ ‬sconvolti dall’orrore che il sapere è prigionia e quindi non posso imparare qualcosa,‭ ‬nella misura in cui mi incateno agli insegnamenti ricevuti.‭ ‬E ancora‭; ‬l’effimero,‭ ‬il vacuo e il fluido,‭ ‬diventano i significati che giustificano la paura di sperimentare qualcosa che vada oltre l’evento stagionale di una campagna informativa o la preparazione di un assembramento nazionale.‭ ‬Eppure si continuano a costruire soggettività con l’intima speranza di egemonizzare il settore di movimento nel qual ci si è incasellati.‭ ‬La destrutturazione totale in nome del superamento delle ideologie,‭ ‬conduce alla follia di ritrovare articoli e documenti politici che reinventano la ruota dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo,‭ ‬la riscoperta dei meccanismi di azione del potere,‭ ‬sbandierati come analisi avanzata.‭ ‬Le ansie per accaparrarsi il dotto di turno per avere la possibilità di essere partecipi di un avanzamento delle proposte di conflitto.‭ ‬Da un lato si rifiuta quel che già c’è,‭ ‬si aborrisce la letteratura politica tra ottocento e novecento,‭ (‬più per incapacità di attualizzane la portata che altro‭) ‬dall’altro lato,‭ ‬non ci si pongono troppe domande ad affidarsi al primo intellettuale che passa‭ (‬non cito gli scivoloni di molti compagni che in una prima fase osannavano gente del calibro di Fusaro,‭ ‬dimentichi di quel Costanzo Preve che gli fu maestro‭)‬.‭ ‬Per sommi capi questa introduzione dovrebbe inquadrare il problema,‭ ‬almeno da punto di vista delle dinamiche,‭ ‬ma manca un passaggio fondamentale,‭ ‬ossia il perché delle agitazioni da un lato e‭ ‬il perché di un crescendo di mobilitazioni apparentemente sempre più capillari e partecipate che comunque non innescano un reale,‭ ‬autentico conflitto sociale‭? ‬I due aspetti sono intimamente collegati,‭ ‬direi strutturalmente complementari,‭ ‬nella misura in cui non si riesce a capire per quale motivo,‭ ‬mobilitazioni che riescono a portare in piazza‭ ‬500.000‭ ‬persone o l’occupazione di tre atenei su quattro tra l’Italia e la Spagna,‭ ‬non abbiano minimamente intaccato nessun tessuto sociale.‭ ‬Come mai non c’è stata conflittualità misurabile al di fuori di determinati ambienti‭ (‬che fortunatamente ancora riescono a radicarsi nei quartieri e dispiegano ancora una forza conflittuale‭)‬,‭ ‬probabilmente la risposta risiede nelle rivendicazioni e nelle strumentazioni usate.‭ ‬Se la rivendicazione si riduce,‭ ‬in soldoni,‭ ‬a condizioni di studio migliori da un lato e un impiego meno flessibile dall’altro,‭ ‬senza andare in profondità dei meccanismi che generano il problema,‭ ‬appare chiaro come queste rivendicazioni siano spesso il parto di una specifica componente sociale.‭ ‬Andiamo oltre,‭ ‬in quanto nelle analisi che cercano di spiegare il processo in atto,‭ ‬nella migliore delle ipotesi,‭ ‬si tralasciano aspetti cruciali che hanno condotto all’attuale situazione.‭ ‬Uno di questi aspetti è aver dimenticato che la società non è omogenea e che creare delle categorie protette,‭ ‬non vuol dire avere a che fare con classi sociali differenti,‭ ‬ci si è dimenticati così facilmente dell’esistenza di un certo proletariato e sottoproletariato‭ (‬categorie spesso dozzinali anche queste ma con chiari connotati‭) ‬che è sfuggito alle masse indignate che disabili,‭ ‬soggetti LGBTQ,‭ ‬e minoranze culturali,‭ ‬non fanno classe a sé.‭ ‬Qui sta il punto,‭ ‬si tenta di innescare conflitto sociale all’interno di una classe eterogenea nei modi ma omogenea nella struttura,‭ ‬e spesso le rivendicazioni sono null’altro che la ricerca di recuperare quello che la‭ “‬middle class‭” ‬ha perso negli ultimi‭ ‬20‭ ‬anni.

Qui comincia a scricchiolare qualcosa nell’impalcato movimentista,‭ (‬dal quale ovviamente vanno tenute fuori le situazioni di difesa del territorio e le sperimentazioni di estrazione di reddito dal territorio con modalità incompatibili col mercato in quanto poggiano su concetti che tengono ancora conto della misura umana in senso alla produzione di reddito che mira a svincolarsi dallo sfruttamento.‭) ‬viene meno la comprensione di ciò che si è e quale posto si abbia nel meccanismo di riproduzione del capitale.‭ ‬L’autodefinirci pedine di un sistema non chiarisce nulla,‭ ‬in quanto non abbiamo ancora chiarito chi siamo,‭ ‬e siamo tanto alieni a noi stessi.‭ ‬Se ci soffermiamo sugli strumenti usati per tentar di confliggere col sistema alcuni aspetti si chiariscono da soli,‭ ‬la corsa e il ricorso alla comunicazione on web,‭ ‬i social network,‭ ‬i blog e altro,‭ ‬hanno dato l’illusione di acquisire velocità e capillarità nella proliferazione dell’informazione.‭ ‬Manca una piccola riflessione ossia che nella comunicazione si intercetta o solo chi già capisce cosa si va a dire‭ (‬quindi non un‭ “‬nuovo adepto‭” ‬ma un che sceglie di informarsi attraverso un preciso canale di informazione‭) ‬o chi già conosciamo,‭ ‬diffondere quantitativamente informazione non rende efficace la comunicazione in sé.‭ ‬Maggiore comunicazione,‭ ‬più conoscenti,‭ ‬maggiore velocità,‭ ‬ma meno profondità nelle relazioni.‭ ‬La generazione del flash mob,‭ ‬del grande assembramento,‭ ‬la generazione mediatizzata,‭ ‬descrive un universo di idee-immagini e idee-concetto forzate e conformanti,‭ ‬ma che ci dicono qualcosa di alcune caratteristiche dei soggetti che hanno attraversato i controvertici e le piazze di questi ultimi anni.‭ ‬Un’onda,‭ ‬molto emotiva,‭ ‬non molto organizzata,‭ ‬ma dotata della radicalità e dell’esuberanza tipica del rifiuto totale di ogni strumento di analisi dato.‭ ‬Una ricerca che porta alla costruzione e alla demolizione delle chiavi di lettura ad ogni cambio di stagione,‭ ‬si demolisce quel che si è cercato di costruire in un continuo oscillare attorno ad un centro.‭

Questi,‭ ‬in estrema sintesi,‭ ‬gli elementi per orientarsi in questo periodo così dinamicamente sconvolto.
Questi i pochi elementi per capire come,‭ ‬fenomeni tipo Syriza e Podemos da un lato e il proliferare di micro e macro soggettività nel contesto italiano,‭ ‬abbiano a darsi nella loro costituzione invece che altro.‭ ‬E quali rossi punti critici debbano individuarsi in questo presentarsi.‭ ‬E‭’ ‬chiaro che vi siano un certo numero di epifenomeni che li distinguano gli uni dagli altri,‭ ‬ma credo altresì,‭ ‬che le dinamiche di fondo rimangano,‭ ‬drammaticamente analoghe.‭

JR‭

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